domenica 19 marzo 2023

Sottoclasse Anapsida (Carbonifero superiore - oggi)


Nel precedente articolo sugli amnioti (per leggerlo, clicca qui), abbiamo parlato in linea generale della loro evoluzione, delle loro caratteristiche e, soprattutto, della suddivisione degli amnioti in 4 gruppi (o sottoclassi) in base alla presenza delle finestre post-orbitali o temporali.

Qui ci concentriamo su un gruppo che tutto sommato non riserba grosse sorprese, ed è la sottoclasse Anapsida, quindi parliamo di quel macro-gruppo che comprende tartarughe, testuggini ecc.. A differenza degli altri gruppi, non sono sono presenti finestre temporali, con le prime forme che comparvero nel Carbonifero superiore. La condizione di "cranio senza finestre" potrebbe indicare che questo gruppo sia la forma ancestrale degli altri amnioti, ma il record fossile indica che è comparso contemporaneamente alle altre sottoclassi e che, nel corso del Permiano, gli anapsidi furono soggetti a una forte radiazione evolutiva/adattativa.

Come in tutte le storie belle e lineari, bisogna fare un appunto sulle finestre temporali. Infatti, secondo uno studio del 2011 (clicca qui), le tartarughe a livello filogenetico (parentale) sarebbero molto vicine e affini ai diapsidi, cioè quegli organismi che sono caratterizzati da 2 finestre temporali (dinosauri, uccelli, coccodrilli). Grazie a una tecnica che utilizza i microRNA per classificare gli organismi, le tartarughe (in senso lato, per rimanere un po' vaghi) condividerebbero un antenato recente con le lucertole (lepidosauri), e non con i coccodrilli.

Sostanzialmente, questi microRNA svolgono diverse funzioni all'interno dell'organismo (come attivare/disattivare certi geni), e lo studio in questione ha identificato ben 77 nuovi "gruppi" (o famiglie) di questi microRNA che permettono, come detto prima, di capire le diverse relazioni e parentele tra i diversi gruppi. Infatti, 'tartarughe' e le 'lucertole' condividono 4 famiglie di queste molecole, mentre con altri organismi non sono state trovate 'affinità'. La conclusione è che, per convenzione (e per necessità, per non complicare troppo la situazione) non possiamo far altro che considerare le tartarughe separate dai diapsidi, ma nulla toglie che con molta probabilità la perdita di finestre temporali (una condizione anapside) potrebbe essere un carattere derivato da un cranio diapside (e non viceversa. E' più facile pensare ad una perdita di certe morfologie). C'è anche da dire che ci sono state ricerche contrastanti, come questa del 2014 che posiziona comunque le tartarughe tra i diapsidi, ma non ci si sbilancia troppo verso gli arcosauri o i lepidosauri.


Immagine dove si delinea la parentela tra le tartarughe e gli arcosauri. Fonte: Field J. D. et al., 2014


Un altro lavoro interessante è del 2013, che indica Eunotosaurus africanus, del Permiano (vissuto 260 milioni di anni fa circa)"parente stretto" delle tartarughe. E' uno studio prettamente embriologico incentrato sulla formazione del carapace ed esprime una serie di caratteri rilevanti, tra cui un numero ridotto di vertebre del tronco allungato (nove), nove paia di costole a forma di 'T', una possibile perdita di muscoli intercostali, una riorganizzazione dei muscoli respiratori sul lato ventrale delle costole, ecc. Queste caratteristiche (e altre che potrete trovare nella pubblicazione) sono conformi alla sequenza prevista di "acquisizione del carattere" e forniscono ulteriore supporto che E. africanus, rappresenta una successiva divergenza dal lignaggio delle tartarughe. Quindi, in parole povere, il "modello tartaruga" (inteso come piano corporeo, ecc.) parrebbe essere comparso nel Permiano medio ed è valido per tutti gli 'anapsidi' che possono essere collocati, a livello genetico, esternamente o internamente alla sottoclasse dei diapsidi. 


Immagine riassuntiva della ricerca. Fonte: Lyson T. R. et al., 2013


Ma tutto questo è un lavoro per i genetisti e i biologi evolutivi, mentre ora è tempo di virare verso la paleontologia. Come detto prima, gli anapsidi comparvero nel Carbonifero superiore, ma la maggior parte scomparve alla fine del Permiano. Tra questi gruppi, sopravvissero i Procolofoni (Superfamiglia Procolophonoidea), un gruppi di piccoli animali da cui, secondo alcuni studi, si sarebbero sviluppate le odierne tartarughe. Vediamo qualche caratteristica:

-avevano un corpo tozzo, corto, e nel complesso un aspetto simile a quello delle odierne lucertole;

-le zampe erano relativamente corte, ma nel complesso sostenevano il corpo;

-non superavano i 30 cm di lunghezza,

-si nutrivano prevalentemente di insetti o rettili relativamente piccoli.


Scheletro di Kapes bentoni (Procolophonoidea). Fonte: Wikimedia commons


In parole povere, gli anapsidi del Permiano erano caratterizzati da un corpo relativamente massiccio, arti sproporzionati e con cinti pelvici abnormi. Quest'ultima struttura, infatti, è lunga come l'omero in tutti i tetrapodi moderni, mentre le proporzioni sono ben diverse in questi primi anapsidi. Questi gruppi incominciano ad essere diversificati, infatti troviamo per esempio  forme erbivore come Scutosaurus karpinskii, una preda tipica dei predatori sinapsidi. 


Fossile di Scutosaurus karpinskii. Fonte: Wikimedia commons



Non dobbiamo dimenticarci, però, delle fauci di questi organismi. Un anapside primitivo:

- Possiede tre muscoli principali per chiudere le fauci (adduttore esterno, posteriore e interno, comprendendo anche lo pterigoideo). Nei mammiferi (e nei cinodonti, un antico gruppo di sinapsidi), per esempio, l'adduttore interno e posteriore  sono molto ridotti ed entrano in gioco due nuovi muscoli derivanti da quello esterno;

- Possiede un muscolo del massetere superficiale e uno temporale in profonditaà.


Le tartarughe in senso stretto (più o meno) sono comparse e si sono diversificate nel corso del Triassico, probabilmente da qualche "antenato stretto" del gruppo appena citato. Però, già con il genere Proganochelys sp. (per lo studio, clicca qui), incominciamo ad avere un assaggio di prime forme di anapsidi simili alle tartarughe odierne. La pubblicazione è del 1990, ed è sostanzialmente uno studio osteologico che ci fornisce molte informazioni su questo gruppo in quanto possiede caratteristiche comuni con i cheloni (e altre completamente assenti in quest'ultimo). 

Sinapomorfie cheloniane (caratteristiche derivate, tipiche dei cheloni):

1) Una corazza ossea costituita da un carapace, formato da ossa costali (con costole fuse), ossa neurali con vertebre toraciche fuse. Il piastrone è formato da clavicola, interclavicola e cinque ossa accoppiate/suturate assieme; il piastrone assieme al carapace racchiudono il cinto pelvico e scapolare;

2)Il quadrato (un osso del cranio, quello che nei mammiferi si svilupperà come "incudine", uno degli ossicini dell'orecchio) è concavo posteriormente ed esposto lateralmente sulla 'guancia';

3) Sono assenti i postfrontali e postparietali (altre ossa del cranio);

4) L'osso lacrimale è di piccole dimensioni;

5) Premascella, mascella e dentale sono privi di denti (edentuli);

6) Le staffe sono solide (simili a dei bastoncini) senza processi e/o forami.

Oltre a possedere delle sinapomorfie con i cheloni, questo genere possiede anche autapomorfie (caratteristiche presenti solo in questo genere):

1) Tubercolo ventrale sul basioccipitale;

2) Una sorta di mazza all'estremità della coda;

3)Formula delle falangi ("manus" e "pes") di 2-2-2-2-2;

4) La morfologia degli arti (assieme al contesto deposizionale dove è stato rinvenuto il fossile) indica che questo genere camminasse sul fondo dell'acqua (dolce), ma che non fosse esclusivamente acquatico o terrestre;

...e caratteristiche tipiche degli amnioti primitivi, assenti nelle tartarughe:

1) Possiede l'osso sovratemporale e quello lacrimale (assieme al dotto lacrimale);

2) L'articolazione basipterogoidea mobile;

3) E' assente la parete laterale ossea nell'orecchio medio;

4) Processo paraoccipitale dell'opistotico saldato/attaccato alla scatola cranica solo alla sua estremità distale.


Fossile di Proganochelys sp. Fonte: Wikimedia commons


Naturalmente, tutto questo è solo un piccolo "racconto" degli anapsidi e in parte della loro evoluzione, ma pian piano aggiungerò informazioni che arricchiranno sempre di più la pagina (questo vale per ogni argomento trattato). Questa volta siamo nel Triassico superiore, e compare l'ordine Testudines. Non entrerò nella diatriba testuggini e tartarughe, considero solo l'ordine in questione "semplificando" con il termine 'tartaruga'. In linea di massima, parliamo di animali caratterizzati da un cranio privo di finestre temporali, massiccio, privo di denti e semimobile. Nel Giurassico la diversificazione continua, infatti abbiamo la comparsa del sottordine Pleurodira e Cryptodira: le prime sono caratterizzate dalla capacità di ritrarre la testa sotto il carapace piegando lateralmente il collo, mentre le criptodire piegano verticalmente il collo. 


Immagine di Pelomedusa subrufa (Sottordine Pleurodira). Fonte: Store Norske Leksikon)


Foto di Aldabrachelys gigantea (Sottordine Cryptodira)










giovedì 16 marzo 2023

I primi amnioti: il dominio delle terre povere d'acqua (Carbonifero medio)

 




Ci troviamo nel Carbonifero (359,2-299 milioni di anni fa circa), un periodo molto importante che succede alla "colonizzazione" delle terre fuori dall'acqua da parte dei tetrapodi (ne ho parlato per Biopills qui). Nel Devoniano, in parole povere, le zone umide e caratterizzate dall'acqua, ospitano questi animali molto 'robusti' che si spostano sostanzialmente da una pozza all'acqua, e da questo primo gruppo si diversificheranno gli anfibi in senso stretto; alcuni li conosciamo benissimo mentre altri sono alquanto...estinti! Tralasciando un attimo questo mondo che merita un articolo a parte, nel Carbonifero compare un altro macro-gruppo che è quello degli amnioti, cioè la stragrande maggioranza dei vertebrati (ad esclusione dei pesci e degli anfibi) che domineranno l'acqua, l'aria e colonizzeranno ogni angolo del pianeta.

La comparsa dell'uovo amniotico è un adattamento straordinario in quanto ha permesso, a chi già possedeva questa caratteristica, di dominare terre relativamente asciutte e prive o povere di acqua, che non sono proprio dei posti ideali per gli anfibi tipici di ambienti relativamente ristretti ed associati alla presenza di acqua, sostanziale sia per lo sviluppo che per la sopravvivenza di questi organismi. Sostanzialmente, è come se questo gruppo trasportasse con sé un piccolo mondo acquatico nel quale far sviluppare e far nascere la prole, in quanto deporre le uova non richiedeva una schiusa in acqua (tutto il necessario è contenuto in questa struttura racchiusa in un guscio di carbonato di calcio).

Gli amnioti più antichi sono datati al Carbonifero medio, anche se alcuni autori tendono a retrodatarne la comparsa al Carbonifero inferiore per via di Casineria kiddi, un possibile amniota arcaico. Vediamo un pochino nel dettaglio le caratteristiche di questo possibile lontano parente (per le fonti, clicca qui e qui).


Foto di Casineria kiddi. Fonte: Wikipedia


Poteva raggiungere i 15 cm circa di lunghezza, e possedeva un mix di caratteri tipici sia degli amnioti che degli anfibi, anche se quelli relativi a quest'ultimo gruppo sono un po' pochi. Non abbiamo uno scheletro completo, infatti manca il cranio, ma non mancano altre caratteristiche come gli arti caratterizzati dagli artigli (forse il primo vertebrato a presentare tale morfologia). Infatti, grazie al Professor Alibardi (2008), biologo evoluzionista dell'Università di Bologna, nonché docente di Anatomia Comparata, sappiamo molte notizie interessanti sugli artigli e sul sistema tegumentario di questo animale e dei "rettili" in generale. Vediamo i punti principali della ricerca:

-gli artigli si originano da un ispessimento dell'epidermide, che ricopre le punte delle dita, nelle quali si aggregano cellule mesenchimali;

-le cellule mesenchimali sono in continuità con le cellule pericondriche (il pericondrio è uno strato compatto di tessuto connettivo ricco di collagene e che riveste le cartilagini) dell'ultima falange. Sono, sostanzialmente, collegate/connesse all'epidermide grazie a numerosi "ponti cellulari" che attraversano una membrana basale incompleta;

-il lato dorsale dell'unghia in via di sviluppo deriva dalla crescita della superficie dell'ultima squama (da non confondere con la 'scaglia' dei pesci) esterna della falange;

-lo strato corneo è costituito da beta-cheratina, e curva verso il basso  dalla punta dell'unghia in crescita.


Immagini istologiche degli artigli in via di sviluppo nella lucertola Anolis lineatopus. Fonte: Alibardi, 2008


 Insomma, è uno studio molto approfondito ed è difficile riassumerlo in poche righe, ma sostanzialmente questo ci dà una panoramica generale sulla complessità dell'unghia, che potrebbe essere un carattere tipico degli amnioti, almeno fino a quando C. kiddi non entrerà definitivamente nel club.

Infatti, si ritiene che questa specie abitasse ambiente relativamente secchi e che fosse in grado di deporre le uova. Le caratteristiche che potrebbero associarla ad un amniote sono molteplici:

-lo scheletro postcraniale è ossificato e adatto alla vita fuori dall'acqua;

-presenta il primo pentadactyl manus, cioè un arto caratterizzato da 5 dita;

-è stato rinvenuto un gracile omero che presenta una diafisi ristretta, e mostra una torsione tra le articolazioni prossimali e distali (sono caratteristiche associate al mantenimento dello scheletro fuori dall'acqua e ad una locomozione in ambienti privi d'acqua).


Una volta lasciato in nostro amico, ci spostiamo nel Carbonifero medio dove troviamo Hylonimus lyelli e Paleothyris acadiana, quelli che sono considerati effettivamente i più antichi amnioti, rinvenuti nei sedimenti della Nuova Scozia. 


Fossile di Paleothyris acadiana. Fonte: wikimedia commons



Ricostruxione di Hylonomus lyelli. Fonte immagine: wikimedia commons


La loro lunghezza non era eccezionale, infatti raggiungevano i 10-20 cm, ma sostanzialmente presentavano una dentatura appuntita, e un cranio leggero. Quest'ultimo particolare va tenuto in considerazione perché sarà un trend evolutivo fondamentale per la diversificazione dei vertebrati dal Carbonifero/Permiano per via della presenza di fori craniali che permetteranno una maggiore inserzione di fasci muscolari, soprattutto per quanto riguarda il morso. Il loro cranio indica che la loro dieta, e quella dei primi amnioti in generale, era a base di piccoli insetti e artropodi, oltre ad avere una testa relativamente più piccola rispetto al corpo agli anfibi, questo perché in quest'ultimi lo sviluppo è più rapido (in generale vale anche per altre componenti ossee, come il cinto pelvico, tanto da presentare componenti grossolane).


Prima di arrivare al succo del discorso, quindi alla suddivisione dei 4 macro-gruppi, dobbiamo un attimo concentrarci sull'uovo amniotico (o cledoico), questo perché sembra banale ma è una linea di demarcazione netta tra gli anfibi e gli amnioti. Queste uova sono caratterizzate da gusci semipermeabili che contengono riserve alimentari e fluidi tali da permettere il completo sviluppo dell'embrione. Come accennato prima, l'uovo amniotico non è deposto in acqua proprio perché, grazie a queste riserve, è stato possibile svincolarsi dall'acqua, o comunque dagli ambienti umidi. Negli amnioti non è presente una fase larvale acquatica (il girino, per intenderci), e allo stesso tempo depongono molte meno uova rispetto a pesci o anfibi, questo perché il dispendio energetico è maggiore e l'uovo va custodito almeno nei primi periodi prima della schiusa (questo discorso, poi, varia da gruppo a gruppo anche in tempi odierni). Di conseguenza, anche la riproduzione avviene sulla "terraferma", e tenendo conto che parliamo di ambienti caldi e secchi, una condizione che nel Permiano si accentuerà, una riproduzione interna svolge un ruolo fondamentale per la sopravvivenza di questo gruppo in nuove zone che fino a quel momento non sono mai state abitate da nessun vertebrato (e questa tipologia di riproduzione, con annessa la possibilità di deporre un uovo amniotico, permetterà questi gruppi di migrare ovunque, colonizzando ogni angolo del pianeta).

Vediamo un po' le componenti dell'uovo cledoico( =chiuso):

-il guscio è generalmente semipermeabile e calcareo, anche se in gruppi come le tartarughe e i serpenti è "pergamenaceo". L'uovo è sostanzialmente una sorta di ambiente semichiuso nel quale entrano o escono gas (grazie alla presenza di piccoli fori), mentre i liquidi vengono mantenuti e "simulano", sostanzialmente, l'ambiente acquatico tanto da possedere le stesse caratteristiche di salinità delle acque salmastre (probabilmente, è il tipo d'ambiente in cui si sono evoluti e sviluppati i primi amnioti). Tutto questo per dire, in parole povere, che è una struttura che protegge dall'essiccamento;

-internamente troviamo le cosiddette "membrane extraembrionali", che sono appunto esterne all'embrione. La prima è il corion, una membrana che copre il tuorlo e svolge un ruolo nello scambio gassoso tra ambiente esterno ed interno, dove sostanzialmente fa entrare ossigeno e fa uscire anidride carbonica (oltre a svolgere un ruolo protettivo nei confronti del sacco del tuorlo e dell'embrione); abbiamo poi l'allantoide, che è riccamente vascolarizzato e anch'esso svolge un ruolo nello scambio gassoso; il sacco vitellino, che contiene tutti i nutrienti (il giallo dell'uovo, per intenderci) che sostengono l'embrione durante lo sviluppo. 


Immagine che rappresenta un embrione (a) ricoperta da corion (e), tuorlo o sacco vitellino (b), allantoide (c), amnio (d). Fonte: wikimedia commons





Cranio di Hylonimus lyelly. Fonte: Wikipedia

A livello morfologico, i cambiamenti sono notevoli. A livello craniale, dobbiamo distinguere gli amnioti arcaici da quelli più derivati (i famosi 4 macro-gruppi), e qui ci viene in aiuto la suddivisione craniale della specie citata prima, Hylonimus lyelli. Il cranio si suddivide in:

1)Regione laterale: mascellare, che porta i denti; premascellare; lacrimale; postorbitale (sarà importante dopo), prefrontale; ecc.;

2) Tetto cranico, dove troviamo il nasale (n) tra le narici, parietale, frontale, ecc;

3)Palato;

4)Regione occipitale, con la scatola cranica che si trova fissata al tetto. Troviamo vari elementi importanti come il sopraoccipitale (so), l'opistotico (op) lateralamnente, l'esooccipitale (eo), ecc., che contengono i canali semicircolari dell'orecchio interno. Il basioccipitale porta il condilo occipitale che si articola con la colonna vertebrale;

5)La mandibola, molto più complessa e diversificata rispetto agli anfibi e ai pesci. L'elemento più importante è il dentale (d), mentre l'articolazione si instaura tra articolare e quadrato.

Piccolo e rapido accenno alle vertebre:

-sono costituite da pleurocentri ad "anello", e tra di essi ci sono piccoli intercentri semicircolari;

-le prime due vertebre (cervicali) sono modificate e formano una connessione con il condilo occipitale del cranio. La prima si chiama Atlante, è formata da 6 elementi che sono il condilo occipitale, l'intercentro che si trova sotto al condilo, il pleurocentro (posteriore al condilo), un arco atlanteo (sopra al condilo) e un protoatlante. La seconda vertebra, invece, si chiama Epistrofeo ed è di grandi dimensioni ed è caratterizzato da un piccolo intercentro (anteriore), seguito da un arco neurale e un pleurocentro;

-tutte le altre vertebre cervicali sono simili tra di loro.

Piccolo e rapido accenno, doveroso, agli arti e ai cinti:

-sono analoghi in pratica a quelli dei tetrapodi del Carbonifero;

-il cinto pettorale è formato da una struttura chiamata scapulocoracoide (due coracoidi + scapola. Il cinto ospita una cavità glenoidea ricurva che "abbraccia", o meglio "accoglie" la testa prossimale dell'omero;

-il cleitro e la clavicola sono ridotti, sostanzialmente, a piccole barre sottili situate anteriormente allo scapulocoracoide;

-l'interclavicola è a forma di 'T' ed è situata centralmente;

-le pelvi sono composte da ileo (sottile, sia ventralmente che sul dorso), ischio e pube massicci che si articolano tra di loro lungo la linea sagittale (simile ai tetrapodi primitivi)

Dopo aver fatto un excursus, anche un po' tecnico, passiamo alla differenziazione del cranio, che è l'elemento fondamentale per distinguere gli amnioti in 4 gruppi/sottoclassi. Sostanzialmente, si dividono 

-Anapsida, con zero finestre postorbitali (tartarughe);

-Synapsida, con1 finestra postorbitale (mammiferi);

-Diapsida, con 2 finestre postorbitali (uccelli, dinosauri, coccodrilli);

-Euryapsida, anch'essa con 1 finestra postorbitale come i sinapsidi, ma in una posizione diversa (ittiosauri).. 

Il problema, con alcuni dati mancanti (non tutto si fossilizza, ahimé), non si sa quale gruppo sia il più arcaico e quale il più derivato, quindi capire "chi è derivato da chi", ma sappiamo che nel record fossile compaiono sostanzialmente assieme, e questo non è altro che un classico esempio di 2radiazione adattativa", cioè una rapida diversificazione in tempi (geologici) relativamente brevi. 

Il cranio degli amnioti, come avete potuto vedere poco fa, si distinguono in base a certe cavità, o finestre, che si formano nella regione temporale del cranio. E' un trend evolutivo, cioè si possono notare delle modificazioni costanti nel corso del tempo di alcune morfologie in certi gruppi, e quello che caratterizza gli amnioti in generale è la riduzione del peso del cranio (anche delle componenti ossee, infatti alcune nei tetrapodi sono assenti mentre nei pesci sono presenti). Questo cambiamento è legato:

-ad un maggior aumento delle inserzioni muscolari;

-una maggiore mobilità della mandibola, soprattutto per quanto riguarderà successivamente il morso.


Suddivisione dei 4 gruppi in base alle finestre temporali. Negli anapsidi (a), non sono presenti finestre. Nei diapsidi (b) sono presenti 2 finestre: la prima tra postorbitale (po), squamoso (sq) e parietale (p); ila seconda tra postorbitale (po), squamoso (sq) e jugale (j). Nei sinapsidi (d) c'è una sola finestra temporale, tra squamoso (sq). postorbitale (po) e jugale (j); negli euriapsidi è presente una sola finestra tra parietale (p), squamoso (sq) e postorbitale (po). 

Fonte immagine: scienceDirect



Fonte del testo (i vari articoli trattati li trovate durante le spiegazioni): 

Anatomia comparata dei vertebrati

Vertebrate Palaeontology (Benton)





lunedì 13 marzo 2023

INTRODUZIONE ALLA PALEONTOLOGIA UMANA E ALLA PALEOANTROPOLOGIA

                                            Foto scattata al Museo CosmoCaixa di Barcellona

Prima di poter scrivere qualsiasi altro articolo che riguarda l’evoluzione umana e dei primati, non si può non incominciare con due concetti fondamentali: la filogenesi(una leggera infarinatura per capire chi è imparentato con chi, e di chi stiamo parlando) ed i modelli evolutivi. Questo perché sarebbe troppo facile, e anche fuorviante, incominciare a parlare dei vari gruppi se non si parte dal principio, quindi capire chi discende/è imparentato con chi, dove vivono i vari gruppi e quando son vissuti. Naturalmente, dopo un'infarinatura "scimmiesca", vi parlerò in linea generale della Paleoantropologia e della Paleontologia Umana, quindi di cosa ci si occupa e del come.


                 

Origine dei primati
Naturalmente, come ben sapete, la paleontologia si basa sullo studio delle somiglianze, della presenza/assenza di caratteri morfologici che hanno permesso di capire quando un determinato gruppo è comparso o scomparso, e in quale range temporale è vissuto. Tra i 145 e i 65 milioni di anni fa circa, i mammiferi erano già presenti in quanto sono comparsi nel Triassico inferiore(251-245 milioni di anni fa circa), convivevano con i dinosauri e discendevano (e discendiamo!) da un gruppo di organismi amnioti, i sinapsidi(molto probabilmente dai Cynodonti), dominanti dalla metà alla fine del periodo Permiano(299-251 milioni di anni fa circa), con alcuni rappresentanti che vissero anche nel Triassico). 90 milioni di anni fa circa, comparvero quelli che sono conosciuti come proto-primati, un gruppo che non possiede qualità morfologiche tali da distinguersi maggiormente dagli altri gruppi che vissero nel Mesozoico, ma già qui abbiamo un indizio veramente importante: i mammiferi erano già diversificati in placentati, i multitubercolati(estinti nell’Oligocene), marsupiali e monotremi.


Immagine di un cynodonte. Fonte: Wikimedia


In particolare, dopo la grande estinzione di massa avvenuta tra il Cretacico e il Paleocene 65 milioni di anni fa circa, i placentati incominciarono a diversificarsi in 4 grandi gruppi occupando in tempi relativamente brevi, geologicamente parlando, la maggior parte delle nicchie lasciate libere dopo la grande estinzione(un classico esempio di radiazione adattativa): xenarthra(armadilli, bradipi, formichieri); afrotheria(oritteropi, sirenidi, proboscidati); laurasiatheria( equidi, rinoceronti); euarchontoglires(Supraprimates, che comprende primati, roditori, lagomorfi).


I primati, quindi, sono un ordine di mammiferi molto importante, sia per il numero che per la varietà tassonomica, con una distribuzione varia e particolare:

-In America centrale e in buona parte del Sud America troviamo le “scimmie del nuovo mondo”;

-In Africa ed in Asia troviamo le “scimmie del vecchio mondo”(escludendo Homo sapiens che vive in ogni continente).

I biomi principali si trovano principalmente nella foresta tropicale in cui si trovano la maggior parte delle specie arboricole(la maggior parte dei primati), o nella savana.

La classica classificazione divideva i primati in scimmie e proscimmie, basata sulla presenza o assenza della chiusura retro-orbitaria(assente nelle proscimmie).

La classificazione attuale, chiamata classificazione cladistica, prende in considerazione la presenza o assenza di un particolare carattere fisiologico del naso: il rhinarium. E’ una zona umida, glabra posta attorno alle narici di molti mammiferi, e per quanto riguarda i primati le Stepsirrhine possiedono un naso bagnato e corto(un elemento arcaico che indica come come sia ancora importante e dominante l’olfatto per questo gruppo. Infatti, la loro vista non è molto sviluppata come nelle Haplorrhine).

Il gruppo che più ha risentito di questo cambiamento di classificazione è quello dei tarsi, in quanto non è presente una chiusura retro-orbitaria tipica delle “proscimmie”, ma viene considerato appartenente al gruppo delle Haplorrhine.


                                       Classificazione dei primati

Caratteristiche (molto) approssimative di un primate
I primati, le australopitecine, Homo sapiens ed altri ominini vicini a noi, possiedono sostanzialmente alcune caratteristiche peculiari che non si riscontrano in altri mammiferi:

-Presentano caratteristiche primitive (nel senso che sono comparse prima a livello temporale rispetto a morfologie comparse in tempi successivi), quindi sono poco specializzati. Questa peculiarità, se ci pensate, permette loro (e qualsiasi organismo non specializzato) di sopravvivere maggiormente in quanto, un organismo specializzato, è destinato ad estinguersi quando l’habitat per cui è specializzato scompare. Uno meno specializzato, in situazioni del genere, ha qualche possibilità in più di sopravvivere;

-Le clavicole svolgono un ruolo importante per il movimento degli arti anteriori;

-Si sviluppa la mano, che permette di interagire sia con i co-specifici che con l’ambiente circostante e, tranne per le proscimmie, gli artigli scompaiono e si sviluppano unghie piatte che garantiscono una certa manualità, grazie soprattutto allo sviluppo del pollice opponibile;

-La dentatura non è specializzata, ed una delle tendenze evolutive sarà quella della diminuzione del numero dei denti;

-Diminuzione della densità della pelliccia e riduzione di peli specializzati(come le vibrisse, che nell’uomo sono formazioni pilifere all’interno del naso). Piccolo appunto: Homo sapiens non è privo di pelliccia, ma il numero di peli che ricoprono il nostro corpo non è così lontano da quelli di un altro primate, semplicemente la densità è diminuita in modo sostanziale;

-Riduzione dell’apparato olfattivo, tranne per le "proscimmie";

-Incremento degli organi visivi(tranne per le "proscimmie" che vedono in bianco e nero) che permette una visione tridimensionale dell’ambiente circostante che va di pari passi con la riduzione dell’apparato olfattivo. Diciamo che buona parte dei primati non esplora più il mondo con i gli odori ma con la vista.

STEPSIRRHINAE
In linea generale indichiamo come Stepsirrhinae quei primati che:

-Danno alla luce numerosi piccoli per volta;

-Giungono allo stadio adulto più velocemente;

-Possiedono un utero bifido o bicorne;

-Che non possiedono una separazione ossea tra orbita e fossa temporale;

-Il volto è allungato e non schiacciato, la formula dentaria è 2:1:3:3 e gli occhi sono relativamente ravvicinati;

-Sono per la maggior parte attivi di notte e possiedono grandi occhi, come sono sviluppati anche gli arti superiori che risultano essere più sviluppati e lunghi di quelli inferiori.

Appartengono a questo gruppo i lemuri e i loris.

HAPLORRHINAE– si dividono in platarrhinae e catarrhinae(che a sua volta si divide in cercopitecine e ominoidea
Questo è un gruppo più ampio che presenta caratteristiche decisamente già diverse dal gruppo precedente:

-L’apparato olfattivo è ridotto, infatti il rhinarium è assente;

-Gli occhi sono molto sviluppati, e le orbite sono separate dalle fosse orbitali grazie alla chiusura retro-orbitaria(sono presenti ampi setti ossei);

-La formula dentaria è variabile con la riduzione o scomparsa di alcuni denti;

-Sono molto abili nell’afferrare;

-Lo sviluppo è molto lento e l’età della maturità sessuale non è precoce.

Troviamo all’interno di questo gruppo i tarsi, le Platyrrhinae(come i cebidi), le Catarrhinae composta da Circopithecoidea(es. mandrilli e babbuini) e Hominoidea(oranghi, gorilla, uomo, ecc.).

MODELLI EVOLUTIVI
Per poter analizzare più avanti nello specifico ciò che riguarda l’evoluzione umana, dobbiamo innanzitutto capire che tipo di relazione filogenetica c’è fra Homo sapiens e le altre scimmie antropomorfe. Sappiamo benissimo che Homo sapiens e Pan(bonobo, scimpanzé) possiedono un antenato comune e un’affinità genetica del 98% circa, a loro volta questi due gruppi possiedono un antenato comune con i gorilla, e a loro volta questi tre gruppo ne possiedono uno con l’orango. La sistematica non è sempre stata questa in quanto, per mancanza di dati paleontologici, si riteneva che gorilla e scimpanzé condividessero un antenato comune, con Homo sapiens che veniva considerato più distante dal punto sistematico, infatti nella famiglia Pongidae venivano raggruppati oranghi, gorilla, scimpanzé, mentre in una famiglia a parte(Hominidae) l’uomo.

Ma quando è avvenuta la divergenza tra uomo e scimpanzé? L’antenato comune risale a circa 7-9 milioni di anni fa.

Ominide? E' più corretto 'ominine' (o 'ominino'. Per la fonte, clicca qui)
Ominide è un termine molto conosciuto, che in generale indica nel linguaggio comune primati estinti vicini ad Homo sapiens, mentre da un punto di vista scientifico indica (o indicava) la famiglia 'hominidae' che comprende uomo, orango, scimpanzé e gorilla.

Ma, da una decina di anni a questa parte, questo termine nel campo paleoantropologico è ormai in disuso e anche fuorviante, ed è proprio dalla scoperta della specie Homo naledi che non tutti i primati che appartengono al nostro lignaggio possono essere definiti 'ominidi'. Mi affiderò a due fonti:
-Il mistero di Homo naledi, libro del paleoantropologo Damiano Marchi. Precisamente a pagina 7, 8 e 9 del suo libro, dove spiega perché è meglio utilizzare il termine 'ominine' (o 'ominino');
-Un articolo dello Smithsonian Magazine (ho allegato la fonte nel titolo).
'Ominine' è un termine utilizzato per indicare l'uomo moderno e tutti i suoi antenati caratterizzati da postura eretta. Come potete vedere dal grafico presente in basso troviamo:
-Gli ominini primitivi, che comprendono generi come Saelanthropus sp, Orrorin sp. e Ardipithecus sp.;
-Ominini arcaici, che comprendono tutte le specie appartenenti al genere Australopithecus e al genere Paranthropus, con annessa la specie Kenyanthropus platyops;
-Ominini derivati, che comprendono tutte le specie del genere Homo.
Il termine ominide, come detto prima e come afferma il Professor Marchi nel suo libro, comprendeva anche l'orango, ma recenti scoperte genetiche indicano che gli esseri umani sono più strettamente imparentati agli scimpanzé di quanto questi ultimi non lo siano con l'orango e il gorilla, oltre al fatto che la nostra specie è affine a tutte le scimmie antropomorfe, quindi una separazione in famiglie non ha molto senso.
Secondo l'articolo dello Smithsonian, invece, non è solo una questione lessicale. Analizziamo un punto alla volta:
-Ominide si riferisce alla famiglia hominidae e un tempo indicava l'uomo moderno e i suoi antenati, comprendendo anche specie come Ardipithecus sp.;
-La famiglia si è "allargata" successivamente grazie all'inserimento del gorilla, dell'orango e dello scimpanzé in quanto, come detto prima, sono gruppi estremamente affini all'uomo (contando che queste specie vennero, in passato, raggruppate nella famiglia parafiletica Pongidae);
-La genetica affermerà successivamente che gorilla e scimpanzé hanno molto più in comune con l'uomo che con gli oranghi, e ciò rende la classificazione precedente obsoleta.
Quindi, in parole povere, con il termine 'hominini' (tribù) si raggruppano l'uomo e i suoi antenati, scimpanzé e gorilla.
Ma utilizzare 'ominide' è sbagliato? Teoricamente no, ma dipende sempre da cosa stiamo studiando. E' una questione di gerarchia. Da un punto di vista tassonomico la tribù si trova ad un gradino più in basso rispetto la famiglia, comprendendo qualcosa di meno generico/generale rispetto a quest'ultima categoria.
Quindi, quando si parla di "evoluzione umana", si considerano solo gli antenati, diretti o indiretti che siano, della nostra specie che sono raggruppati nella tribù 'hominini'.
La questione si può risolvere anche con un esempio pratico e magari con i dinosauri, giusto per avere un esempio che può essere chiaro a tutti. Quando parliamo di dinosauri parliamo di quegli individui appartenenti al superordine dinosauria, e sappiamo che si dividono in gruppi (chiedo scusa al Dottor Cau per la super semplificazione) in ornitischi e saurischi (che a sua volta si divide in sauropodomorpha e theropoda).
Se noi troviamo dei resti di Tyrannosaurus rex, parliamo immediatamente di teropodi escludendo gli altri gruppi e i "vicini" sauropodomorfi, proprio perché quest'ultimo gruppo è composto da specie che nulla hanno a che fare con quella citata, in quanto le specie appartenenti ai sauropodomorfi si sono evolute indipendentemente e parallelamente ai teropodi, ma non sono assolutamente la stessa cosa.
Lo stesso discorso dovrebbe valere quando si parla di ominidi e ominini, proprio perché quest'ultimo gruppo comprende solo individui che fanno parte del lignaggio umano e non ha senso tirare in ballo altri gruppi, come l'orango, con una diversa storia evolutiva.


Ominino vs ominide, parte 2 (per lo studio, clicca qui)

Di recente, un gruppo di paleontologi e biologi evoluzionisti ha pubblicato una ricerca molto importante, che riguarda l'annosa questione dell'ultimo antenato comune tra Homo sapiens(e i suoi antenati) e le altre scimmie, in particolar modo lo scimpanzé.
In paleontologia, si cercano sempre quei "tratti comuni", caratteri condivisi da più gruppi che indicano una parentela, ma di fatto andrebbe considerato anche che l'ultimo antenato tra questi due gruppi potrebbe possedere una serie di tratti unici, diversi da quelli degli umani e delle scimmie moderne, entrambi sottoposti a pressioni selettive diverse.
La genetica e la paleontologia ci indicano che l'ultimo antenato comune tra uomo e scimpanzé è vissuto tra i 9,3 milioni di anni ed i 6,5 milioni, con l'attuale bipedismo obbligato che si è sviluppato molto presto negli ominini. Pertanto, per capire che tipo di pressioni selettive hanno influito sull'origine degli ominini, è necessario ricostruire morfologia, comportamento e l'ambiente dell'antenato comune Pan-Homo.
I primi ominini, probabilmente, discendono da un LCA(last common ancestor, ovvero l'ultimo antenato comune) del Miocene(23-5 milioni di anni circa) che non corrisponde a nessuna grande scimmia odierna. Probabilmente, potrebbe anche non avere una locomozione adattata ad un determinato tipo di ambiente.
Gli esseri umani e gli scimpanzé condividono molte caratteristiche, per esempio il piano corporeo ortogrado che facilita una postura eretta.
Ed è qui che sorge un problema: la documentazione fossile indica che gli antenati degli ominoidi viventi rappresentano un'antica radiazione di specie ampiamente distribuite, e di conseguenza presentano adattamenti diversi tra di loro.

Pertanto, con la carenza di materiale fossile, risulta difficile fare una ricostruzione ben dettagliata della locomozione dell'antenato comune tra Homo e Pan.


Fonte immagine: Fossil apes and human evolution, 2021
L'immagine rappresenta la storia incompleta dell'uomo e delle altre scimmie. Si nota che mancano da scoprire fossili abbastanza completi da attribuire al lignaggio degli scimpanzé e dei gorilla.



Modelli di evoluzione umana
Questo è un piccolo assaggio di un argomento che ha bisogno di essere trattato in un articolo a parte, quindi faccio una breve sintesi. Ogni volta che viene trovato il fossile di una specie, lo stesso scombussolerà un po’ la visione d’insieme dei vari ritrovamenti, soprattutto perché la maggior parte delle volte sono soltanto pochi i resti ad essere rinvenuti e che ci dicono poco o niente sull’eventuale parentela con le altre pecie trovate precedentemente, quindi si utilizzano parametri spesso complessi per poter collocare spazialmente, filogeneticamente e temporalmente le varie specie. Per esempio, il ritrovamento di Homo erectus ha permesso di capire che il genere Homo è comparso più di 1 milione di anni fa. L’aumento del numero delle specie ed una maggiore profondità temporale, non permette di avere una visione lineare, di successione delle varie specie proprio perché più vengono scoperte, e più capiamo che molte di esse condividevano addirittura gli stessi habitat, e non solo il periodo temporale.

Per questo, una visione “a cespuglio” è quella più indicata per rappresentare la complessa relazione tra i vari ominini attraverso questo tipo di grafico (fonte Wikipedia):

La ricostruzione, come quella nell'immagine, è l'unica che giustifica una posizione a sinistra o destra della nostra specie in un grafico (in questo caso in basso). Questo perché in paleontologia si utilizzano campioni di riferimento per capire quale carattere è presente/assente in un dato gruppo, che permette di descrivere una sorta di affinità morfologica che delinea la distanza tra varie specie, o gruppi. Homo sapiens è l'unica specie del genere Homo ancora in vita, pertanto risulta essere il campione di riferimento che ci permette di dire quanto morfologicamente è distante una specie affine alla nostra. Il risultato è un grafico che indica la comparsa/scomparsa delle varie specie, basata sui ritrovamenti fossili, e le possibili relazioni e legami tra i vari gruppi. Inoltre, risolve una questione annosa per molti gruppi, come per Homo naledi che non sappiamo ancora a chi sia più affine, ma lo collochiamo in una data posizione proprio in base ai caratteri analizzati. Non è una ricostruzione filogenetica, ma in questo modo capiamo chi è, più o meno, la specie più vicina ad un'altra senza necessariamente collegarle con una freccia o linea.


Introduzione alla Paleoantropologia e/o Paleontologia Umana: metodi ed analisi
Vi vedo che state andando in confusione, ma ho voluto fare questo scherzetto in quanto questa disciplina, come in generale la Paleontologia, gode della multidisciplinarietà. Che significa? Esistono svariate figure che compiono lavori diversi ma affini come il geologo, il paleontologo in senso stretto, l'archeologo che si occupa di studiare i reperti litici, il (paleo)genetista, l'antropologo fisico ecc. Sostanzialmente, con "paleoantropologo" si indica una figura che prende in considerazioni, per i suoi studi, sia i reperti fossili che litici, e sostanzialmente ha una visuale più ecologica e comportamentale; un paleontologo umano, invece, è colui che si occupa prevalentemente dei fossili, quindi della parte anatomica e biologica. Ma la differenza non è importante, volevo fare questo piccolo appunto giusto per rompervi le scatole..

Quindi, la paleoantropologia, è quel ramo scientifico che si occupa dell'evoluzione umana in quanto ci aiuta a capire "chi è imparentato con chi", quali erano le caratteristiche morfologiche che caratterizzavano un dato gruppo, capire la vita e le abitudini di questi gruppi e il loro legame con l'ambiente e le altre specie, come e dove è migrato un dato gruppo, ecc. Insomma, quest'ambito ci può fornire un sacco di informazioni sul passato e, come accade studiando altri gruppi di organismi, riusciamo a dare una sbirciata nel passato per capire come l'ambiente è cambiato (e come potrebbe cambiare in futuro).

Il problema, a differenza di altri gruppi (come i dinosauri), è che le ossa scarseggiano e questo rende difficoltoso studiare l'evoluzione umana, questo perché

-perdiamo qualche dato per strada visto che non tutto si fossilizza;

-non riusciamo a stabilire relazioni filogenetiche/parentali con precisione, soprattutto per in gruppi di cui possediamo pochi elementi;

-questo deficit aumenta con l'aumentare del tempo. Quindi, avremo molte informazioni che riguardano il passato "recente", mentre per quanto riguarda periodi temporali più lunghi abbiamo sempre meno informazioni. Questo vale per qualsiasi organismo fossile, ma i primati hanno sempre avuto il brutto vizio di riprodursi poco (meno individui ci sono, e meno possibilità ci sono che qualcuno, o parte di esso, si fossilizzi), e di vivere in contesti poco consoni alla fossilizzazione (come le foreste). Insomma, si fa quel che si può con quello che si ha. 

Cerchiamo di fare una carrellata "rapida" sulle varie tipologie di analisi.

Metodi qualitativi. E' un'analisi classica nella quale si descrive una componente morfologica senza ricorrere a formule o a numeri ma alla sola 'anatomia comparata'. Si comparano, infatti, diverse morfologie tra i vari gruppi, e si descrivono in base a ciò che il ricercatore riesce a "vedere". Ma questo metodo è soggettivo, infatti possono esserci diversi punti di vista in base a ciò che si vede, e a come si descrive un reperto. Per esempio, vengono utilizzati termini e/o aggettivi che accompagnano la descrizione dell'osso, per esempio "il cranio di una data specie risulta essere più carenato rispetto all'altro", "data morfologia è leggermente spostata lingualmente", "possiede un marcato toro occipitale", e così via. Insomma, si crea un po' di confusione in quanto la morfologia risulta essere interpretabile in diversi modi. Un esempio pratico riguarda proprio la specie Homo erectus in quanto esistono ricercatori che identificano due gruppi diversi all'interno di questa specie:  Homo ergaster per i fossili africani, e H. erectus per i fossili asiatici. Esistono delle differenze anatomiche, ma altri autori concordano che si tratta solamente di variabilità morfologica della sola specie H. erectus, ma tutt'ora rimane una questione irrisolta (e che non vogliono che si risolva). 

Metodi quantitativi. Qui vengono usate le misurazioni classiche, come per esempio lunghezza e larghezza di un dato osso o dente, ma quantificare alcune componenti anatomiche (come il cranio) non è affatto semplice, e non darà mai un risultato esaustivo. Infatti, qualche dato o dettaglio sfuggirà sempre in quanto non è possibile quantificare per esempio "ossa incurvate", o qualsiasi componente non lineare. Facciamo qualche esempio con il cranio:

-in passato sono stati usati particolari goniometri (mandibolari e facciali) in grado di misurare l'angolo fra il ramo ascendente e il corpo mandibolare, oppure il grado di prognatismo della mascella. Questo non è possibile farlo con tutti i crani in quanto può esserci variabilità anche all'interno della popolazione. Di conseguenza, anche misurare la larghezza del cranio con 'compassi a branche curve'(o anche dritte), non è proprio il massimo;

-esisteva un particolare strumento chiamato 'cranioforo di Mollison', che aveva come compito quello di posizionare il cranio secondo alcuni parametri spaziali rispetto a determinati piani morfometrici, come per esempio il 'piano di Francoforte' (questo piano è parallelo al terreno, e passa tra il punto più alto del foro uditivo esterno e il margine inferiore dell'orbita). Inutile dire che bisogna avere punti di riferimento ben precisi e che gli stessi possono variare da cranio a cranio.

Metodi semi-quantitativi. Diciamo che è una via di mezzo tra i metodi appena visti, infatti si parte da una descrizione morfologica del reperto, e si quantifica successivamente secondo "valutazioni discontinue", utilizzando magari dei numeri (o meglio, un punteggio), con lo scopo di quantificare una data morfologia. Per esempio, in una scala da 0 a 4 possiamo indicare con 0 l'assenza di una data morfologia, con 1 una morfologia "lievemente" accennata fino ad arrivare a morfologie più marcate, o vistose. Insomma, questo metodo è abbastanza soggettivo in parte. 

Analisi fenetica. Si analizzano differenze a livello fenotipico senza tenere conto la storia evolutiva. Si fa un'analisi per "somiglianza", mettiamola così. 

Cladistica. Questo è un metodo molto usato in paleontologia in quanto si considera, a differenza dell'analisi fenetica, la storia evolutiva, quindi si fanno sempre analisi basate sulla "somiglianza", tenendo conto però anche del tempo, e quali caratteri si sono originati prima (primitivi) e quali successivamente (derivati). Ne ho parlato nel dettaglio qui.

Oltre a questi metodi 'classici', negli ultimi decenni si stanno facendo passi da gigante per quanto riguarda lo studio dei fossili:

-l'antropologia virtuale (o paleontologia virtuale). Un metodo che permette di ricostruire in 3D un reperto, consci del fatto che si possono eliminare deformazioni tafonomiche e recuperare la forma "originaria" (la tafonomia studia tutti i processi che avvengono prima e durante la fossilizzazione. Ne ho parlato qui), oppure studiare morfologie che sono difficili da 'interpretare' ad occhio nudo (TAC);

-la morfometria geometrica. E' un'analisi quantitativa, ed è diversa dall'analisi che abbiamo visto prima in quanto non tutti gli oggetti possono possedere misure lineari (quindi quantificabili). Quindi , da cosa differisce dal 'vecchio' metodo? Si prendono in considerazioni punti ben precisi, non si tengono conto delle distanze ma dei cosiddeti "landmarks spaziali" (tri o bidimensionali). Per farla breve, ogni reperto sarà dotato di coordinate (X, Y o Z) in un piano cartesiano. 

Vediamo brevemente alcuni passaggi:

1) Acquisizione landmarks grazie a svariati software che registrano la posizione 'spaziale' dell'oggetto;

2)"Remove non-shape variation", dove si riescono a vedere tutti i punti registrati. Si rimuove la componente dimensionale, così da ricavare la "forma" dell'oggetto. Successivamente, la matrice che si ottiene vinene analizzata a livello statistico;

3)Infine si ottiene un'analisi 'multivariata', dove le 'forme' viste precedentemente ci indicano dove e come sono diverse, o dove 'combaciano' (dove sono simili). E' un confronto, sostanzialmente, tra le varie forme. 

Diverse forme di crani appartenenti alla specie Homo neanderthalensis. Museo di Antropologia di Bologna


Metodi di datazione
Stavo per scrivere un'altra decina di pagine, ricordandomi però di aver già parlato in parte dei metodi di datazione (trovate il link qui). In questo paragrafo, tratterò brevemente di alcune tecniche non trattate in precedenza. 

Paleomagnetismo. Non è un vero e proprio metodo di datazione, ma ci permette di avere un 'quadro temporale' dei depositi e dei resti fossili. Si studia il campo magnetico del passato nei depositi terrestri, e di conseguenza si avrà una suddivisione in 'croni' (periodi) a diverse polarità, relativi agli ultimi 5 milioni di anni:

-Gauss (polarità normale). Il range temporale è di circa 2.588-3.590 milioni di anni fa;

-Matuyama (polarità inversa). Il range temporale è di circa 0,781-2.588 milioni di anni fa;

-Brunhes (il più recente). Segna il limite del Pleistocene medio ed inizia 780 mila annif a circa.

MIS (marine isotope stages). Anche questo non è un vero e proprio metodo di datazione in quanto consente di ricostruire, perlopiù, contesti paleoambientali. Si fa riferimento agli stadi isotopici e ci permette di capire l'andamento dei periodi caldi e freddi del passato grazie agli isotopi 16 e 18 dell'ossigeno. Sostanzialmente, l'isotopo 16-O, il più leggero, evapora più facilmente in acque calde e di conseguenza, a livello proporzionale, avremo meno 16-O rispetto a 18-O (più pesante)


Comunicazione di servizio:
Come annunciato anche sulla pagina Facebook, queste tipologie di articoli sono e saranno sempre in continuo "work in progress", nel senso che man mano che pubblicano altre nuove ricerche (o trovo io quelle già pubblicate in passato) questa sezione verrà costantemente aggiornata, proprio perché il sito ha come scopo quello di raccogliere informazioni nell'ambito evolutivo e catalogarle in base al soggetto. Qui, per esempio, inserirò solo le informazioni che hanno a che fare con il Denisova proprio per evitare inutili dispersioni di informazioni.

Grazie! Buona lettura (forse dovevo inserirlo prima, ma magari avete voglia di visitare di più la pagina).

Mattia P.