Ormai è più che assodato che 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨 si accoppiò con 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨, e con altri gruppi umani, come il Denisova. Non sempre veniva prodotta prole fertile, e quei pochi individui ibridi non si accoppiavano con altri ibridi, ma con uno dei due parentali (maggiormente con 𝙃. 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨). Questo processo si chiama 'introgressione', e ha pemesso alla nostra specie di "rubare" geni neanderthaliani (o denisovani), arricchendo così il nostro patrimonio genetico: abbiamo acquisito geni che ci hanno permesso di resistere al freddo, ma abbiamo anche ricevuto in eredità malattie come lupus o il diabete di tipo II.
In questo post, invece, vi parlo un po' dei geni neanderthaliani che influenzano, in modo diretto o indiretto, la nostra capacità di sopravvivere e resistere a certi virus. Altri geni, invece, danno un effetto contrario.
Analizziamo due ricerche.
1) Alcuni geni neanderthaliani aumenterebbero i rischi che si manifestino i sintomi della malattia Covid-19 del virus Sarscov-2 (ne parlerò di nuovo alla fine dell'articolo). È stato studiato un segmento di 6 geni sul Cromosoma 3 dagli scienziati Hugo Zeberg e Svante Pääbo del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia, in Germania, ed è risultato che possedere questo segmento aumenterebbe i rischi di sviluppare le complicazioni della malattia, e di conseguenza potrebbe "spiegare" come mai colpisca non solo chi ha malattie gravi pregresse, ma anche persone in salute.
Spinti ad indagare attraverso i dati dello studio "Genomewide Association Study of Severe Covid-19 with Respiratory Failure", i due scienziati hanno scoperto che le persone con il gruppo sanguigno A hanno un rischio superiore di sviluppare le complicazioni della Covid-19, così come il gruppo 0 avrebbero rischi decisamente minimi.
Non è ancora chiaro come questo frammento possa aumentare i rischi, anche perché, paradossalmente, dagli incroci tra 𝙃. 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 ed 𝙃. 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨, abbiamo ereditato geni che ci aiutano proprio a combattere diversi virus, come potrete vendere nel punto 2.
2) I Neanderthal ci hanno lasciato in eredità anche geni che ci permettono di difenderci da molti virus a RNA.
I biologi evoluzionisti David Enard, dell'Università dell'Arizona a Tucson, e Dmitri A. Petrov, della Stanford University, hanno analizzato più di 4500 geni che nell'uomo interagiscono con i virus comparandoli con i geni di Homo neanderthalensis che si conoscono. Sono state individuate 152 sequenze di DNA neanderthaliano.
Le proteine prodotte dai geni appositi di queste sequenze di origine neanderthaliana interferiscono con il ciclo della replicazione, impedendo al virus di infettare un gran numero di cellule.
I Neanderthal sono vissuti fuori dall'Africa per centinaia di migliaia di anni prima dell'arrivo del Sapiens, e in tutto questo tempo il loro sistema immunitario è stato capace di produrre delle difese efficaci contro questi patogeni.
Abbiamo preso 'in prestito' questi geni(e tanti altri) grazie agli incroci tra tra le due specie. Questo ci ha permesso di sopravvivere a virus a RNA che avrebbero potuto piegare la nostra specie qualche millennio fa e, possedere questi, geni è stato vantaggioso perché non abbiamo dovuto aspettare che casualmente comparissero mutazioni, successivamente selezionate dai vari meccanismi evolutivo, che rendessero il nostro sistema immunitario efficiente contro questi patogeni. Ci sarebbe voluto tanto tempo e tanta fortuna.
Come potete notare, è una situazione abbastanza complessa, e lo studio della paleogenetica può aiutarci a capire tranquillamente situazioni odierne, come quelle causate dal Covid-19.
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Grazie al primo articolo, avrete capito che i geni neanderthaliani hanno giocato, ahimè, un ruolo importante durante questo periodo di pandemia.
Questo recente studio del 2023, dell'Istituto Mario Negri, ha evidenziato come i geni neanderthaliani abbiano favorito la Covid-19 in forma grave. È una predisposizione genetica di cui eravamo già a conoscenza dal 2020.
Hanno partecipato alla ricerca, durata quasi 2 anni, quasi 10.000 persone provenienti dalle zone di Bergamo e ciò che emerge è che il 92% circa dei contagiati venne infettato prima di Marzo 2020. Tra questi, 400 avevano contratto la Covid-19 in forma grave, 400 in forma lieve e 400, invece, non sono stati proprio contagiati.
Ciò che emerge è che, chi si ammalò della forma grave, aveva perlopiù parenti di 1° grado morti di Covid-19 rispetto a quelli di forma lieve. A questo punto i ricercatori hanno esaminato circa 9 milioni di varianti genetiche legate, per esempio, alla regione immunitaria, rivelando quali regioni del DNA fossero responsabili di tutto ciò. È emerso che in questa regione, circa il 7% della popolazione italiana, presenta un gran numero di variazioni nucleotidiche che vengono ereditate in blocco (aplotipo).
Questo aplotipo si trova sul cromosoma 3, ed in parole povere comporta la compromissione del sistema immunitario, o della funzione di certe cellule legate agli alveoli polmonari.
CCR9, CXCR6 e LZTFL1 sono 3 dei 6 geni presenti sul cromosoma 3 associati al rischio Covid, e provengono soprattutto dal genoma di neanderthaliani vissuti nei pressi di Vindija, nell'attuale Croazia circa 50.000 anni fa.
Dai Neanderthal abbiamo ereditato molti geni che hanno permesso alla nostra specie di sopravvivere, mentre geni come questi si rivelano tutt'ora potenzialmente letali. C'è da dire che, nelle popolazioni neanderthaliane, i geni in questione proteggevano, con molta probabilità, da varie infezioni mentre nella nostra specie causano un eccesso di risposta immune che ci espone ad una malattia grave.
Insomma, questi geni non ci proteggono, anzi favoriscono l'infezione.
In parole povere, i geni in questione svolgono 2 ruoli (negativi) nella nostra specie:
-modificano le funzioni di alcune cellule negli alveoli polmonari (causando, così, problemi dal punto di vista respiratorio);
-modificano il comportamento dei globuli bianchi. Vengono, se proprio vogliamo semplificare il discorso, "richiamati" da questi geni causando con più facilità infiammazioni durante le infezioni.
In sostanza, chi è stato esposto al virus e chi era portatore di questo particolare aplotipo, aveva:
-piu del doppio di possibilità di sviluppare la Covid in forma grave. Per intenderci, la forte polmonite che il più delle volte o non lasciava scampo, od obbligava i pazienti a respirare in modo non autonomo attraverso i cosiddetti "ventilatori polmonari";
-piu del triplo di possibilità di finire in terapia intensiva.
Ma non è finita qui. Sono stati identificati altri 17 nuovi loci (regioni genomiche) di cui 10 parrebbero essere direttamente collegati e associati ad una malattia grave, più severa, mentre 7 sono potenzialmente legato al rischio di contrarre la Covid.
Se ciò fa scalpore perché è accaduto in Italia, e quindi può fare sembrare che si tratti di un caso isolato, o unico, ciò che emerge è che questo aplotipo potrebbe aver portato alla morte almeno 1 milione di persone. Ciò comunque fa un pochino luce su quelle che erano morti "inspiegabili". Infatti, se in situazioni "normali" (senza la presenza di questo aplotipo) erano a rischio perlopiù persone anziane o persone con malattie pregresse, ciò riuscirebbe a spiegare anche la morte di soggetti considerati "sani" e/o giovani, quasi intoccabili da una malattia del genere.
C'è da dire, però, che quest'ultima parte è una iper semplificazione, pertanto riporterò parte del testo di un articolo della Fondazione Veronesi dove viene spiegata in modo chiaro la situazione:
"Attenzione però alle facili interpretazioni: lo studio dell'Istituto Mario Negri ha confermato il ruolo importante della genetica nello sviluppo di alcune forme severe di malattia. Ciò non significa che l'eccesso di mortalità verificatosi nella zona della bergamasca nei primi mesi del 2020 sia stato causato dal possedere i "geni di Neanderthal". Quei geni infatti sono presenti in una discreta porzione di cittadini europei (16%) e buona parte degli asiatici (50%). Per dimostrare invece un nesso causale tra gli incredibili numeri di Bergamo nelle prime settimane di pandemia e i "geni di Neanderthal" occorrerebbe dimostrare che a parità di persone infettate si ammalano più gravemente le persone della sola bergamasca in quanto portatori di questi geni. Non solo, occorrerebbe dimostrare anche che queste varianti siano più diffuse in Val Seriana. Ma questi dati non appaiono in alcun studio. Che questi geni aumentino il rischio è un dato di fatto, come già dimostrato in diversi analisi. Ma la "strage" del febbraio 2020 nelle valli non è stata solo una questione di genetica".
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Enard et al., 2018 |
Bibliografia
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