martedì 13 giugno 2023

𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙡𝙪𝙯𝙤𝙣𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 (67.000 (?) - 50.000 anni circa): breve racconto sull'insularità e sulla paleobiogeografia



Questa specie è stata scoperta di 'recente', e ciò ci fa capire che studiare l'evoluzione umana a volte risulta essere molto complicato, soprattutto quando vengono scoperti individui che non sai come collocarli nell'intricato ramo filogenetico, come ad esempio Homo naledi (clicca qui), Homo floresiensis (clicca qui) o il recente Homo luzonensis.

H. luzonensis è stato rinvenuto nella grotta calcarea di Callao nelle Filippine, e il primo reperto, un metatarso, è stato scoperto nel 2007 (la pubblicazione è del 2019) e datato a circa 67.000 anni (Pleistocene superiore). Il primo dato straordinario di questa scoperta è che questo metatarso risulta essere la prima testimonianza della presenza del nostro genere nelle Filippine, ben prima dell'arrivo della specie, avvenuto solamente circa 35.000 anni più tardi.




Fonte: Détroit, F., Mijares, A.S., Corny, J. et al. A new species of Homo from the Late Pleistocene of the Philippines. Nature 568, 181–186 (2019).


I resti rinvenuti sono molteplici: sette denti tra premolari e molari, due falangi della mano e del piede, e una diafisi ("albero femorale"). Tutti questi resti appartengono ad almeno tre individui (due adulti e un giovane). Questi sono i cosiddetti "paratipi", cioè resti che sono stati rinvenuti o classificati dopo l'olotipo (il primo resto ad essere classificato come "nuova specie"). Per quanto riguarda quest'ultimo, è rappresentato solo da premolari e molari. Grazie ad analisi morfometriche, è stato possibile associare questi resti a una nuova specie appartenente al genere Homo. L'osso del piede inizialmente è stato assegnato al genere Homo senza sapere a quale specie appartenesse (in questi casi, si utilizza la dicitura Homo sp.), ma i successivi ritrovamenti di altri resti appartenenti ad almeno tre individui, scoperti nello stesso strato stratigrafico della grotta dove è stato trovato il metatarso, indicano che si tratta di una specie nuova, proprio perché mostra un mix di caratteri primitivi e derivati, diversi ma anche simili a quelli di H. sapiens o del "vicino" H. floresiensis (Flores è un'isola dell'Indonesia). Per esempio, i denti sono simili per dimensione e forma a quelli di H. sapiens (i molari sono piccoli con poche crenulazioni, una caratteristica affine alla nostra specie), Homo neanderthalensis, a quelli di Homo erectus e a tratti anche a quelli del genere Paranthropus, per quanto riguarda la forma della corona e della giunzione dentina-smalto. delle radici. Mentre, le ossa del piede e della mano, soprattutto per quanto riguarda le falangi, sono simili persino a quelle delle australopitecine, ma al momento le informazioni sono poche per poter stabilire il tipo di locomozione di questa specie. Insomma, è caratterizzata da un mix di morfologie arcaiche e derivate, un vero 'mosaico' evolutivo. I reperti ci forniscono, però, altre informazioni molto affascinanti:

  • Le dimensioni dei molari indicano che doveva essere una specie di piccole dimensioni, e potrebbe trattarsi di un caso di nanismo insulare (come per H. floresiensis). Raggiungeva a malapena il metro d'altezza;
  • H. luzonensis è la seconda specie del genere Homo (se non consideriamo anche H. naledi, in quanto non è una specie insulare, ma ha subito modificazioni simili ma in un contesto continentale) e visse a est della Linea di Wallace durante il Pleistocene superiore, sottolineando che le isole del sud-est asiatico ebbero un ruolo importante per l'evoluzione umana;
  • Nella grotta sono state trovate ossa di rinoceronte macellate, non escludendo che questi piccoli umani cacciassero;
  • Viveva in un ambiente boscoso. Forse poteva arrampicarsi? Le prossime ricerche ci diranno qualcosa in più sulla locomozione.


Fonte: Détroit, F., Mijares, A.S., Corny, J. et al. A new species of Homo from the Late Pleistocene of the Philippines. Nature 568, 181–186 (2019).



La datazione ci ha permesso di collocare questa specie nel Tardo Pleistocene, in un range temporale compreso tra i 50.000 e i 67.000 anni, ma anche da questo punto di vista ci vorranno altri studi per avere una datazione un po' più precisa. Prendendo per buona questa cifra, questa specie visse in un periodo relativamente popolato da ominini: H. floresiensis era presente sull'isola di Flores (un vero e proprio "vicino di casa"), gli ultimi esemplari di H. erectus sono prossimi all'estinzione, H. neanderthalensis assieme a H. sapiens e all'uomo di Denisova si accoppiavano tra Europa, Asia e anche nel sud-est asiatico. Insomma, è difficile stabilire una parentela proprio per la presenza di numerose popolazioni in giro per il mondo, e difficilmente possiede una storia evolutiva simile a quella di H. floresiensis (che parrebbe discendere da un'antica popolazione di ominini risalente a 2 milioni di anni fa circa, o da una popolazione arcaica (non derivata) di H. erectus). Quindi, sempre con pochi dati in mano, è meglio non spingersi oltre in questi discorsi.

La cosa certa è che si tratta di una specie insulare, di piccole dimensioni rispetto alle altre specie del genere Homo ma simile ad un'australopitecina. Come per il vicino di casa di Luzon, questa specie (o comunque il lignaggio a cui appartiene) è stata caratterizzata da una dispersione dal continente attraverso dei corridoi 'geografici', per poi rimanere 'intrappolati' con l'innalzamento del livello marino (questo è un periodo caratterizzato da fluttuazioni climatiche, e di conseguenza da fluttuazioni marine).

Le isole, come vedremo dopo, sono molto importanti per quanto riguarda fenomeni evolutivi come l'effetto fondatore, la deriva genetica, la speciazione in generale e il "rimpicciolimento" di specie di grandi dimensioni (o viceversa, con il cosiddetto 'gigantismo insulare'). C'è anche da dire che anche la questione paleobiogeografica è alquanto dibattuta in quanto alcuni suggeriscono una migrazione dalle Filippine, mentre altri affermano che i ponti durante l'ultima era glaciale, tra il Passaggio di Sibutu e lo Stretto del Mindoro, non sarebbero stati completamente chiusi. Quindi, potrebbe discendere da una popolazione ben più antica e non essere arrivata in tempi "recenti" sull'isola di Luzon.

Come per H. floresiensis, trovo a questo punto doveroso parlare di una disciplina che ci può aiutare molto per comprendere come queste specie insulari, o meglio i loro lignaggi, possano essere riusciti ad arrivare in un luogo ora (e da migliaia di anni) inaccessibili.



Introduzione alla Paleobiogeografia

Per capire il concetto di insularità e di 'nanismo', non si può non parlare di una branca della paleontologia molto affascinante e importante: la paleobiogeografia. In sostanza, è una branca parallela a quella della Biogeografia. Quest'ultima studia la distribuzione nello spazio e nel tempo degli organismi viventi (e i fattori che causano ciò). Indaga, quindi, lo sviluppo, l'estensione e l'avvicendamento nel tempo degli areali delle specie (naturalmente, ne studia anche la sovrapposizione).

La Paleobiogeografia è una disciplina simile, ma i protagonisti sono i fossili e di conseguenza i dati a nostra disposizione sono il più delle volte incompleti, quindi studia la distribuzione geografica degli antichi esseri viventi. E' una scienza complessa perché sappiamo dove è stato rinvenuto un dato fossile di una data specie, ma non sappiamo come e dove questa specie si è sviluppata (cosa possibile attraverso il rinvenimento di altri fossili appartenenti alla medesima specie). Quindi, si studiano le relazioni dal punto di vista evolutivo delle specie, si studiano come le barriere geografiche cambiano nel corso del tempo (come mari o catene montuose), e le variazioni climatiche ed ecologiche che si sono succedute nel corso del tempo. Incominciamo a vedere qualche concetto importante.

Areale. Lo abbiamo citato prima, è un concetto importantissimo in Ecologia ed è, sostanzialmente, la base da cui iniziare per l'indagine biogeografica. Si tratta di una porzione di spazio geografico nella quale è possibile trovare una data specie in un certo intervallo di tempo. Tutto questo viene rappresentato attraverso una mappa nella quale si inseriscono coordinate, o punti, che rappresentano la distribuzione della specie. Per definire meglio questo concetto, bisogna in qualche modo citare e distinguere due "visioni", o metodi di studio:

  • Visione Diacrona. La specie viene considerata come una sorta di 'unità di misura' dotata di spazio (quindi, di coordinate geografiche). Si descrive, in parole povere, la posizione dello spazio nel quale è possibile trovare la specie. Lo spazio/areale si sviluppa con la specie che lo occupa (e si estingue assieme ad essa);
  • Visione Sincrona. Qui si prende in considerazione solamente la presenza o l'assenza di una data specie in un dato ecosistema (es. per indicare la presenza o assenza di uccelli migratori);

In Paleontologia dobbiamo affidarci a una visione Sincrona, poiché sono i fossili di una data specie a stabilirne l'areale. Se trovo un fossile in Italia e uno in Germania, possiamo in qualche modo tracciare l'antico areale di una specie estinta tra questi due stati (tenendo conto dei cambiamenti geografici avvenuti nel tempo). Naturalmente, più fossili si trovano e maggiore sarà l'accuratezza, ma, come ben sapete, non sempre la zona in cui si trovano i fossili è quella in cui vissero (i resti ossei possono essere trasportati attraverso fattori biotici, come i carnivori, o da fattori abiotici come l'acqua). In generale, e anche a livello teorico, si considera un range temporale di 1-2 milioni di anni per indicare la durata di una specie, quindi si parte anche da questo presupposto quando scarseggiano i fossili. La presenza di una specie mi fornisce, quindi, un "marker temporale". Ma l'areale è un'unità estremamente variabile e può cambiare nel corso del tempo, oppure variare ciclicamente (stagioni). Quindi, l'areale di una specie può subire riduzioni, spostamenti, può frammentarsi e subire una miriade di modifiche prima di scomparire con l'estinzione della specie. In sostanza, con l'areale possiamo:

  • Studiare e ricostruire i movimenti di una popolazione (o parte di essa) dal punto di vista geografico, che possono essere casuali o non casuali;
  • Studiarne i limiti, quindi capire lo stato di salute di una data popolazione: qual è l'apporto di individui nella zona centrale (in generale, i limiti sono occupati da individui non riproduttivi);
  • Studiare le variazioni climatiche sia a livello locale che globale (umidità, temperatura, ecc.), proprio perché il clima determina l'estensione e la forma dell'areale. La temperatura con le sue oscillazioni è responsabile della distribuzione degli organismi nello spazio.
Regola di Rapoport. Beh, ora le cose si fanno un po' più interessanti. Questa regola definisce il rapporto tra le dimensioni dell'areale e la latitudine. In parole povere, più ci si avvicina all'Equatore e più diminuisce l'area di distribuzione della singola specie (questo perché aumenta il numero delle specie). Più ci si avvicina ai poli, e più troveremo un numero di specie minore rispetto all'equatore ma caratterizzati da un areale più ampio. Quindi, la stabilità e la diversità di una specie dipende dal tipo di ambiente, dal numero e dalla quantità delle risorse. Se un ambiente è estremo, o comunque "difficile", troverò con maggiore possibilità specie specializzate in un dato contesto ambientale che si espanderanno in pratica ovunque. Verso l'Equatore, invece, ci sono risorse per tutti, quindi ci sono tante specie e gli areali sono in genere più ristretti. La distribuzione dei fossili è molto limitante, in quanto molti aspetti si perdono con la fossilizzazione (a differenza degli organismi viventi) e gli organismi che fossilizzano sono pochi rispetto al numero reale degli esseri viventi che vissero nel passato. A questo punto, per studiare quando, e come, le specie si sono evolute, e dove si sono spostate nel corso del tempo, devo necessariamente applicare 2 modelli conosciuti come:
  • Processi Attivi. Viene utilizzato quando si ha a che fare con un livello tassonomico basso, quindi quando consideriamo vari generi, o gruppi di specie, e ci aiuta a capire il fenomeno delle migrazioni o dello spostamento di un gruppo in zone differenti. Analizziamo brevemente alcuni concetti che hanno a che fare con questo modello: Diffusione. È il primo processo attivo che avviene in seguito allo spostamento di una specie, ed è dovuto all'incremento demografico. In parole povere, più aumenta il numero di individui di una data specie e maggiore sarà l'espansione dell'areale 'originario';

  • Dispersione. Da non confondere con il processo precedente, in quanto indica lo spostamento dei taxa che si stanno studiando. In parole povere, la specie si muove (attivamente) in zone che non appartengono all'areale d'origine,

Questi processi attivi sono aiutati da vere e proprie "strade" naturali, che mettono in collegamento terre che in genere non sono direttamente collegate. Queste strade possono essere aperte a tutte le specie, oppure essere selettive verso certi gruppi, ma permettono comunque il passaggio della fauna da un luogo ad un altro. Per esempio, l'abbassamento del livello del mare può mettere in comunicazione terre che in genere non sono collegate, quindi in qualche modo possono facilitare la dispersione e la diffusione delle specie. Le più importanti sono 3:

  • I Ponti. Sono in pratica zone continue di terra che permettono il passaggio delle faune collocate in 2 (o più) territori differenti, quindi accessibile in "entrambi i sensi". Un esempio può essere uno stretto di mare che ora è relativamente poco profondo, ma con l'abbassamento del livello marino lo stretto scompare e si forma un 'ponte'. Si tratta di un collegamento ciclico il più delle volte, quindi collega faune che periodicamente si scambiano o si incontrano (sono simili). Il collegamento avviene "via mare" generalmente;
  • I corridoi. Svolgono una funzione simile a quella dei ponti, ma collegano ecosistemi che hanno poco a che fare tra di loro. Sono, letteralmente, più stretti/ristretti e selettivi, intanto non tutte le specie riescono a passare e sono esclusivamente terrestri;
  • Le Vie Occasionali. Sono collegamenti casuali ed hanno una natura instabile. Si formano occasionalmente, quindi mettono in collegamento lembi di terra poche volte tra di loro, e non è detto che possano esserci i presupposti per collegamenti duraturi e ciclici. Per esempio, la Crisi di Salinità del Messiniano portò praticamente all'evaporazione quasi completa del Mediterraneo, e in quell'occasione si formarono tantissime 'vie occasionali' che collegarono i 3 continenti che affacciano sul Mediterraneo, arrivando alla loro scomparsa una volta conclusa questa 'crisi'. Non si verificò mai più un evento del genere negli ultimi 5 milioni di anni.

                                                    Immagine riassuntiva


Processi passivi. Questo modello studia alcuni fenomeni di distribuzione in modo indiretto, che interessano, per esempio, fenomeni globali come la Tettonica a Placche. In pratica, si mettono in relazione i fossili rinvenuti e le "antiche posizioni" dei continenti e riguardano molti territori, molti ecosistemi e tanti gruppi tassonomici (senza limitarci al genere o alla specie). Insomma, è un lavoro su larga scala. Esistono due tipi di processi passivi:

  • Vicarianza. Riguarda 'specie vive', e studia la formazione di fenomeni macroscopici che fungono da barriera fisica. La barriera condiziona gli areali causandone la frammentazione e portando al processo biologico-evolutivo conosciuto come Speciazione. Può portare alla diminuzione delle popolazioni e successivamente all'estinzione. Le barriere possono essere mari, fiumi, catene montuose, e tutto ciò che può condizionare le condizioni ambientali tanto da interrompere il Flusso Genico di una data popolazione. Dal punto di vista evolutivo, per farla breve (ne parlerò in modo approfondito in un altro articolo), in una popolazione avvengono scambi genici in modo continuo attraverso la riproduzione, quindi tanti organismi appartenenti della stessa specie si accoppiano tra di loro e trasmettono, in modo abbastanza omogeneo, i geni caratteristici della propria specie alla prole. Se si forma una barriera 'fisica', che divide la macro popolazione in 2 più piccole, per esempio, non c'è più flusso genico tra le 2 popolazioni e quindi si hanno fenomeni di isolamento. Compariranno nuovi geni/nuove mutazioni caratteristiche delle 2 specie, e man mano le differenze (se non dovessero più incontrarsi queste popolazioni) diventeranno sempre più marcate tanto da non permettere la riproduzione tra gli individui di queste due popolazioni. In questo caso, è avvenuto un processo di speciazione (è iper abbreviata questa spiegazione, ma il senso rimane comunque questo). Quindi, queste barriere, rendono gli ecosistemi più vari, e se cambia l'ecosistema cambia anche la pressione evolutiva.
  • Nave Funeraria Vichinga. Interessa maggiormente organismi già morti, estinti o fossilizzati ed è un processo molto importante per spiegare la presenza di un fossile in un continente diverso. E' un modello di dispersione basato sul concetto di vicarianza, ma su larga scala. I continenti si allontanano, e trasportano (e dividono) la fauna (o i fossili) in aree geografiche e a diverse latitudini nel corso del tempo. Questo processo, però, presenta dei limiti in quanto le comunicazioni tra i continenti non ci permettono di fare un "conteggio" esaustivo delle specie, quindi non conosceremo la percentuale migrata tra un continente ed un altro (cosa che si può fare solo se si trovano i fossili). Vediamo quando due continenti sono considerati abbastanza 'vicini' per permettere uno scambio:

  1. Attraverso le Piattaforme Continentali, dove il livello dell'acqua è relativamente basso. Con fenomeni globali, come le glaciazioni, le piattaforme si trasformano in ponti o vie che mettono in comunicazione le faune continentali;

  2. Scontro tra due placche (o due continenti). È ciò che è accaduto nell'Himalaya, o meglio quando la Placca indiana si è scontrata contro quella eurasiatica. Una volta che sono entrate in contatto, si è verificato uno scambio faunistico (anche se fino ad un certo punto, in quanto la formazione della catena montuosa himalayana si è trasformata in una barriera fisica);
  3. Dossi e fosse oceaniche che allontanano due continenti. Come è accaduto alla Pangea, con la separazione, ad esempio, tra Sud America e Africa.

  1. Immagine iper-semplificata sul concetto di 'speciazione'
Immagine che rappresenta la frammentazione della Pangea nel Mesozoico, con i relativi fossili 'guida' e la loro distribuzione. Fonte: The Geological Society

Quindi, come avrete capito, i periodi di trasgressione e di regressione del livello marino giocano un ruolo fondamentale nello scambio faunistico. La Linea di Wallace, importante per le nostre specie umane insulari, è una linea di crosta oceanica che divide la piattaforma australiana da quella indonesiana. Ciò permette di capire come mai ci sia una tale differenza a livello faunistico: le faune indonesiane sono in continuità con quelle del sud-est asiatico, mentre quella australiana è isolata.


Il concetto di insularità

L'insularità è un evento molto comune, ed è un concetto che si estende a tutte quelle situazioni che hanno a che fare con l'isolamento (soprattutto dal punto di vista genetico). Può essere un'isola, nel vero senso della parola, o una zona continentale circondata da altri ambienti che fungono da 'barriere naturali'. Oltre a condizionare certi aspetti delle specie, condiziona anche il numero delle specie stesse, infatti il numero è proporzionale all'area dell'isola (o del territorio isolato). Si parla, quindi, di organismi endemici (tipici o specifici di un dato luogo), ed è obbligatorio trattare 2 aspetti che riguardano questa situazione: Effetto popolazione. La dimensione della popolazione, sempre in proporzione all'area e alle dimensioni dell'isola, è proporzionale alla loro stabilità. Più un'isola è piccola, più un ambiente è instabile quindi più soggetta a cambiamenti ambientali (e di conseguenza più una popolazione è piccola e più è soggetta all'estinzione). La diversità e la stabilità della specie dipendono dall'ambiente e da quante risorse sono presenti (mi sembra più che normale); Effetto ambiente. Più un'isola è estesa, e più ambienti è possibile che vengano rappresentati/occupati; In tutto questo discorso va considerato il fatto che il "materiale genetico", quindi le specie che si trovano sulle isole, provengono dal continente e, come detto prima, la quantità di specie dipende dalle dimensioni delle isole che si trovano vicino al continente.

Ora la situazione si complica un po', quindi non perdiamoci in chiacchiere. Un'isola molto vicina ma molto piccola, ha un tasso di migrazione alto ma con poche possibilità di sopravvivenza. Un'isola più grande, invece, permetterebbe la sopravvivenza di molte più specie. E se quest'isola grande si trovasse un po' più lontana dell'isola piccola citata prima? Nonostante sia un ambiente più favorevole, per quanto riguarda il numero, riceverà molte meno specie delle isole più vicine al continente. Quindi, oltre al numero di specie, bisogna tenere conto anche, e soprattutto, della distanza dal continente e dalla possibilità di raggiungere l'isola (e naturalmente quante specie può contenere l'isola), della latitudine e dell'altitudine. 

Teoria di MacArthur e Wilson. Questa teoria (scientifica), con le premesse precedenti, afferma che per ogni 'isola' esiste, in sostanza, un numero di specie che rappresenta la normale condizione di equilibrio. Vengono presi parametri statistici, come il "grado di isolamento" di un 'isola' (la lontananza dall'area sorgente da cui provengono le specie, che in questi casi risulta essere il continente). Vediamo qualche cosa nel dettaglio, tenendo conto dei tassi di emigrazione e di immigrazione. Prendiamo in considerazione questa formula:

I = E = 1,5

"I" è il tasso di immigrazione, mentre "E" quello di estinzione. Il rapporto tra questi due tassi rimane costante nel tempo. "1,5" rappresenta, quindi, le specie che si estinguono annualmente (che verrà rimpiazzata da 1,5 nuove specie), anche se per certi continenti totalmente isolati, come l'Australia, si utilizzano altre formule o parametri.

Ora aggiungiamo un altro termine: Isola Ecologica (No, non è il luogo nel quale si ripone l'immondizia). Questo è sostanzialmente un sistema isolato da altri sistemi o ambienti, e si ricollega a ciò che abbiamo detto prima in quanto queste "isole" possono essere collegate da ponti, corridoi o vie occasionali che consentono lo scambio delle specie.

Analizziamo le "conseguenze" di ciò che abbiamo detto (potete vedere in basso il grafico):

  • Estinzione. Il tasso di estinzione non dipende dalla distanza dal continente ma dalla dimensione delle "isole". Un'isola piccola presenterà un tasso di estinzione più alto rispetto ad una più grande, a parità di specie. Questo perché più un'isola è grande e maggiori saranno le risorse presenti (quindi, in linea teorica, più ricca di habitat).
  • Immigrazione. Meno specie ci sono su un'isola, e maggiori sono le specie che possono migrare. All'aumentare del numero delle specie (endemiche + alloctone), aumenta il declino delle stesse in quanto le specie numerose provenienti dal continente sono di più di quelle locali (competizione). Il tasso di immigrazione sarà = 0 quando le specie provenienti dal continente diventano parte integrante dell'isola.
Immigrazione. Meno specie ci sono su un'isola, e maggiori sono le specie che possono migrare. All'aumentare del numero delle specie (endemiche + alloctone), aumenta il declino delle stesse in quanto le specie numerose provenienti dal continente sono di più di quelle locali (competizione). Il tasso di immigrazione sarà = 0 quando le specie provenienti dal continente diventano parte integrante dell'isola.




Grafico originario. Fonte: https://www.researchgate.net/publication/267155368_Research_Methods_to_Initiate_PABITRA_The_Island_Ecosystems_Branch_of_DIWPA


In conclusione, mostro brevemente le peculiarità dell'insularità:
  • Nanismo e Gigantismo. Forme giganti tendono, nel corso del tempo, a ridurre le dimensioni. Viceversa, le specie di piccole dimensioni possono sviluppare dimensioni più grandi;
  • Bassa Diversità. Sono comunque poche le specie che popolano un'isola, poiché sono poche le specie in grado di adattarsi con successo (non in tutte le isole). Quindi, le "isole" sono tendenzialmente più ricche di specie endemiche;
  • Atterismo. E' la tendenza di molti uccelli rapaci nel presentare ali estremamente ridotte, oltre a presentare taglie giganti;
  • Disarmonia della fauna (sia a livello ecologico che tassonomico). Non sono rispettate le "scale gerarchiche", ad esempio, i rapporti tra prede (che sono di più nel continente) e predatori possono essere diversi;
  • Vulnerabilità. Dipende dalle piccole dimensioni della popolazione (ne abbiamo parlato prima);
  • Scarsa specializzazione alimentare. Le risorse non sono moltissime, quindi le specie tendono a condividere e adattarsi a una gamma più ampia di alimenti.


Bibliografia: 

Biogeografia. La dimensione spaziale dell'evoluzione, di Mario Zunino (Autore), Aldo Zullini (Autore)

Elementi di ecologia, di Thomas M. Smith e Robert L. Smith.


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