domenica 23 luglio 2023

Pesce cotto 780 Mila anni fa circa - Neanderthal poco sensibili agli odori - un antico bioma neanderthaliano - una possibile traccia di cannibalismo tra ominini - l'occhio moderno delle trilobiti

La più antica traccia (forse) di cannibalismo tra ominini datata circa 1,45 milioni di anni

Quello che potete vedere nelle foto, sono probabilmente segni di macellazione "umana"…su ossa umane, e ciò potrebbe indicare segni di violenza, o di macellazione, da parte di individui 'umani' nei confronti di conspecifici con lo scopo di nutrirsene. Ma, come potrete leggere verso la fine del post, potrebbe non trattarsi di cannibalismo vero e proprio.

I ricercatori hanno rinvenuto 9 segni di taglio su uno stinco (tibia sinistra) appartenente ad un antico ominino, vissuto nel Nord del Kenya. Sono state svolte analisi su modelli 3D della superficie ossea ed è stato notato che i segni del taglio, lasciati da strumenti in pietra, hanno con molta probabilità provocato la morte dell’individuo (escludendo la morte da parte di un predatore).

O meglio, ci sono segni di morsi di denti (numero 5 e 6 nell’immagine), ma non sono correlati ai tagli (1-4 e 7-11) e sono stati associati ad un felidae simile alle famosi ‘tigri dai denti a sciabola’, ma non è possibile risalire alla specie. 

I tagli non mostrano che chi ha inflitto i tagli abbia poi mangiato la gamba, ma parrebbe essere lo scenario più probabile. Questo perché chi ha rimosso il pezzo di carne conosceva abbastanza bene l’anatomia dell’ominino, infatti i tagli corrispondono ad aree dove in genere i muscoli del polpaccio sono attaccati dall’osso. 

I tagli sono in successione e orientati allo stesso modo, e ciò indica che il ‘macellatore’ maneggiava bene lo strumento in pietra senza cambiare presa. Sono dei tagli netti e decisi, e ciò indica che l’individuo tagliò la carne per nutrirsene e non per svolgere qualche rituale. A supporto di ciò, i ricercatori hanno comparato questi tagli scoprendo che sono simili a quelli rinvenuti su altre ossa di altri animali ‘macellati’.

Quindi si tratta di cannibalismo?

Per parlare di cannibalismo, dovremmo aver avuto una data specie che mangia un conspecifico, ma al momento non si sa quale specie appartenga il macellatore e il ‘macellato’. La tibia venne associata precedentemente alla specie 𝘼𝙪𝙨𝙩𝙧𝙖𝙡𝙤𝙥𝙞𝙩𝙝𝙚𝙘𝙪𝙨 𝙗𝙤𝙞𝙨𝙚𝙞, negli anni ’90 alla specie 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙚𝙧𝙚𝙘𝙩𝙪𝙨, mentre ora non è associata nemmeno ad un genere in particolare. Ci sono studi relativamente recenti che indicano che anche le australopitecine fossero in grado di produrre o utilizzare utensili in pietra, quindi l’uso della pietra non restringe il campo per capire chi fosse il colpevole e chi fosse la vittima.

Inoltre, nessun segno dei tagli si sovrappone ai segni del morso da parte di un felidae, infatti i tagli e il morso potrebbero essere legati a due eventi distinti. La gamba potrebbe essere stata ‘morsicata’ solo in seguito all’evento di macellazione.

Credito photo:s Jennifer Clark
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 I trilobiti ci vedevano! No, così suona davvero male. Riformuliamo: i trilobiti possedevano un occhio moderno. Ora ci siamo!

Secondo una ricerca abbastanza recente, i trilobiti possedevano occhi moderni, nel senso che la struttura dell'occhio era del tutto simile a quella dei crostacei e degli insetti odierni.

I trilobiti erano artropodi(marini) come crostacei e insetti, e proprio gli ultimi due gruppi conservano una struttura che si è modificata poco dal tempo in cui i trilobiti vissero nel Paleozoico(542-251 milioni di anni fa circa).

La scoperta è stata realizzata da Brigitte Schoenemann dell’Università di Colonia, in Germania, e da Euan N. K. Clarkson, dell’Università di Edimburgo, in quanto hanno esaminato un piccolo trilobite di 429 milioni di anni circa (𝘼𝙪𝙡𝙖𝙘𝙤𝙥𝙡𝙚𝙪𝙧𝙖 𝙠𝙤𝙣𝙞𝙣𝙘𝙠𝙞𝙞𝙞𝙣) in una formazione nei pressi della città di Lodenice, Repubblica Ceca.

La struttura interna, come accennato prima, era simile a quella degli occhi composti degli odierni insetti e crostacei in quanto sono stati trovati gli 'ommatidi', unità visive che misurano 35 micrometri di diametro, e che contengono le cellule fotosensibili raggruppate attorno ad una struttura chiamata 'rabdoma'.

Ognuna di queste unità è circondata da un anello scuro (forse composto da cellule pigmentate) che le isola una dall'altra. La struttura era sormontata da una sorta di lente che fungeva da cristallino.

La struttura dell'occhio ci fa anche capire che il trilobite viveva in acque limpide, poco profonde e doveva essere attivo durante il giorno.
La grandezza dei cristallini, così piccoli, indicano che gli occhi erano efficienti in condizioni di buona luminosità, mentre gli anelli formati da cellule pigmentate indicavano una vista a mosaico.

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Di recente sono state trovate le componenti di un microbioma intestinale di Neanderthal, recuperate da sedimenti fecali di El Salt(un sito paleolitico spagnolo, non 'sale' in inglese) antichi 50.000 anni circa.

Ormai sappiamo che Neanderthal e Sapiens erano molto intimi, ma il ritrovamento di tracce di DNA antico del bioma neanderthaliano indica che molti generi di batteri commensali benefici come Dorea, Blautia, Ruminococcus, Roseburia, il bifidobatterio ecc. popolavano già l'intestino delle due specie, sin dall'ultimo antenato comune(500-600 mila anni fa).

Il microbioma intestinale umano è fondamentale in quanto influenza la nostra fisiologia, come il metabolismo e lo sviluppo umano, ed era importante nel passato in quanto forniva anche una plasticità dietetica tale da reagire in modo più che positivo ai cambiamenti ambientali.

Fonte testo e immagine: Components of a Neanderthal gut microbiome recovered from fecal sediments from El Salt(Nature).



Pesce cotto di 780.000 anni fa circa

Che il fuoco sia stato padroneggiato dalla specie 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙚𝙧𝙚𝙘𝙩𝙪𝙨 non è un segreto in quanto esistono numerose tracce di focolari, e di tracce di resti organici bruciati (sia animali che vegetali), ma fino ora non sono mai stati trovati resti di cottura intenzionale se non in tempi un pochino più recenti. Infatti, questa pratica, o meglio quest'attenzione verso la cottura del cibo, era associata solamente alle specie 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨 ed 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 e risalenti, quindi, a circa 200.000 anni fa. Questa scoperta, quindi, retrodata questa pratica di 600.000 anni 

La comparsa della cottura intenzionale non era del tutto chiara in quanto fino a questo momento, in quanto si ipotizzava che questa pratica fosse comunque antica almeno quanto la scoperta del fuoco stesso (anche perché la cottura dei cibi ha svolto un ruolo importante per la sopravvivenza del nostro genere, anche e soprattutto dal punto di vista sociale). 

Nel sito del Pleistocene medio di Gesher Benot Ya'aqov, Israele, sono stati rinvenuti più di 40.000 resti di pesci d'acqua dolce e resti di focolare datati 780 mila anni circa. Non si tratta di alimenti bruciati, come quelli rinvenuti negli antichi focolari associati ad 𝙃. 𝙚𝙧𝙚𝙘𝙩𝙪𝙨, e ciò è stato confermato dagli studi tafonomici del sito. 

Sostanzialmente, sono state analizzate le "lische"(fishbone) dei pesci legati al sito e confrontate con quelle di altri pesci rinvenute in altri strati sedimentari non associati a focolari. Le lische associate al sito mostrano una scarsa  ricchezza di specie ittiche, con la preferenza di due specie: 𝙇𝙪𝙘𝙞𝙤𝙗𝙖𝙧𝙗𝙪𝙨 𝙡𝙤𝙣𝙜𝙞𝙘𝙚𝙥𝙨 e 𝘾𝙖𝙧𝙖𝙨𝙤𝙗𝙖𝙧𝙗𝙪𝙨 𝙘𝙖𝙣𝙞𝙨 In proporzione, poi, a livello numerico le lische erano poche a differenza dei denti faringei che erano assocciati a focolari "fantasma" ( riconosciuti grazie alla presenza di gruppi di microartefatti e di selce bruciata).

Attraverso un'analisi mediante diffrazione di raggi X, è stato possibile capire che questi denti sono stati esposti a basse temperature (<500°C), indicando che i pesci associati al focolare vennero consumati (e cucinati) in loco.

Quindi, in parole povere, questo studio ci restituisce un bel po' di informazioni interessanti:

-La cottura era controllata, questo perché la bruciatura non intenzionale di un alimento avviene a temperature più alte. Quindi, non vi era un'esposizione diretta dell'alimento alle fiamme;

-La cottura in questo sito non è sperimentale, ed è il frutto di continui accorgimenti che hanno perfezionato ed affinato questa tecnica. Ciò suggerisce che la comparsa della cottura potrebbe essere anche più antica;

-Non sono stati trovati reperti ossei umani, e non è chiaro se queste tracce appartengano a 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙝𝙚𝙞𝙙𝙚𝙡𝙗𝙚𝙧𝙜𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 o ad 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙚𝙧𝙚𝙘𝙩𝙪𝙨. La datazione in questo contesto non aiuta molto;

-I pesci pescati sono sostanzialmente "barbi giganti" che potevano raggiungere i 2 metri di lunghezza. Questo fa capire che anche la pratica della pesca è antica e che le tecniche di pesca per pesci di grandi dimensioni doveva essere anch'essa abbastanza affinata.

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𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 e l'Uomo di Denisova erano meno sensibili agli odori rispetto alla nostra specie?

Dal punto di vista anatomico la nostra specie e quella neanderthaliana differiscono molto e, se entriamo un pochino nei dettagli, si capisce che i 'famosi' 5 sensi (non sono proprio 5, ma questo è un altro discorso), come per esempio l'udito (vi allego nei commenti un vecchio post), differivano da specie a specie (in questo caso da gruppo a gruppo visto che tiriamo in ballo anche il Denisova di cui conosciamo perfettamente solo il genoma).

Beh, ora si aggiunge un'altra differenza legata all'olfatto, e a quanto pare la specie neanderthaliana sarebbe stata meno sensibile agli odori e ciò sarebbe dovuto alla progressiva radiazione geografica della nostra specie.

Entriamo un pochino nei dettagli.

Gli autori dello studio hanno studiato circa 30 geni  legati ai recettori olfattivi del nostro genere e ciò che ne consegue è che, l'adattamento geografico dei cosiddetti 'esseri umani anatomicamente moderni' (ci si riferisce a tutti quegli individui antichi di 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨 che presentano morfologie simili agli individui  odierni), ha permesso lo sviluppo di notevoli capacità olfattive.

Insomma, i recettori olfattivi del genere 𝙃𝙤𝙢𝙤 presentano una grande variabilità. Questo in natura non è una situazione così anomala in quanto, gruppi diversi di mammiferi, presentano diversi recettori olfattivi che permettono di occupare nicchie alimentari diverse (anche perché sono adibiti alla ricezione degli odori alimentari). 

𝙃. 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨, 𝙃. 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨 e Denisova (che ricordo, non è una specie), si sono adattati in modo indipendente ad un'ampia gamma di ambienti geografici e, in sostanza, agli odori alimentari associati ad essi. Come detto prima, sono state studiate antiche sequenze di DNA e sono stati analizzati, in vitro, circa una 30ina di geni legati ai recettori dell'odore del genere 𝙃𝙤𝙢𝙤.
 
Neanderthaliani e Denisova presentavano una sequenza del recettore ofattiva altamente conservata (non è cambiata molto nel corso del tempo), mentre nella nostra specie il discorso cambia in quanto ci sono state variazioni nella sequenza e nella struttura delle proteine del recettore dell'odore. Ciò si traduce con una sensibilità maggiore nella ricezione e nella percezione del dolore.

Le varianti, quindi, hanno apportato cambiamenti minimi per ciò che concerne la funzionalità dei recettori dell'odore, ma questi piccoli cambiamenti ci hanno resi...un po' più sensibili a certi odori. Vediamo assieme alcuni punti:

-In 𝙃. 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 sono state rinvenute poche 'varianti' che in qualche modo disturbavano la sensibilità a certi odori. Infatti, le varianti neanderthaliane hanno mostrato una minore efficacia (di circa 3 volte rispetto alla nostra specie) per quanto riguarda la ricezione di odori di spezie piccanti, vegetali e floreali. Con molta probabilità, i bulbi olfattivi erano più piccoli rispetto a quelli della nostra specie;

- il Denisova presenta una condizione simile a quella neanderthaliana, ma era molto sensibile agli odori sulfurei e dolci (per esempio, a quelli  del miele).

Insomma, la geografia ha svolto un ruolo fondamentale in questa storia in quanto, nelle varie popolazioni umane, sono comparsi geni diversi che in certi contesti sono risultati essere vantaggiosi. E se si tratta di popolazioni numerose, come quelle legate alla nostra specie, la possibilità che possano comparire geni diversi (e varianti diverse) diventa un po' più alta. Se poi ci mettiamo di mezzo vari meccanismi evolutivi, come la Selezione Naturale, che setacciano questi geni già comparsi precedentemente, potete ben capire che una specie come la nostra ha buone probabilità di presentare adattamenti diversi legati al contesto geografico. Insomma, la variabilità dei recettori olfattivi nella nostra specie è probabilmente dovuta ad un processo perlopiù casuale di deriva genetica (di isolamento).

Per concludere, possiamo tranquillamente dire che l'olfatto, e i tratti genetico-morfologici legati ad esso, ci permettono di capire a quale tipo di ambiente fosse adattata una certa specie, e quali fossero gli adattamenti ecologici locali.

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