domenica 30 luglio 2023

Peli, squame e piume hanno un'origine comune; E se il Neanderthal non si fosse estinto; La formula vertebrale dell'antenato comune uomo-scimpanzé; Hai le gambe corte? possiedi una locomozione efficiente.

Qual era la formula vertebrale dell'antenato comune tra uomo e scimpanzé? La colonna vertebrale, come ben sappiamo, è legata al piano corporeo e alla locomozione nei vertebrati, ma nei primati è di vitale importanza per rispondere un po' a quelle domande che ci poniamo quando parliamo di bipedismo, per esempio, o trattiamo adattamenti.

La formula vertebrale ci dice, in sostanza, quale tipologia di vertebra è presente in un dato organismo e quante ce ne sono e ciò, come nel caso dei primati, ci permette di ricostruire le varie parentele (filogenesi) tra i primati estinti ed odierni.

 Quindi, in questo studio, è stato utilizzato un particolare approccio metodologico per "conteggiare" le vertebre di primati ancestrali, e capire un po' cos'è successo ai primati successivi.

Per cominciare, l'antenato comune tra il lignaggio dell'uomo e dello scimpanzé, vissuto 8-6 milioni di anni fa circa, possedeva questa formula vertebrale:

-7 vertebre cervicali;

-13 vertebre toraciche;

-4 vertebre lombari;

-6 vertebre sacrali.

In sostanza, nel corso del tempo i due lignaggi (uomo e scimpanzé) sono stati caratterizzati da una modificazione del 'conteggio' delle vertebre, una sinapomorfia  (una caratteristica nuova comune a più specie) caratterizzata dalla riduzione delle vertebre lombari e da un aumento di quelle sacrali. 

Un ulteriore riduzione del 'conteggio' si verifica anche negli oranghi, ma qui possiamo parlare di convergenza evolutiva in quanto l'antenato uomo-scimpanzé, e il lignaggio degli oranghi, si 'divisero' ben prima. E' accaduto analogamente anche nelle scimmie africane, e ciò evidenzi quanto sia complicata questa metodologia, soprattutto per poter provare a conteggiare le vertebre di ominini più recenti, in quanto in poco tempo possono essere avvenuti cambiamenti di cui si sa ancora poco.

Per la fonte, clicca qui


Hai le gambe corte? Nessun problema, possiedi una locomozione efficiente. Le gambe corte sono un adattamento straordinario in quanto permettono, a chi le possiede, una locomozione efficiente. Questo perché, e vale anche per gli ominini del passato, questa morfologia permette di fare passi più lunghi rispetto ad un individuo che possiede una larghezza degli arti simile e un bacino più stretto.
Consente di ridurre il numero di passi per percorrere una data distanza ad una qualsiasi velocità, limitando le oscillazioni verticali nel centro di massa (potenzialmente 'costose' a livello energetico, sia durante una camminata che durante una corsa).

Bene, questo è il riassunto della ricerca del 2017 che potete trovare nei commenti, ma non ho potuto omettere dei passaggi e dei concetti fondamentali per capire questo studio. Quindi, se ti va di approfondire, inzia ora lo spiegone.

Gli ominini del passato, come le australopitecine, possedevano un bacino relativamente largo, ed uno dei tantissimi trend evolutivi che hanno caratterizzato l'evoluzione "umana" è la diminuzione della larghezza del bacino. Quello di Lucy (𝘼𝙪𝙨𝙩𝙧𝙖𝙡𝙤𝙥𝙞𝙩𝙝𝙚𝙘𝙪𝙨 𝙖𝙛𝙖𝙧𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨), per esempio, è molto largo ed è 'accoppiato' a degli arti inferiori relativamente corti. 

Il ricercatore Rak, nel 1991, aveva affrontato una domanda particolare: gli individui con un bacino largo fanno passi più lunghi rispetto a quelli con un bacino più stretto? Secondo Rak, una grande ampiezza bi-acetabolare e un lungo collo femorale in piccole australopitecine con 'gambe corte, come Lucy, risultavano essere un adattamento straordinario in quanto avrebbe permesso a questi ominini un aumento del passo, senza esagerare con i movimenti verticali del centro di massa (che avrebbero potuto ridurre l'efficienza energetica della locomozione ed avrebbero potuto aumentare le forze di reazione articolari).

I ricercatori dello studio indicano che, per una data velocità e per una data lunghezza dell'arto, un individuo dotato di un bacino più ampio fa effettivamente 'passi lunghi'. Naturalmente, nelle australopitecine un arto corto permetteva comunque di arrampicarsi sugli alberi, quindi i vantaggi adattativi sono molteplici, ma ciò non toglie che una larga ampiezza bi-acetabolare, almeno in alcuni ominini antichi che incominciarono a presentare arti inferiori più corti, avrebbe permesso a questi individui di mantenere un 'passo lungo' per una certa quantità di tempo e, quindi, di migliorare l'efficienza locomotoria o la velocità (o entrambe le cose).

Nella ricerca del 2017, invece, non è stata trovata nessuna relazione tra l'ampiezza pelvica e la velocità 'a passo lungo' degli individui, o comunque non è stata trovata nessuna correlazione tra queste morfologie 'larghe' e la velocità e la frequenza del passo. Di conseguenza, l'aumento di velocità non è un vantaggio derivato da un bacino più ampio, forse perché la 'flessibilità' della velocità e l'aumento dell'efficienza della lunghezza del passo, che consentono comunque ad un individuo di coprire una certa distanza con meno passi a qualsiasi velocità, sono dei fattori molti importanti rispetto alla larghezza delle pelvi.

In secondo luogo, i ricercatori indicano che gli individui con un bacino più ampio avevano effettivamente un'escursione minore del centro di massa (all'altezza del sacrale) durante la deambulazione e ciò era più evidente all'aumentare della lunghezza del passo. In sostanza, un individuo con un bacino relativamente più largo fa passi relativamente più lunghi, questo perché il sacro non si muove verticalmente, come accade con una persona con un bacino più 'stretto'. 

Riassumiamo brevemente i restanti punti:

1)Gli individui con un bacino relativamente più largo, rispetto alla lunghezza degli arti, usano un grado minore di flessione ed estensione dell'anca rispetto a coloro che possiedono un bacino stretto;

2)Più i passi sono lunghi, e maggiormente ruota il bacino, quindi gli individui con gambe corte fanno passi più lunghi  ed usano un grado maggiore di rotazione pelvica;

Sembra esserci una correlazione tra bacino ampio e 'passo lungo' nelle australopitecine, mentre nello studio questa morfologia non è rilevante, e ciò potrebbe essere legato a vari fattori. Per esempio, la rotazione pelvica potrebbe essere determinata solo dalla lunghezza degli arti e del passo, indipendentemente dalla larghezza del bacino. Ma, in un modo o nell'altro, i risultati supportano l'ipotesi che un individuo come Lucy, con gambe relativamente corte, avrebbe potuto fare passi più lunghi rispetto ad un individuo con una larghezza degli arti simile e un bacino più stretto. Questo avrebbe permesso di ridurre il numero di passi per percorrere una data distanza a qualsiasi velocità, limitando oscillazioni versitcale nel centro di massa (potenzialmente 'costose' a livello energetico, sia durante una camminata che durante una corsa).

In conclusione, possiamo dire che nella nostra specie gli individui con gambe più corte roteano maggiormente il bacino quando camminano, e questo movimento, per un qualsiasi ominino bipede, migliora l'efficienza locomotoria soprattutto quando si trasporta qualcosa o qualcuno (come nel caso delle madri con i bambini).

Per la fonte, clicca qui



E se i nostri cari cugini Neanderthal non si fossero estinti? Ok, è un titolo intrigante, ma un titolo del genere credo sia efficace per parlarvi di quest'articolo, pubblicato all'inizio di quest'anno, che si concentra molto sulle difficoltà che ogni tanto si presentano nell'assegnare determinati reperti a una data specie. Soprattutto se parliamo di 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 e 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨 che condividono qualche carattere morfologico comune, come i denti.

Vennero trovati 13 denti permanenti, quindi già eruttati, nel sito La Cotte de St. Brelade sull'isola di Jersey, nello Stretto della Manica all'inizio del secolo scorso. È un sito del Paleolitico molto importante, che ospitò i Neanderthal tra i 250.000 e i 48.000 anni fa.
Questi denti vennero trovati nelle vicinanze di un focolare, in un livello associato alla cultura Musteriana.

Originariamente questi denti vennero associati al Neanderthal, ma il ritrovamento di un frammento di un osso occipitale ritrovato in una località vicina al sito, con una datazione minore di 48.000 anni fa circa, ha portato gli scienziati a ridescrivere il materiale ritrovato con lo scopo di fornire una descrizione aggiornata sulla probabile assegnazione morfologica.

Uno dei denti originali è andato perso, mentre un altro è stato identificato come 'non ominide'. I denti rimanenti sarebbero associabili a due individui adulti, ma la forma della cervice e l'assenza di tratti comuni con il Neanderthal suggeriscono che questi denti siano più affini al Sapiens. Le dimensioni della corona e della radice, assieme alla morfologia di quest'ultima, indicano che sono caratteri associabili al Neanderthal.

Che cosa significa tutto questo? Sembra che questi risultati facciano ipotizzare una doppia ascendenza, neanderthaliana e Sapiens. Non c'è nulla di strano, le due specie si accoppiarono anche 100.000 anni fa circa in Medio Oriente(e non solo), ma ciò che lascia un po' riflettere è che questi denti risalgono a 48.000 anni fa circa, una data che è comunque relativamente vicina alla presunta data di estinzione del nostro cugino.

Ora abbandoniamo il campo dell'oggettività per entrare in quello più speculativo. Il capo del progetto, Chris Stringer, evidenzia come ci siano molti tratti in comune tra le due specie, sia geneticamente che morfologicamente, e si pone il dubbio se effettivamente sia corretto parlare di 'estinzione del Neanderthal', affermando che in futuro ci saranno studi più approfonditi, basati sullo studio del DNA estratto dai denti per capire se effettivamente si trattava di specie diverse o se si trattava di una popolazione ibrida, con il Neanderthal che man mano è stato "assorbito"(geneticamente si intende, non come in Dragon Ball) dalla popolazione Sapiens, molto più numerosa. 

Sarebbe quindi ancora corretto il termine 'estinzione' per il Neanderthal? Lo sapremo in futuro.

Per la fonte, clicca qui


L'origine degli annessi cutanei come peli, piume e squame, dal punto di vista evoluzionistico, sembrano avere un'origine comune. L'anatomia comparata è una scienza bellissima perché si mettono a confronto morfologie e organi di certi animali per capirne le varie funzionalità, e tantissime altre informazioni. Questo negli annessi cutanei è sempre stato un problema, o meglio sembrava fosse stato risolto questa sorta di rebus evoluzionistico molto tempo fa. Infatti, osservazioni precedenti indicavano che le penne degli uccelli e i peli dei mammiferi derivassero da una sorta di struttura primordiale chiamata 'placode', una sorta di ispessimento dell'epidermide dove, attraverso una sorta di 'impilamento' (ordinato) delle cellule, si sviluppavano questi annessi.

Le squame dei rettili, precedentemente, non erano nemmeno lontanamente accomunate ai peli o alle piume, indicando come questi annessi potessero essere comparsi in modo indipendente in questi gruppi, con il placode che non possedeva nessuna relazione con le squame.

A quanto pare, la situazione è un pochetto diversa. Sono state analizzate diverse morfologie di serpenti, lucertole e coccodrilli nella loro fase embrionale, ed è stata identificata la presenza di una struttura anatomica (il placode di cui abbiamo parlato prima), e una struttura molecolare praticamente identica a quella degli uccelli e dei mammiferi.

Le analisi sul 'drago barbuto dalla testa striata' (𝙋𝙤𝙜𝙤𝙣𝙖 𝙫𝙞𝙩𝙩𝙞𝙘𝙚𝙥𝙨) indicano che esiste una particolare mutazione genetica tipica di questo gruppo che influenza le dimensioni delle squame e, di conseguenza, la loro copertura e posizione sul corpo. 

E quale sarebbe la particolarità? 

Questo gene, conosciuto come 'EDA'(Ectodisplasina A), è presente anche nell'uomo e nei topi e producono, in genere, anormalità per quanto riguarda lo sviluppo di unghie, denti e peli. Nei draghi barbuti, la presenza di un paio di coppie mutate (o difettose) di questo gene non permettono la crescita del placode, ed avviene la stessa cosa agli uccelli e ai mammiferi se la mutazione è presente.
 
Quindi, in sostanza, gli annessi delle tre classi di vertebrati sono strutture omologhe, e con molta probabilità esiste un'origine comune in qualche lontano "rettile" del Carbonifero, prima che gli amnioti si diversificassero.

Per la fonte, clicca qui

Nessun commento:

Posta un commento