L'evoluzione del cervello è un aspetto affascinante per i ricercatori, e non solo. Infatti, comunemente si pensa che una maggiore dimensione del cervello possa corrispondere a una maggiore intelligenza nel corso del tempo. In parte, questo ragionamento è influenzato da una prospettiva antropocentrica dell'evoluzione. Tuttavia, con le ultime scoperte relative ad Homo naledi, ad esempio, o riguardo alla produzione di strumenti in pietra (ho già discusso del 'Limite Sultan' e delle capacità di altri primati di produrre strumenti litici), la nostra comprensione sta evolvendo. Clicca qui per saperne di più).
La prima domanda è: possedere un cervello più grande significa essere più intelligenti? Innanzitutto, non esiste una definizione precisa di intelligenza, poiché un pipistrello potrebbe essere considerato più intelligente di noi grazie alla capacità di utilizzare l'ecolocalizzazione per orientarsi. In sostanza, è un concetto in parte soggettivo e dipendente dai parametri specifici legati al soggetto di studio. In questo contesto, emerge una ricerca del 2012 (clicca qui) che cerca di rispondere alla domanda: più il cervello è grande, più si è intelligenti?
Beh, no, non proprio. Quando si rinviene il cranio di un ominide (o di un ominino), è possibile stimare il volume cerebrale, e, come ben sapete, spesso è difficile trarre conclusioni sulle capacità di un individuo, poiché il volume può variare notevolmente all'interno di una popolazione della stessa specie. Per esempio, nella nostra specie, il volume oscilla attorno ai 1350 cm³ (tra i 1000 e i 2000 cm³). Nel Neanderthal superava i 1500 cm³. Ma avere un cervello più grosso non è necessariamente sinonimo di intelligenza, poiché le variazioni del volume medio del cervello possono essere legate alla dimensione corporea o alla taglia della specie. Ad esempio, il cervello dello scimpanzé raggiunge in media i 400 cm³, ma le dimensioni corporee sono decisamente minori rispetto alle nostre, segno che il volume è legato alla taglia dell'individuo, ma non in maniera proporzionale: nella nostra specie, il cervello costituisce il 2% del peso corporeo, rapporto che nei toporagni raggiunge il 10%. Quindi, per poter confrontare due specie, si utilizza il "coefficiente di encefalizzazione", che esprime la differenza tra le dimensioni reali del cervello di una specie e le dimensioni attese in funzione al peso totale: circa 7,5 è il nostro coefficiente di encefalizzazione; circa 5,3 nei delfini; circa 2,3 negli scimpanzé.
Naturalmente, bisogna escludere il peso del grasso corporeo, e questo comporta un problema quando bisogna misurare il coefficiente di animali di enormi dimensioni, come le balene. Ma tutto ciò non basta perché bisogna tenere conto della genetica, della complessità e funzionalità delle sinapsi e di tanti altri fattori. Ma, in linea di massima, non è proprio la dimensione del cervello a contare. In questo studio vengono mostrati interessanti risultati: l'efficienza e lo sviluppo delle vie neurali, che mettono in comunicazione la corteccia prefrontale laterale sinistra al resto del cervello, sono responsabili del 10% delle differenze di intelligenza individuali. Questo per evidenziare ancora di più il fatto che il concetto di "intelligenza" (qualunque esso sia, perché varia in base agli ambiti di studio), meglio capacità cognitive in questo caso, non è necessariamente connesso alla dimensione del cervello ma alle sue estese connessioni. Potremmo citare tante altre ricerche, e lo faremo in seguito, ma se qualcuno vuole approfondire la questione "intelligenza" in generale, ahimè, questo articolo non lo soddisferà appieno.
Comparazione delle dimensioni e delle forme dei cervelli nei vari primati. Clicca qui per la fonte, utilizzata anche per l'elaborazione di parte dell'articolo |
Torniamo ora ai nostri ominini. Si tratta di un trend evolutivo molto vistoso, perché se confrontiamo il cranio di un H. sapiens con quello di un'australopitecina, vedremo delle differenze sostanziali dal punto di vista delle dimensioni. In sostanza, le specie più recenti possiedono una maggiore dimensione del cervello, escludendo, però, le specie insulari. Homo sapiens, per esempio, possiede una capacità cranica di 1400 cc (può essere espressa anche in cm^3), mentre le grandi scimmie e le specie umane insulari possiedono una capacità cranica di 450-500 cc. Gli antichi ominini possedevano una capacità cranica simile a quella delle grandi scimmie, ed in sostanza assistiamo ad un incremento delle dimensioni di 3 volte in 2 milioni di anni circa. Come spiegato prima, l'aumento delle dimensioni del cervello è un trend evolutivo, anche se fino a qualche tempo fa si pensava che si fosse sviluppato per pressione selettiva della savana, una "nuova" nicchia ecologica. La spiegazione più semplice e razionale è che questo trend si sia sviluppato in modo parallelo ad altri trend, come l'alleggerimento dell'apparato masticatore che ha permesso, in qualche modo, con la progressiva scomparsa della cresta sagittale o di componenti "ingombranti", di risultare più sottile e leggero. Insomma, i vari trend si sono influenzati a vicenda. Ora esistono tanti studi in merito, ma l'incremento della capacità cranica del cervello sarebbe avvenuto per pressione selettiva da parte della Savana, una "nuova" nicchia che ha selezionato individui che possedevano una testa grande. Esistono varie spiegazioni evoluzionistiche, ma questa del 2023 (clicca qui) ne raccoglie un po' e parla di una caratteristica molto particolare: i capelli ricci. Non sto andando fuori tema, tranquilli! I capelli lunghi sono un adattamento ad ambienti assolati e caldi, e sono più efficienti se sono ricci. Quindi, se portate i capelli lunghi, come me, e la gente continua a dirvi "perché non ti tagli i capelli", voi potete citare con tutta serenità questo studio. (clicca qui).
I capelli sono una caratteristica unica del nostro genere, assente in tantissimi altri primati e che svolgono molteplici funzioni: proteggono dal sole, trattengono il calore e, come la "coda del pavone", possono fungere da 'richiamo sessuale' (qui entriamo nel mondo della Selezione Sessuale, che è meglio mettere da parte). Questa ricerca recente afferma che una crespa/riccia e folta chioma parrebbe essere un adattamento degli ominini, in quanto svolgono una funzione termoregolativa in ambienti caldi e assolati, come quelli della Savana.
In mezzo a svariati ed indipendenti cambiamenti, che hanno caratterizzato la storia del nostro genere, e quella degli ominini in generale, l'evoluzione del cuoio capelluto parrebbe essere legata alla postura bipede e ad un corpo relativamente glabro (comunque pieno di peli, ma non più così folti). Infatti, sono stati selezionati individui che possedevano dei veri e propri capelli in quanto questa "particolare peluria", assieme al cuoio capelluto, ridurrebbero (e riducono) al minimo l'aumento del calore dovuto alla radiazione solare. Insomma, la postura bipede ha messo in evidenza e "sotto al sole" i grandi crani tipici del nostro genere, e gli individui che presentavano una capigliatura folta e riccia (è un carattere tipico delle popolazioni africane di H. sapiens) avevano buonissime possibilità di sopravvivenza in certi contesti, come quelli africani (da cui si è originato, appunto, il nostro genere).
Per lo studio sono stati utilizzati manichini termici e parrucche di capelli che sono stati sottoposti a diverse velocità del vento e a diverse temperature (e umidità) per capire se l'ipotesi della termoregolazione fosse plausibile o meno. In effetti, i risultati sono stati positivi in quanto i capelli folti forniscono una protezione al cuoio capelluto stesso, riducono l'aumento del calore dovuto alle radiazioni solari e quelli con una morfologia 'arricciata' forniscono una protezione più efficace per il cuoio capelluto contro le radiazioni solari. I capelli sono estremamente variabili all'interno della popolazione dell'H. sapiens, e fino ad ora la varietà morfologica non è mai stata studiata dal punto di vista evoluzionistico. Il massimo potenziale di perdita di calore per evaporazione dal cuoio capelluto è ridotto dalla presenza di capelli, ma la quantità di sudore richiesta sul cuoio capelluto per bilanciare il calore solare in entrata (cioè guadagno di calore pari a zero) è ridotta in presenza di capelli. In particolare, i capelli più arricciati offrono una maggiore protezione contro l'aumento di calore dovuto alla radiazione solare, ma al momento non si sa bene perché (e forse lo sapremo in futuro).
Come detto prima, le pressioni selettive/evolutive hanno modellato la nostra specie. Il bipedismo, l'encefalizzazione e la perdita di peli folti sul corpo sono i tratti di primo interesse nello studio dell'evoluzione degli ominini e del nostro genere. Con la comparsa (circa 2 milioni di anni fa) di una locomozione bipede obbligata, assieme (e in modo indipendente) allo sviluppo di un grosso cranio (legato ad una riduzione di certe componenti craniche e muscolari), ha significato per il nostro lignaggio un un maggiore costo per quanto riguarda il 'surriscaldamento' del nostro corpo, dovuto alla produzione metabolica di calore associata alla locomozione.
In pratica, i nostri antenati erano una sorta di stufetta ambulante con un corpo pronto a surriscaldarsi subito dopo camminata, e a quel tempo come ben sapete hanno incominciato a colonizzare un po' tutte le terre possibili. Quindi, la sudorazione si è rivelata sempre una buonissima soluzione per abbassare la temperatura corporea in quanto, i peli non più folti (organo vestigiale), non svolgono più un ruolo termoregolativo. È un sistema altamente efficace che non è privo di costi in quanto aumenta la necessità di reintegrazione di liquidi, e quindi se si perde molta acqua si rischia la disidratazione. Quindi, per un ominino con un grosso cranio (encefalizzato), che comporta comunque un costo in termini di calorie, avere una capigliatura folta (e riccia) significa avere un'arma in più per proteggersi dall'aumento del calore, senza rischiare un'immediata disidratazione. Gli uomini calvi sudano "in testa" tre volte in più rispetto a una persona con i capelli lunghi, ma c'è anche da dire che il tasso di sudorazione cambia in base alla lunghezza e alla morfologia del capello. Le persone con i capelli più corti (5 mm) perdono calore più velocemente rispetto a chi possiede una capigliatura lunga 100-130 mm. E il capello arricciato, comune in molte popolazioni africane, parrebbe essere un fenotipo vantaggioso nel ridurre l'aumento di calore dovuto alla luce solare, ma al momento non si sa perché.
Immagine presa dallo studio (clicca qui). Il modello osservato per quanto riguarda il guadagno di calore (decrescente) è questo: Testa "nuda" - capelli lisci -capelli moderatamente ricci- capelli ricci. |
- Il progressivo aumento della Neocorteccia. È considerata la regione responsabile di meccanismi sofisticati come l'abilità sociale, il processo decisionale o la creatività (anche se è meglio rimanere vaghi proprio perché esistono diversi studi etologici che dimostrano che tutto ciò non riguarda solo il genere Homo);
- L'aumento delle Circonvoluzioni della Neocorteccia (quelle sorte di "pieghe" della neocorteccia delimitate da due solchi)
Immagine raffigurante la Neocorteccia. Per la fonte, clicca qui |
Come detto all'inizio dell'articolo, avere un cervello grande non significa essere necessariamente più intelligenti, ma l'aumento della neocorteccia e delle circonvoluzioni comporta un aumento del cervello e della capacità cranica ("CC"), che può essere espressa anche in metri cubi. È un metodo diretto per studiare la possibile grandezza di un cranio o del cervello degli individui fossili. Si possono elaborare dei calchi endocranici che possono permettere di capire se ci sia stato o meno l'aumento delle ramificazioni dell'arteria meningea, che indicano un aumento dell'encefalizzazione. Anche se ci ritroviamo tra le mani specie insulari molto più recenti nel record geologico, con capacità craniche simili a quelle degli attuali gorilla o scimpanzé (400-450 cc), si considera in genere 1000 cc la base da cui partire se si vuole divagare sul concetto di intelligenza, in quanto è la capacità raggiunta (almeno, fino ad ora) da Homo erectus. Diciamo che da questa soglia in poi si hanno degli incrementi vertiginosi e in tempi relativamente brevi.
C'è qualche differenza con il cranio degli altri primati?
Anche se non è più molto usata, la separazione con gli altri primati avveniva in base allo sviluppo del neurocranio e splancnocranio. Senza addentrarci oltre, si tiene conto dello sviluppo ontogenetico:
- Lo sviluppo dello splancnocranio avviene solo nell'adulto nei primati più primitivi;
- I neonati "umani" presentano un neurocranio più "grossolano". Questa caratteristica sembra essersi sviluppata per "Neotenia" (è un fenomeno evolutivo nel quale gli organismi adulti preservano caratteristiche morfologiche tipiche di un individuo giovanile, come una testa grossa e tondeggiante nel nostro caso).
E' una questione di Equilibri Punteggiati?
Questo è un meccanismo evolutivo studiato dal grandissimo Stephen J. Gould. Ci sarebbe tanto da dire, ma in futuro parlerò separatamente (e approfonditamente) di questo studio. Cerco brevemente di elencarne i punti salienti: le popolazioni di organismi mutano continuamente morfologicamente, geneticamente e fisiologicamente. Per quanto riguarda la morfologia, possono avvenire apparentemente pochi cambiamenti nel corso del tempo quando non è in atto nessun fenomeno naturale o ambientale che possa in qualche modo "setacciare" (selezionare) geni o caratteristiche già presenti nella popolazione, accumulati nel corso del tempo. Questo fenomeno è conosciuto anche come "Evoluzione Stabilizzante". Gould cercò di spiegare come mai nel record geologico e stratigrafico ci si trovasse davanti a grandi cambiamenti morfologici e ad un'apparente e veloce speciazione. In realtà spiega come un carattere recessivo possa diventare più frequente rispetto al dominante, trattandosi solo della stessa specie che si dimostra molto cambiata rispetto ad un periodo precedente o a quello studiato:
- se si verifica improvvisamente un grande cambiamento ambientale, la popolazione può separarsi per brevi periodi ed assistiamo a due situazioni: il carattere Dominante rimane tale in una delle due (sotto)popolazioni; quello recessivo diventa molto frequente (e dominante) nell'altra popolazione;
- se queste due popolazioni ritornano a contatto, dopo che il grande cambiamento ambientale ha cessato la sua attività, se non è passato troppo tempo dalla loro separazione queste due popolazioni risultano essere interfeconde. Può accadere che il carattere recessivo (diventato frequente in una delle due sub-popolazioni) possa diventare frequente all'interno della grande popolazione, con quello Dominante in origine che diventa recessivo o sparisce anche grazie al contesto ambientale).
Il linguaggio e il cervello. Quando si parla di questi argomenti, non si può non considerare l'Encefalo, quella parte del sistema nervoso che si trova completamente nella scatola cranica e divisa dal midollo spinale. Per fare un breve recap, possiamo dire che l'encefalo è costituito dal cervello (Diencefalo + Telencefalo), dal tronco encefalico (Mesencefalo e Bulbo) e dal Cervelletto; mentre la corteccia cerebrale è suddivisa in 4 lobi. Un trend evolutivo che caratterizza tutti i primati è la presenza di una superficie cerebrale che risulta essere rugosa, molto più accentuata in primati più derivati (con la conseguenza che la superficie del cervello aumenta). La particolarità è che ogni specie presenta la stessa topologia di rugosità, quindi studiare il cervello a livello fossile è molto importante anche per capire a chi appartiene un dato cranio. Analizziamo brevemente i 4 lobi:
- Frontale. Svolge un ruolo nel controllo del linguaggio e del comportamento motorio;
- Parietale. Svolge un ruolo nell'associazione sensoriale;
- Occipitale. Svolge un ruolo nel controllo della visione;
- Temporale. Controlla l'udito e la memoria.
Beh, ho elencato tutti i lobi perché lo sviluppo di alcuni (e la riduzione di altri) ha caratterizzato l'evoluzione dei primati in generale. In primis, possiamo dire che il lobo occipitale (tranne nelle cosiddette "proscimmie") è quello che si è sviluppato meno nel corso del tempo. Vediamo in breve un paio di cambiamenti: il lobo temporale è la prima macro componente ad essere cambiata nei primati, e ciò non ha permesso lo sviluppo dell'area adibita all'udito; il lobo frontale segue "a ruota" lo sviluppo di quello frontale portando alla comparsa dell'Area di Broca, una componente importantissima per quanto riguarda il linguaggio (a breve lo vedremo nel dettaglio).
La corteccia cerebrale suddivisa in 4 lobi. Fonte: Wikimedia commons |
Con il linguaggio si apre un mondo che collega tanti campi, ma in generale in questo contesto si intende la codifica di suoni controllati, sotto il "comando" della corteccia cerebrale di un solo emisfero (un genere quello sinistro). L'Area di Broca svolge un ruolo importantissimo nella combinazione dei fonemi in parole, e si trova nella porzione posteriore ed inferiore del frontale. La sola presenza di questa componente potrebbe far dire "allora noi sappiamo parlare perché siamo in possesso di quest'area", e invece è presente anche nelle scimmie Antropomorfe e in tanti altri primati. In generale, oltre a svolgere una funzione di codifica nella nostra specie, quest'area è collegata al controllo del movimento dei muscoli della lingua e della laringe, permette il movimento dei muscoli delle labbra (una caratteristica estremamente importante nei primati), della mandibola, delle corde vocali e del palato molle. Insomma, è un'area abbastanza importante. A questo punto, non possiamo non citare altre aree molto importanti:
- l'Area di Wernicke. Svolge un ruolo nell'identificazione e nella decodifica dei suoni (verbali), e comprende la circonvoluzione temporale superiore ed il lobo parietale inferiore;
- l'Area Motrice di Rolando. E' situata nella circonvoluzione del frontale e svolge un ruolo nel controllo dei movimenti delle labbra e della lingua, ma parrebbe non svolgere nessun ruolo per ciò che concerne le parole e i concetti.
Anche altri mammiferi potrebbero parlare, o meglio comunicare come l'uomo?
Molti primati, tra cui H. sapiens, H. neanderthalensis e scimpanzé (ma anche altri mammiferi come i topi), possiedono il gene Foxp2, meglio conosciuto come 'gene del linguaggio'. È localizzato sul cromosoma 7, ed è coinvolto nello sviluppo della parte del cervello che è predisposta alle facoltà linguistiche (il lobo frontale). Allora, ogni animale che possiede questo gene può parlare? La risposta è no, o meglio in linea teorica potrebbe un animale se avesse sviluppato casualmente delle caratteristiche morfologiche che permettano l'articolazione del linguaggio e lo sviluppo di determinate aree del cervello:
- Area di Broca, che permette l'articolazione ed il movimento di labbra, mandibola, lingua, laringe e corde vocali. Quindi, conferisce la capacità di riprodurre fonemi (quest'area esiste anche nelle scimmie antropomorfe);
- Area di Wernicke, che identifica e codifica i suoni verbali.
L'uomo ha avuto la fortuna di avere più proteine codificate dal gene, che hanno portato ad una modificazione tale della bocca e della laringe da permettere l´articolazione di suoni complessi. Nel corso dell'evoluzione, la mandibola umana rispetto a quella degli altri primati è più mobile a seguito dell’alleggerimento osseo da parte della mascella e mandibola. Un elemento importante è l'osso Ioide che sostiene dall’alto la laringe (il condotto che permette il passaggio dell'aria), che a sua volta è collegato alla mandibola da tendini e muscoli. Queste connessioni sono importanti nell’elevazione della laringe durante la fonazione. Anche H. neanderthalensis possedeva tali mutazioni, pertanto si può benissimo pensare che si esprimesse attraverso un linguaggio umano (oltre ad essere capace di pensare in modo astratto, ma questo è un altro discorso). Inoltre, questo gene è molto importante in quanto regola i geni coinvolti nella formazione dei tessuti del cervello, del fegato e del tratto gastro-intestinale. La sequenza della proteina FOXP2 nel corso della storia della vita non si è modificata molto (tranne il tratto poliglutamminico che varia tra i taxa e i generi), infatti la differenza tra la sequenza umana e dello scimpanzé è di soli 2 amminoacidi, con i topi è di 3 e di 7 con il diamante mandarino (uccello passeriforme).
Questo che vedete in foto è il grande Svante Pääbo, uno dei più grandi paleogenetisti della nostra epoca. Ha, inoltre, partecipato ad uno studio su questo "gene del linguaggio". Per la ricerca, clicca qui. |
Immagine del Cromosoma 3 |
Ma, per l'articolazione del linguaggio, non bastano solo queste strutture adibite al controllo di certe strutture anatomiche, ma bisogna anche essere fortunati nel possedere una struttura anatomica consona. In generale, parliamo di laringe e faringe più sviluppate che parrebbero essere comparse in H. neanderthalensis e nella nostra specie. Si potrebbe fare lo stesso discorso con gli scimpanzé in quanto possiedono un apparato vocale simile al nostro, ma esistono comunque differenze anatomiche che limitano, e anche tanto, la capacità di articolazione. C'è anche da dire che una postura eretta, la comparsa di un grosso cranio, un minor prognatismo (una faccia più "schiacciata", per intenderci), l'accorciamento e l'allargamento della cavità orale hanno influenzato, direttamente o indirettamente, l'apparato vocale. Purtroppo, molte strutture (come le corde vocali) non si fossilizzano, quindi è davvero difficile capire quando una struttura complessa come questa sia comparsa. Questa struttura complessa è caratterizzata in primis da un pavimento buccale (formato dalla mandibola) molto più mobile nei primati, dovuto a un trend evolutivo che ha comportato un "alleggerimento" osseo di molte strutture, come la stessa mandibola e mascella. Insomma, non sono strutture rigide come quelle delle australopitecine o dei parantropi.
Ora spostiamoci nella gola (oddio, suona malissimo!). Superiormente, nella parte superiore della laringe troviamo l'Osso Ioide, che la sostiene dall'alto ed a sua volta quest'osso è collegato alla mandibola attraverso muscoli e tendini. Sono molto importanti queste connessioni perché permettono, durante la fonazione, l'elevazione della laringe. Tutti questi mutamenti hanno fatto "indietreggiare" la lingua, che ha comunque mantenuto le sue dimensioni. L'abbassamento della lingua nel collo ha provocato anche la discesa della laringe nel collo. Nei primati non umani, la laringe si trova subito dopo la cavità orale. In tutto questo, anche la Faringe si è allungata e si è disposta perpendicolarmente alla bocca. In questo modo, per forma e posizione, svolge un ruolo simile a quella di una "canna d'organo".
Il risultato sorprendente qual è?
Questa serie di cambiamenti ci permette di parlare (di emettere suoni) e di respirare contemporaneamente. Molti primati non umani è come se possedessero un organo "a canna unica", e ciò a livello articolare è molto limitante. Per questo potete capire che chi possiede, casualmente, una serie di modificazioni come queste, oltre alla presenza di geni come Foxp-2 e di tutto ciò che abbiamo elencato fino ad ora, deve possedere anche una faringe ed una laringe modificate come nel genere Homo. Tutto questo è frutto di casualità e di una bella botta di fortuna, in quanto sarebbe bastata una modifica diversa di una di queste strutture per non riuscire ad esprimerci come facciamo ora.
Comunque, come per qualsiasi struttura anatomica o per qualsiasi componente genetica, acquisire nel corso del tempo una caratteristica favorevole e adattativa non significa che non ci siano limitazioni o conseguenze negative, anzi! Diciamo che l'evoluzione è fatta di compromessi, ma ogni carattere favorevole nasconde qualche "controindicazione". Per esempio, la discesa della laringe nel collo ha causato come effetto secondario quello di renderci abbastanza delicati. Il bolo (quel mix tra saliva e ciò che mangiamo e ingurgitiamo), nella sua discesa verso lo stomaco, può in base anche alla quantità o ad altri fattori ostruire la laringe e causare il soffocamento (e la morte!). Insomma, ogni adattamento ha il suo costo e ci basta comunque osservare i dati odierni per capire che le morti per soffocamento sono tante ma, a conti fatti, si è dimostrata vantaggiosa una struttura modificata come questa.
Confronto delle varie strutture anatomiche tra scimpanzé (sx) e uomo (dx). Per la fonte, clicca qui |
La cottura del cibo, ormai è più che assodato, ha giocato un ruolo molto importante sia per lo sviluppo sociale del genere Homo che per lo sviluppo, in generale, delle abilità cognitive. O meglio, lo sviluppo di un grosso cervello era un trend evolutivo che si stava sviluppando indipendentemente rispetto ad altri cambiamenti, e ciò ha permesso (assieme anche ad un "alleggerimento" delle mascelle e delle mandibole) di nutrirsi anche di carne (cosa che saltuariamente facevano anche le australopitecine, o come fanno molti animali odierni considerati "erbivori" che in qualche modo integrano le proteine nelle proprie diete).
Che il fuoco sia stato padroneggiato dalla specie 𝙃. 𝙚𝙧𝙚𝙘𝙩𝙪𝙨 non è un segreto, in quanto esistono numerose tracce di focolari e di resti organici bruciati (sia animali che vegetali), ma fino ad ora non sono mai stati trovati resti di cottura intenzionale se non in tempi un po' più recenti. Infatti, questa pratica, o meglio quest'attenzione verso la cottura del cibo, era associata solamente alle specie 𝙃. 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨 ed 𝙃. 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 e risalenti, quindi, a circa 200.000 anni fa. Questa scoperta, quindi, retrodata questa pratica di 600.000 anni (780.000 anni circa).
La comparsa della cottura intenzionale non era del tutto chiara fino a questo momento, in quanto si ipotizzava che questa pratica fosse comunque antica almeno quanto la scoperta del fuoco stesso (anche perché la cottura dei cibi ha svolto un ruolo importante per la sopravvivenza del nostro genere, anche e soprattutto dal punto di vista sociale).
Nel sito del Pleistocene medio di Gesher Benot Ya'aqov, Israele, sono stati rinvenuti più di 40.000 resti di pesci d'acqua dolce e resti di focolare datati 780 mila anni circa. Non si tratta di alimenti bruciati, come quelli rinvenuti negli antichi focolari associati a 𝙃. 𝙚𝙧𝙚𝙘𝙩𝙪𝙨, e ciò è stato confermato dagli studi tafonomici del sito.
Sostanzialmente, sono state analizzate le "lische" (fishbone) dei pesci legati al sito e confrontate con quelle di altri pesci rinvenute in altri strati sedimentari non associati a focolari. Le lische associate al sito mostrano una scarsa ricchezza di specie ittiche, con la preferenza di due specie: 𝙇𝙪𝙘𝙞𝙤𝙗𝙖𝙧𝙗𝙪𝙨 𝙡𝙤𝙣𝙜𝙞𝙘𝙚𝙥𝙨 e 𝘾𝙖𝙧𝙖𝙨𝙤𝙗𝙖𝙧𝙗𝙪𝙨 𝙘𝙖𝙣𝙞𝙨. In proporzione, poi, a livello numerico le lische erano poche a differenza dei denti faringei che erano associati a focolari "fantasma" (riconosciuti grazie alla presenza di gruppi di microartefatti e di selce bruciata).
Attraverso un'analisi mediante diffrazione di raggi X, è stato possibile capire che questi denti sono stati esposti a basse temperature (<500°C), indicando che i pesci associati al focolare vennero consumati (e cucinati) in loco.
Quindi, in parole povere, questo studio ci restituisce un bel po' di informazioni interessanti:
- La cottura era controllata, questo perché la bruciatura non intenzionale di un alimento avviene a temperature più alte. Quindi, non vi era un'esposizione diretta dell'alimento alle fiamme;
- La cottura in questo sito non è sperimentale, ed è il frutto di continui accorgimenti che hanno perfezionato ed affinato questa tecnica. Ciò suggerisce che la comparsa della cottura potrebbe essere anche più antica;
Non sono stati trovati reperti ossei umani, e non è chiaro se queste tracce appartengano a 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙝𝙚𝙞𝙙𝙚𝙡𝙗𝙚𝙧𝙜𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 o ad 𝙃. 𝙚𝙧𝙚𝙘𝙩𝙪𝙨. La datazione in questo contesto non aiuta molto;
I pesci pescati sono sostanzialmente "barbi giganti" che potevano raggiungere i 2 metri di lunghezza. Questo fa capire che anche la pratica della pesca è antica e che le tecniche di pesca per pesci di grandi dimensioni doveva essere anch'essa abbastanza affinata.
Sì, lo so! Non è proprio un barbecue preistorico, ma non ho trovato altro. Per la fonte della ricerca, clicca qui. |
In questo studio del 2012 (clicca qui), si fa un po' luce su quest'aspetto. Viene in primis evidenziato il fatto che la nostra specie sia in possesso di un gran numero di neuroni, superiore a quello di tantissimi mammiferi e primati non umani, come gli oranghi e i gorilla (il loro peso, però, supera il nostro di ben 3 volte). Questa sorta di discrepanza tra peso e dimensioni corporee con quelle del cervello ha portato a pensare che lo sviluppo di quest'ultimo non sia stato proporzionale al resto del corpo, una caratteristica che accompagna la nostra specie assieme ad un'evidentissima encefalizzazione e sviluppo delle capacità cognitive. Ma un cervello grande, encefalizzato, è sinonimo di grandi capacità cognitive?
Non proprio, si parte dal presupposto che la proporzionalità tra corpo e cervello sia stata una componente fondamentale dei primati, ma le condizioni ambientali hanno selezionato individui o con un cervello grosso o con un corpo grosso, in quanto a livello metabolico è una condizione abbastanza improbabile possedere tutte e due le caratteristiche. Da una parte abbiamo, per esempio i grandi erbivori appartenenti alla Megafauna, mentre dall'altra abbiamo esili ominini con un cranio/cervello più "grosso" rispetto al corpo. Ma, un cervello grosso, è anche sinonimo di "alto consumo energetico". Infatti, il cervello si trova al terzo posto, dopo fegato e muscoli scheletrici, per quanto riguarda il dispendio energetico nonostante rappresenti circa il 2% della massa corporea: il cervello è responsabile, anche a riposo, di circa il 20% del dispendio energetico complessivo; nei primati, il dispendio da parte del cervello non supera il 9%.
Questo per l'uomo è limitante, perché significa che il fabbisogno energetico debba essere alto e continuo, e ciò dipende anche dalla disponibilità locale del cibo e delle risorse in generale, dal tempo di ingestione e di digestione (e da quanto si consuma in generale a livello calorico, naturalmente!). In parole povere, ominini che dedicavano tante ore del loro tempo alla ricerca di cibo (a basso contenuto calorico), possedevano un cervello simile a quello delle grandi scimmie (anche per quanto riguarda il numero dei neuroni) mentre, specie come H. erectus, che si nutrivano cuocendo il cibo, possedevano dimensioni maggiori del cervello. Ecco, la cottura ha reso disponibile rispetto ai cibi crudi una maggiore quantità di calorie, quindi di ridurre il tempo necessario per la ricerca di cibo. Insomma:
- La diminuzione del tempo di ricerca ha permesso anche, e soprattutto, agli individui del genere Homo di socializzare e di migliorare le capacità cognitive;
- Un minor tempo di ricerca delle risorse ha permesso a questo "compromesso evoluzionistico" (cervello grande + consumo metabolico) la selezione di individui con cervelli più grandi e...dispendiosi.
Cranio di H. erectus visto di profilo. Per la ricerca, clicca qui |
Questo è un concetto che abbiamo appena visto, ma i numerosi eventi ambientali hanno selezionato esseri umani con un cervello grande, un adattamento a diversi contesti ambientali (come la Savana) e anche sociali (competizione tra gruppi e cooperazione sociale). Questo studio del 2018 (clicca qui) si pone l'obbiettivo di rispondere ad una domanda: perché il cervello umano è così grande? In sostanza, diversi fattori ambientali e sociali hanno selezionato individui con un cervello grosso. In tutto questo, bisogna sempre considerare l'elevato fabbisogno energetico del cervello, e più un cervello è grosso e più...consuma, questo sempre in proporzione al suo volume. Ma quali sono stati i vantaggi (e gli svantaggi) di questo carattere? Le ipotesi principali vertono verso una maggiore capacità cognitiva che avrebbe permesso di superare sfide ecologiche ardue, e in misura minore anche sfide socio-culturali. I ricercatori hanno valutato la correlazione tra le varie specie di ominini e le relative dimensioni craniche, ma in primo luogo non si riesce a capire quali siano state le cause (e gli effetti) di cervelli così grossi. Ciò che si può fare, in modo oggettivo, è stabilizzare i costi metabolici del cervello in relazione all'età degli individui, all'aumento dei tessuti cerebrali, e ad altri fattori ontogenetici. Il risultato è che esistono 4 possibili scenari ecologico-sociali in merito:
- l'individuo che fa fronte ad esigenze ambientali;
- l'individuo coopera con altri individui per far fronte ad esigenze ambientali;
- competitività individuale e di gruppo (esigenze socio-culturali);
- un cervello grosso permette di affrontare sfide diverse ed è stato il prodotto di cambiamenti ecologico-ambientali (il 60%), per il 10% per competizione tra gruppi e per il 30% legato alla cooperazione.
Questi 3 geni, secondo questi studi (clicca qui e clicca qui) sono responsabili dell'eccezionale aumento del cervello umano. Uno di questi 3 è comparso circa 3-4 milioni di anni fa mentre, gli altri 2, in tempi successivi. Così, a poco a poco, l'azione di questi 3 geni ha influito sullo sviluppo del cervello triplicandone le dimensioni. Questi tre geni sono stati battezzati NOTCH2NL A, NOTCH2NL B e NOTCH2NL C ed appartengono ad un gruppo di geni definito "Notch", che si è conservato per centinaia di milioni di anni (e svolge un ruolo importantissimo nello sviluppo embrionale). Sono situati sul cromosoma 1, in una regione già conosciuta per via delle malattie genetiche legate ai cambiamenti di dimensione del cervello, come per esempio la macrocefalia e i disturbi dello spettro autistico (quando sono presenti microduplicazioni, cioè piccoli frammenti di DNA duplicati), e la microcefalia e la schizofrenia (quando mancano piccoli frammenti di DNA, o microdelezioni). Questi geni sono il frutto di un "errore di copia" del gene NOTCH2, che svolge un ruolo nella differenziazione delle cellule staminali. Sarebbero frutto di tre episodi di duplicazione parziale, e del successivo tentativo di "riparazione cellulare" che non è andato proprio a buon fine.
In generale, da una cellula staminale si possono rigenerare 2 cellule staminali o 2 neuroni (oppure una cellula staminale progenitrice e un neurone). Nella corteccia cerebrale, però, i geni NOTCH2NL parrebbero avere una sorta di preferenza per le cellule staminali che producono altre cellule staminali, il che si traduce nella produzione di più neuroni.
Vediamo cose che non ci sono: un piccolo sguardo al fenomeno della Pareidolia. E' un fenomeno psicologico istintivo che porta a vedere ciò che non c'è. La più diffusa è quella che ci fa vedere i volti dove effettivamente non ci sono, ma il nostro cervello associa quella forma ad un qualcosa che conosciamo in quanto quella forma ci provoca una certa emozione, positiva o negativa che sia. Quante volte vi sarà capitato di scambiare un'ombra per una persona? Potete stare tranquilli perché non siete pazzi, ma è il nostro cervello che cerca di metterci in guardia. È un fenomeno che ha una grande valenza evolutiva in quanto associamo immagini o suoni ad una forma familiare e conosciuta a noi (e al nostro cervello), che ci porta effettivamente a vedere qualcosa che non c'è ma che si trova solo nella nostra testa. Questo ci ha portato, nel corso della nostra evoluzione, ad essere più reattivi al pericolo poiché ci permette di individuarlo anche con solo pochi indizi. È sempre meglio scappare da un'ombra che sembra un predatore senza correre il rischio che il predatore effettivamente ci sia.
Esistono anche altre varie sfaccettature che riguardano la nostra quotidianità, come per esempio la Pareidolia acustica, cioè quel fenomeno che ti porta ad associare una canzone ascoltata al contrario ad un messaggio satanico o complottistico (Lady Gaga e Katy Perry ne sanno qualcosa). La pareidolia è la spiegazione più semplice e razionale ai fenomeni paranormali. Quindi, non preoccupatevi se vedete un fantasma di notte perché è sicuramente il vostro cervello che vi sta mettendo in guardia davanti ad un possibile pericolo o sta semplicemente scambiando un'ombra a forma di sagoma per un qualcosa di paranormale.
Beh, questo fenomeno caratterizza tanti altri animali, come per esempio gli scimpanzé (clicca qui), e questo denota come questa capacità sia un'eredità antichissima. Non essendo il mio campo quello dell'etologia, proverò in breve a parlare di questa ricerca. I ricercatori si sono posti l'obiettivo di capire se anche gli scimpanzé siano in grado di vedere facce mentre guardano le nuvole, e per far ciò hanno scelto 5 scimpanzé provenienti dall'Università di Kyoto. Questi erano già abituati al riconoscimento dei volti, pertanto sono stati sottoposti a test visivi di vario genere. Le immagini contenevano vari oggetti che ricordavano delle facce (felici o tristi). I ricercatori, per capire se vedessero veramente volti negli oggetti, hanno modificato queste immagini (distorte). Il risultato è che questi primati hanno mostrato una netta preferenza nello scegliere le immagini che ricordassero facce. Insomma, i risultati dimostrano che gli scimpanzé sono in grado di riconoscere volti in qualsiasi oggetto o forma.
Anche se è un fenomeno comportamentale che non si preserva nel record fossile, questa volta corre in nostro aiuto l'arte rupestre. Infatti, uno studio indica che l'arte rupestre già circa 40.000 anni fa era, in parte, influenzata dal fenomeno visivo della pareidolia. I dipinti degli animali rinvenuti in alcune grotte nel nord della Penisola Iberica sono caratterizzati da figure semplici, coadiuvate da crepe e curve, assumendo forme semplici. Sono stati utilizzati software per replicare le fonti di luce utilizzate dai paleoartisti (fuoco o da piccole torce).
Il risultato è che oltre il 50% delle raffigurazioni mostra una forte relazione con le caratteristiche naturali della grotta. Erano semplici e prive di particolari dettagli come capelli o gli occhi, e ciò suggerisce che la pareidolia guidasse in parte gli artisti. Ad esempio, i bordi curvi della parete della grotta venivano usati per rappresentare il dorso di animali come i cavalli, mentre le fessure venivano usate per rappresentare le corna di bisonti o di altri bovidi. I dettagli comunque indicano che l'80-83% delle pitture di Las Monedas e Las Pasiega possiede una relazione diretta con le caratteristiche topografiche della grotta. Si tratta di uno stile relativamente semplice, come se i paleoartisti non avessero aggiunto volutamente dei dettagli. Magari rispecchiava il movimento artistico dell'epoca e di quella data regione. Per La Pasiega, ad esempio, le zampe posteriori degli animali sono spesso raffigurate rappresentando solo la testa e la linea dorsale dell'animale, caratteristica tipica delle raffigurazioni delle zampe posteriori nel tardo Solutreano della Spagna settentrionale.
A questo punto, gli autori parlano di una sorta di "collaborazione" tra grotta e l'artista, con la pareidolia che assume ruoli diversi in base al contesto. Poteva essere Dominante, quando la pareidolia era il fattore dominante che influenzava le rappresentazioni figurative, seguendo esclusivamente i tratti topografici della grotta. Assumeva un ruolo Collaborativo quando la pareidolia giocava un ruolo importante, ma parziale, assieme all'intenzionalità dell'artista, aiutandosi con le curve o le fessure della grotta e andando oltre aggiungendo altri dettagli o particolari. Infine, poteva svolgere un ruolo Passivo: la pareidolia è quasi ininfluente, con l'artista che dà completamente sfogo alla sua creatività.
Questo non vuol dire che tutte le immagini fossero completamente guidate dalla pareidolia, ma che anche in parte gli artisti abbiano sfruttato fessure o bordi naturali come base per la loro creatività. È un processo ricco di sfumature, con la grotta che aveva il potenziale di esercitare una forte influenza sulla forma e il posizionamento delle raffigurazioni.
Pitture rupestri della grotta di Las Monedas. Per la fonte, clicca qui.Un aiuto dall'Omega 3 (clicca qui). Prima si pensava che tra le specie umane Homo sapiens fosse l'unica ad avere anche una 'dieta marinara', ma questa "recente" ricerca ha indicato che questo tipo di dieta non era estranea a H. neanderthalensis. Resti di cibi 'marini', infatti, sono stati trovati nella grotta di Figueira Brava, sulla costa atlantica del Portogallo. Si tratta di cozze, vongole, granchi, cefali e orate datate tra i 100.000 e 90.000 anni fa che rivoluzionano l'immagine che avevamo sui Neanderthal: non erano solo 'cacciatori di selvaggina' e abitavano lungo gli insediamenti costieri, proprio come il Sapiens. Questa scoperta indica, inoltre, che la dieta del Neanderthal era quindi ricca di Omega 3 e di acidi grassi che favoriscono un buon sviluppo del cervello. Vediamo "leggermente" nel dettaglio gli alimenti che sono stati rinvenuti nel sito:
- Piccoli vertebrati, selvaggina e mammiferi marini. Sono presenti sia specie stanziali che migratorie, come denotato dalla presenza di molti uccelli marini che si riproducono nelle vicinanze delle coste o sulle scogliere. In generale sono stati trovati anche resti di carnivori (circa il 4%), di animali di piccola taglia (i lagomorfi sono poco rappresentativi rispetto a quelli di selvaggina come cavallo cervo, ecc., che rappresentano l'89% dei mammiferi identificati) e di grande taglia, come orsi bruni e lupi (circa il 7%);
- Dei "Sampei" provetti. Questi neanderthaliani vissero in prossimità di una costa rocciosa, dove raccolsero sistematicamente patelle, granchi e una moltitudine di pesce. Infatti, sono state ritrovate tante ossa e denti, per la maggior parte appartenenti ad anguille, murene e gronghi. Le anguille erano belle grosse, raggiungendo anche i 30 cm di lunghezza;
- Resti vegetali. L'87% del carbone identificato appartiene a Pinus pinea, e ciò denota che questa specie fosse utilizzata come combustibile, ma la maggior parte dei resti bruciati di pino sono gusci di noci e brattee. Venivano raccolti i frutti di questa specie;
- Una moltitudine di crostacei. Sono stati rinvenuti resti appartenenti a vari generi: Bittium, Nucella, Tritia e molti altri. Sono stati utilizzati per creare ornamenti (molti gusci sono stati forati), ma venivano raccolti sistematicamente e ciò porta alla conclusione che venissero utilizzati anche in ambito culinario. Cosa possiamo dire sulla dieta di questi neanderthaliani dell'ultima Interglaciale iberica? In sostanza, si nutrivano in modo simile agli esseri umani dell'Olocene mentre, per quanto riguarda la sussistenza in sé, erano sia cacciatori che pescatori (in ambienti soprattutto temperati). La raccolta sistematica di molluschi implica una grande conoscenza del mare e di tutti i fenomeni legati ad esso (come le maree) lungo il litorale portoghese. Ciò presuppone uno sviluppo cognitivo non di poco conto.
Cosa possiamo dire sulla dieta di questi Neanderthaliani dell'ultima Interglaciale iberica? In sostanza, si nutrivano in modo simile agli esseri umani dell'Olocene, mentre, per quanto riguarda la sussistenza in sé, erano sia cacciatori che pescatori (in ambienti soprattutto temperati). La raccolta sistematica di molluschi implica una grande conoscenza del mare e di tutti i fenomeni legati ad esso (come le maree) lungo il litorale portoghese. Ciò presuppone uno sviluppo cognitivo non di poco conto.
Crani Sapiens (sx) e Neanderthal (dx) a confronto |
La diminuzione delle taglie delle prede ha influito sull'uomo sia a livello biologico che culturale (clicca qui). Nel Paleolitico Inferiore, gli strumenti litici e non solo erano stati sviluppati per la caccia alle grandi prede, come mammut o grandi elefanti. Tuttavia, la scomparsa della cosiddetta 'Megafauna' ha spinto l'uomo a modificare un arsenale fino ad allora efficiente per la sopravvivenza della nostra specie, portando così alla comparsa di armi specializzate nella caccia alle piccole prede. In parole povere, le armi sono diventate una sorta di risposta adattativa a questa pressione evolutiva, ovvero la diminuzione della dimensione e della taglia degli animali.
- In un periodo compreso tra 1.5 milioni e 20 mila anni fa, la preda dominante all'inizio di questo periodo era un elefante di circa 12 tonnellate, mentre alla fine la "preda tipo" era una gazzella di 25 kg.
- I dati indicano che il peso medio degli animali cacciati fino a un milione di anni fa era di circa 1 tonnellata, mentre in periodi più recenti scendiamo fino ai 50 kg circa 20 mila anni fa.
Questo ha portato a pensare che la dimensione delle prede abbia giocato un ruolo importante nell'evoluzione umana: ci si nutriva di animali grandi, e in assenza di essi l'uomo si concentrava su animali più piccoli. Alla fine, in assenza anche di animali piccoli, l'uomo incominciò ad addomesticare piante ed animali fino ad arrivare al Neolitico con l'agricoltura. Questo spiega anche la comparsa di cibi a base di legumi o di altri vegetali che risultavano essere un ottimo pasto sostitutivo o integrativo, anche per le popolazioni neanderthaliane.
Gli autori entrano nei soliti discorsi sull'intelligenza e sulle capacità cognitive, poiché questi dati dimostrerebbero che la caccia alle piccole prede abbia selezionato umani in grado di costruire armi specializzate per cacciare "da lontano". Gli esseri umani diventarono più attenti e concentrati sulla preda, sviluppando la capacità di seguirne le tracce e imparare come catturarla. Una sorta di "paleo-etologi" molto pazienti. Questo indica che le prede piccole dovevano, in qualche modo, garantire un'assunzione energetica simile a quella di un grosso mammifero, e gli autori propongono che la diminuzione di taglia degli animali sia stata una pressione evolutiva che ha selezionato umani con capacità cerebrali più sviluppate, in grado di garantire un ritorno energetico che coprisse l'investimento nella caccia di animali non proprio facili da catturare.
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