In quali ambienti si sono adattati gli ominini negli ultimi 3 milioni di anni?
Questa recentissima ricerca, che potete trovare nei commenti, è molto interessante perché è un aspetto che si considera poco quando si parla di evoluzione umana: l’ambiente e il suo continuo mutamento.
La ricerca è abbastanza lunga, ma ho cercato di prendere i punti più importanti e, sostanzialmente, possiamo riassumere il tutto con questa frase:
“gli ominini, in particolar modo le specie del genere 𝙃𝙤𝙢𝙤, erano attrezzate per adattarsi a “paesaggi a mosaico”
I paesaggi a mosaico hanno caratterizzato e, in qualche modo, modellato l’evoluzione dell’uomo in quanto il Pleistocene è stato caratterizzato da continui mutamenti climatici che si riflettono sulla flora e fauna locale. In parole povere, non troviamo una sorta di ‘linearità’ ambientale (es. diminuiscono piano piano certe specie di alberi fino a non essere più presenti), ma troviamo diverse aree caratterizzate da più ambienti frammentati e che possono anche ripetersi.
Analizziamo un po’ punto per punto i risultati della ricerca.
Nel corso di 3 milioni di anni, l’habitat umano si è modificato nel corso del tempo (e con loro anche la flora e la fauna). Si sono avvicendati un po’ di avvenimenti chimico-fisici tali da modificare le condizioni climatiche e meteorologiche del pianeta (cicli di Milanković, gas serra ed effetti della calotta glaciale).
I primi ominini africani vissero prevalentemente in ambienti aperti (che si contraevano e si espandevano in tempi relativamente brevi), come le praterie caratterizzate da arbusti secchi, mentre in Africa Settentrionale troviamo aree relativamente desertiche. L’ampiezza del ciclo stagionale nell’emisfero settentrionale aumenta, portando ad un aumento delle precipitazioni estive espandendo, verso nord, le praterie, mentre il deserto del Sahara è caratterizzato una contrazione (a livello spaziale e geografico. In pratica si riduce). Questo è un fenomeno chiave in quanto ha permesso la creazione di ‘corridoi’ verdi supportando, così, le migrazioni di essere umani arcaici come 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙚𝙧𝙚𝙘𝙩𝙪𝙨, 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙝𝙚𝙞𝙙𝙚𝙡𝙗𝙚𝙧𝙜𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 e, successivamente, quelle dei primi individui dell’𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨 (i famosi ‘Out of Africa).
Insomma, questo per le specie umane si è trattata di una nuova sfida in quanto non avrebbero mai potuto conoscere i nuovi ambienti che avrebbero visitato negli anni successivi.
Riassumiamo gli eventi ambientali nel continente africano:
-la Savana e i boschi aridi si riducono gradualmente in Africa Settentrionale;
-in Africa Settentrionale si riducono le praterie e gli ambienti caratterizzati da arbusti secchi.
Migrando in Eurasia, gli ominini si sono adattati a una gamma più ampia di biomi nel tempo, ed in un modo o nell’altro i nostri antenati hanno selezionato attivamente ambienti spazialmente diversi, grazie e soprattutto alla tecnologia litica e alle conoscenze in loro possesso, ma non è il succo del discorso.
In Asia, per via dell’espansione delle calotte glaciali, le aree della tundra e delle praterie si sono espanse, mentre si sono contratte foreste boreali e tropicali. In Europa assistiamo ad un’espansione massiccia della tundra, delle foreste boreali e delle praterie, mentre le foreste ‘temperate’ si sono ridotte. In parole povere, la frequenza dei climi freddi ha portato a un’espansione dei biomi aperti, e ciò avrebbe permesso e facilitato la migrazione di esseri umani arcaici.
I biomi ‘preferiti’ dagli ominini
In un primo periodo, sono state percorse praterie aperte sfruttando, così, rotte migratorie più accessibili. La diversità dei biomi, e la “sperimentazione” da parte delle specie precedenti, potrebbe aver dato un vantaggio in termini di espansione.
Spieghiamoci meglio:
-gli habitat di 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙝𝙖𝙗𝙞𝙡𝙞𝙨 ed 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙚𝙧𝙜𝙖𝙨𝙩𝙚𝙧 erano prevalentemente localizzati in aree di savana e di prateria;
-le specie ‘successive’, invece, “provano" altre tipologie di habitat. Per esempio, 𝙃. 𝙚𝙧𝙚𝙘𝙩𝙪𝙨, che lasciò l’Africa circa 1,8 milioni di anni fa circa, ‘scelse’ habitat molto diversi come le foreste temperate o tropicali, mentre solo una piccola parte preferì la savana. Specie più recenti, come 𝙃. 𝙝𝙚𝙞𝙙𝙚𝙡𝙗𝙚𝙧𝙜𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 e 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨, si sono adattate a climi più freddi. 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨, la più generalista, si è stabilita in ambienti estremi come la tundra o il deserto (grazie anche, e soprattutto, alla capacità di produrre più strumenti in grado di far fronte alle esigente ambientali.
Tutto sommato, i primi ominini africani e 𝙃. 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 preferirono habitat aperti o chiusi, mentre le altre specie prediligevano condizioni miste. Questo è interessante anche per quanto riguarda 𝙃. 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 in quanto dimostrarono una scarsa capacità di adattamento in biomi aperti di clima freddo (come la tundra), e di conseguenza subirono una grossa contrazione (dal punto di vista popolazionistico e geografico) durante l’Ultimo Massimo Glaciale stabilendosi nella regione mediterranea (più calda e boscosa).
Fonte immagine: Mauricio Antón, Nat Geo Image collection
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𝙇𝙖 𝙣𝙤𝙨𝙩𝙧𝙖 𝙨𝙥𝙚𝙘𝙞𝙚 𝙘𝙤𝙢𝙪𝙣𝙞𝙘𝙖 𝙖𝙣𝙘𝙝𝙚 𝙘𝙤𝙣 𝙡𝙚 𝙨𝙤𝙥𝙧𝙖𝙘𝙘𝙞𝙜𝙡𝙞a, 𝙢𝙖 𝙖𝙡𝙩𝙧𝙞 𝙤𝙢𝙞𝙣𝙞𝙣𝙞 𝙖𝙣𝙩𝙞𝙘𝙝𝙞 𝙘𝙤𝙢𝙪𝙣𝙞𝙘𝙖𝙫𝙖𝙣𝙤 𝙘𝙤𝙣 𝙪𝙣𝙖 𝙜𝙧𝙤𝙨𝙨𝙖...𝙖𝙧𝙘𝙖𝙩𝙖 𝙨𝙤𝙥𝙧𝙖𝙘𝙘𝙞𝙜𝙡𝙞𝙖𝙧𝙚
Le sopracciglia sono un carattere evolutivo sorprendente: proteggono gli occhi dal sudore e dallo sporco e, soprattutto, sono un ottimo strumento di comunicazione.
Questo perché, con una faccia più schiacciata ed un cranio non più dotato di una fronte sporgente, 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨 è capace di muoverle e di rendere la propria faccia espressiva.
Secondo una ricerca pubblicata su Nature, H. sapiens possiede la capacità di apparire amichevole o intimidatorio, di esprimere empatia, sorpresa, disgusto proprio grazie alla conformazione del cranio che permette alle sopracciglia di alzarsi o di aggrottarsi, un'azione molto difficile per esempio per i nostri cugini Neanderthal che sembravano perennemente "incazzati", questo perché le loro arcate sopraccigliari non permettevano nessun tipo di movimento.
Una tale morfologia cranica nei Neanderthal, così visibile, possedeva comunque una funzione sociale in quanto poteva trasmettere un senso di dominanza e aggressività verso potenziali nemici(del resto, anche molti primati utilizzano grandi sporgenze, come i canini, per intimorire gli avversari).
Vediamo (leggermente) nel dettaglio cosa dice la ricerca:
-la morfologia del cosiddetto "Browridge", una sorta di cresta o nodulo che si trova sull'arco sopraccigliare, è influenzata dalla tipologia di morso dell'individuo/della specie;
-è stato studiato un cranio (Kabwe 1), appartenente ad ominino arcaico associato alla specie 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙧𝙝𝙤𝙙𝙚𝙨𝙞𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 (o ad 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙝𝙚𝙞𝙙𝙚𝙡𝙗𝙚𝙧𝙜𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨). E' stato notato che il sopracciglio di quest'ultima specie fosse significativamente più grande di quanto "richiesto" per colmare, diciamo, il divario tra le orbite e l'osso frontale. In sostanza, la morfologia del sopracciglio non influisce in modo sostanziale sull'entità, o sulla qualità, della deformazione del viso durante il morso, pertanto una morfologia del genere poteva svolgere anche altre funzioni;
-nell'uomo, il sopracciglio è un tratto anatomico dimorfico, e svolge un ruolo nel riconoscimento tra individui, e la crescita e lo sviluppo sono associati ad una produzione di androgeni. I ricercatori hanno notato che l'osso vermicolato di Kabwe 1 (sopra l'arcata sopraccigliare) presenta delle somiglianze macroscopiche con l'osso trovato nei rigonfiamenti paranasali delle specie si 𝙈𝙖𝙣𝙙𝙧𝙞𝙡𝙡𝙪𝙨. Quest'osso non è molto frequente negli esseri umani odierni, ma nel Medio e nel Tardo Pleistocene quest'osso è più frequente negli uomini rispetto alle donne, quindi la presenza di quest'osso potrebbe essere legata a fattori ormonali;
-In sostanza, la morfologia dell'individuo di Kabwe 1 potrebbe essere correlata a fattori sessuali: poteva fungere da display comunicando segnali sociali o sessuali. In questo caso svolgerebbe un ruolo simile alle 'corna', una struttura fissa capace di segnalare l'aggressività o il dominio di un individuo;
-In 𝙃. 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨 la solfa non cambia. La riduzione facciale è correlata ai cambiamenti nella morfologia del cranio e alle strutture adibite alla pre-elaborazione del cibo, quindi ci ritroviamo con un'arcata sopraccigliare più sottile e un osso frontale verticale che permette di 'deformare' a piacimento la pelle sul viso (al contrario di scimpanzé o altri primati dotati di 'sopracciglia' grossolane). Questo cambiamento ha permesso alla nostra specie di possedere muscoli facciali più sviluppati (come il muscolo frontale), che risultano tutt'ora una componente importantissima per la segnalazione sociale e per la comunicazione non verbale nella nostra specie.
Questa tipologia di ricerca sfocia inevitabilmente in certe discussioni che hanno a che fare con il comportamento umano in quanto le sopracciglia mobili, senza vincoli sopraccigliari, consentono di esprimere emozioni 'sottili' e un rapido riconoscimento di un individuo (ci basta un sesto di secondo).
Insomma, sollevando il sopracciglio possiamo mostrare "facce simpatiche", e allo stesso tempo certi 'segnali' mimico-facciali possono anche indicare l'inganno o la bugia di un individuo. Nei primati, come gli scimpanzé, la mimica facciale è minima in quanto ciò è ostacolato da un grosso sopraccigliare, a differenza dell'essere umano che presenta una fronte verticale più piatta e una fronte più glabra, aumentando così la visibilità e la 'segnalazione' delle sopracciglia.
In conclusione, un sopraccigliare molto sviluppato è in sostanza un segnale sociale permanente, mentre il movimento delle sopracciglia permetterebbe una sorta di 'dinamismo' dal punto di vista comunicativo ed emozionale.
Cranio di Kabwe 1
Un'immagine dell'attore Dwayne 'The Rock' Johnson. Per lo studio, clicca qui
Trovate la fonte nei commenti
Lucy poteva stare eretta (in piedi), proprio come come noi
Questo è un recente studio che mostra una ricostruzione muscolare in 3D della famosa Lucy, una femmina di 𝘼𝙪𝙨𝙩𝙧𝙖𝙡𝙤𝙥𝙞𝙩𝙝𝙚𝙘𝙪𝙨 𝙖𝙛𝙖𝙧𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 vissuta circa 3,2 milioni di anni fa, affermando che poteva stare ‘eretta’ come un essere umano derivato.
Attenzione, non si parla di locomozione (almeno in parte) ma della capacità di stare in piedi, con una colonna vertebrale perpendicolare al terreno.
E’ stato riscostruito digitalmente il primo tessuto molle di un ominino, ed è stato possibile grazie alle scansioni di Lucy che hanno permesso di costruire un modello in 3D dei muscoli delle gambe e del bacino. Questo è un aspetto molto importante in quanto il tessuto molle difficilmente si fossilizza, ed è estremamente raro trovarne tracce nei primati fossili. Questa metodologia a ‘modellazione poligonale tridimensionale’ può risolvere questo gap per ricavare informazioni che non si sono preservate durante la fossilizzazione.
Sono stati presi in esame 36 muscoli del bacino e dell’arto inferiore, ed assieme ad altri dati scheletrici (come i segni sull’osso dei muscoli e le scansioni di questo ominino abbastanza completo) è stato costruito un modello 3D scheletrico-muscolare che è stato comparato con quello dell'𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨.
In primis questo metodo dimostra come queste ‘ricostruzioni volumetriche’ possano essere necessarie in quest’ambito di studi in quanto ci permettono di capire quale doveva essere lo spazio occupato dal muscolo, quindi per ricostruire la muscolatura.
Le ‘braccia del momento’ (o momento di una forza, è un’unità di misura che è data dal prodotto di una forza e una lunghezza chiamata ‘braccio’) di Lucy sono comparabili a quelle di un essere umano moderno, suggerendo una funzionalità simile degli arti.
Quindi, era caratterizzata da una postura ‘eretta’. Ma riassumiamo brevemente i risultati:
-c’erano alcune differenze nella capacità muscolare del bacino e degli arti, e in sostanza si può dire che Lucy (e la specie 𝘼. 𝙖𝙛𝙖𝙧𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨) fosse caratterizzata da una postura eretta;
-viene suggerito che non camminasse, almeno in parte, con una postura ‘accovacciata’, anche se sulla locomozione vera e propria si dovranno aspettare altri studi inserendo altri parametri muscolari, come per esempio la lunghezza del tendine, ma al momento lo studio suggerisce che fosse anche capace di camminare in modo eretto;
-ciò che ne consegue dalla ‘leva muscolare’ è che 𝘼. 𝙖𝙛𝙖𝙧𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 fosse molto simile agli scimpanzé e ai bonobo per quanto riguarda la locomozione: era in grado di stare in piedi con la colonna vertebrale perpendicolare al terreno, ed usare l’arto anche per la brachiazione. Era un bipede efficiente? Non si sa ancora con certezza, ma poteva tranquillamente ‘scegliere’ quale tipologia di locomozione utilizzare.
Fonte: clicca qui
𝘽𝙧𝙚𝙫𝙚 𝙖𝙥𝙥𝙧𝙤𝙛𝙤𝙣𝙙𝙞𝙢𝙚𝙣𝙩𝙤
Il 24 Novembre 1974, 'Lucy in the sky with Diamons' dei Beatles risuonava nel campo di spedizione del paleontologo Donald Johanson e del suo team, ed è grazie a questa canzone che un fossile di 𝘼𝙪𝙨𝙩𝙧𝙖𝙡𝙤𝙥𝙞𝙩𝙝𝙚𝙘𝙪𝙨 𝙖𝙛𝙖𝙧𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 ora si chiama Lucy.
È un'australopitecina datata 3,2 milioni di anni circa e presenta un cranio di piccole dimensioni, presentava un'andatura bipede ed eretta e risulta essere una scoperta molto importante in quanto ci aiuta a capire che, nei trend evolutivi che hanno caratterizzato ominini e il genere Homo negli ultimi 7 milioni di anni, è comparsa prima la postura eretta e poi si è sviluppato cervello (sono stati due trend relativamente indipendenti in quanto il cranio è stato caratterizzato da una sorta di "alleggerimento" dal punto di vista osseo, e ciò ha comunque permesso la proliferazione di individui con crani molto più grandi rispetto agli altri primati e agli ominini comparsi in precedenza). Poteva anche arrampicarsi sugli alberi, probabilmente per sfuggire ai predatori.
È stato ritrovato il 54% dello scheletro, cioè circa 54 ossa, era alta quasi 110 cm e poteva pesare dai 30 ai 45 kg. La capacità cranica non superavano i 500 cc, dimensioni simili a quelle di un gorilla per intenderci, ma i denti erano molto simili a quelli del genere Homo.
Rimane una delle più grandi ed emozionanti scoperte dell'evoluzione umana.
Una foto dello scopritore Donald Johanson
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