giovedì 2 maggio 2024

Paletnologia (approfondimenti)

Gli antichi umani dimostrarono abilità sorprendenti nella lavorazione del legno: è stato rinvenuto un bastone simile ad un giavellotto.
Questo, in sé, non costituisce una notizia straordinaria poiché il legno è stato un materiale fondamentale sin dall'antichità, come dimostrato dalla struttura in legno datata circa 476.000 anni fa. Tuttavia, l'oggetto in questione, datato a circa 300.000 anni fa, si è rivelato essere un'arma da caccia, presentando segni di levigatura e raschiatura. Questa scoperta suggerisce che gli antichi umani possedevano capacità avanzate nella lavorazione del legno, utilizzando tecniche già sofisticate.
Questo potrebbe essere correlato al loro regime alimentare, poiché si specializzarono nella caccia non solo di grandi animali ma anche di quelli di medio-piccole dimensioni ben prima della fine del Pleistocene. Il bastone, lungo circa 75 cm, è un'arma relativamente leggera e fu scoperto per la prima volta nel 1994 a Schöningen, in Germania, insieme ad altri strumenti da lancio tra cui lance e bastoni di grandi dimensioni.
Come accennato prima, gli ominini in questione selezionarono un ramo di abete rosso che poi scortecciarono e modellarono in uno strumento aerodinamico ed ergonomico. È probabile che abbiano lasciato stagionare il legno per evitare crepe e deformazioni, e dopo un lungo periodo di utilizzo, lo strumento andò perduto durante la caccia e fu poi sepolto rapidamente nel fango.
Le alterazioni tafonomiche includono danni da calpestio, attacco fungino e compressione. In generale, gli uomini di quel tempo possedevano una ricca consapevolezza delle proprietà delle materie prime e possedevano sofisticate abilità nella lavorazione del legno e nell'uso degli strumenti in legno. Si ritiene che questi strumenti abbiano svolto una funzione nella caccia, con il cacciatore che lanciava questo "bastone aerodinamico" indicando potenziali strategie di caccia e un certo contesto sociale, come la caccia comunitaria che avrebbe potuto coinvolgere anche i bambini. I bastoni da lancio di Schöningen, in generale, potrebbero essere stati utilizzati per svantaggiare strategicamente i grandi ungulati, potenzialmente da distanze fino a 30 metri, ma erano anche in grado di catturare prede più piccole e veloci.
Ecco una breve panoramica delle varie fasi di lavorazione e altri punti interessanti:
-La presenza di un bastone a doppia punta suggerisce l'esistenza di un progetto ben definito e finemente rifinito.
-La lavorazione iniziava con la rimozione del ramo dell'albero, seguita dalla grossolana rimozione dei rami.
-Successivamente, venivano praticati tagli obliqui per facilitare la scortecciatura, seguita da raschiature e scortecciature complete della superficie.
-I nodi e gli attacchi dei rami venivano probabilmente distesi dopo la scortecciatura, seguiti dalla formazione di punte regolari per raddrizzare parzialmente la curvatura naturale del bastone.
-La fase finale consisteva nell'abrasione della superficie per migliorare la maneggevolezza e/o le prestazioni, insieme a una stagionatura controllata per evitare crepe e deformazioni e per indurire il legno.
-La superficie fine, le punte accuratamente sagomate e l'uso della lucidatura suggeriscono che si trattasse di una collezione personale di un individuo che utilizzava l'arma ripetutamente, occupandosi anche della sua manutenzione.
-A Schöningen sono state rinvenute almeno 12 armi da caccia in legno lungo la riva del lago per circa 120 m. Il numero di oggetti ritrovati indica che le armi non sono il risultato di un singolo episodio di caccia, ma di cacce ripetute. I bastoni a doppia punta potevano essere utilizzati sia per cacciare grossi animali che per uccidere uccelli o mammiferi di piccole dimensioni. Inoltre, le lance sono state trovate in siti "distanti" e isolati tra di loro, suggerendo che le armi potessero essere andate perdute tra le canne lungo la riva del lago.
"Questo è un Art Attack", ma la versione del Paleolitico medio.
Di recente è stato pubblicato un lavoro nel quale si afferma che 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 utilizzasse materiali simil-colla per facilitare alcuni lavori di fabbricazione degli strumenti.
Non è una novità poiché già nel 2019 è stato pubblicato un lavoro simile. Vediamo i due lavori in questione.
2019. Su alcune spiagge olandesi sono stati trovati strumenti in selce incollati con altre parti attraverso una sostanza simile al catrame. Risalenti a circa 50.000 anni fa, in quel periodo 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨 stava ancora cercando di insediarsi in Europa, quindi il candidato più plausibile associato a questi strumenti è 𝙃. 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨, che era comunque capace di utilizzare strumenti relativamente complessi. È interessante osservare come questa "colla" abbia resistito nel corso del tempo, considerando che si tratta di uno strumento relativamente piccolo di circa 4 cm di lunghezza.
Attraverso alcune particolari tecniche basate sulla gascromatografia e la spettrometria di massa (GC/MS), è stato scoperto che si trattava di pece di betulla (𝘽𝙚𝙩𝙪𝙡𝙖 𝙨𝙥.) utilizzata per fissare l'utensile in selce ad un manico di legno. Molto probabilmente, questo metodo doveva rendere più efficiente l'impugnatura durante la caccia. Non si sa esattamente come sia stato realizzato questo strumento; ad esempio, si ipotizza che il pezzo fosse stato riscaldato in una sorta di "forno preistorico" prima di essere lavorato e spalmato sull'utensile, avvolgendo il pezzo nella corteccia. Inoltre, un lavoro di micro-computer grafica dimostra che l'applicazione della colla sulla superficie più ruvida della selce avrebbe migliorato l'aderenza con il manico.
Questo dimostra che il Neanderthal ha investito "tempo e risorse" (e soprattutto energie) nello sviluppo di una tecnologia per migliorare la vita quotidiana. Si tratta di una delle molte tecniche adottate dagli ominini nel Paleolitico Medio, sebbene si discosti dalle pratiche delle popolazioni africane moderne. In linea teorica, l'uso di tecnologie complesse dovrebbe dipendere dalle dimensioni del gruppo sociale, ma non è stato il caso dei Neanderthal, il che suggerisce che le dimensioni ridotte della popolazione e l'alta mobilità non hanno impedito loro di sviluppare e mantenere una tecnologia altamente sofisticata. Lo sviluppo e l'uso di tecnologie complesse, come la pece in questione, devono aver portato benefici in termini di adattamento evolutivo: all'aumentare della rigidità del clima, la complessità tecnologica aumenta (anche se non tutti gli archeologi preistorici concordano su questo punto). In sintesi, lo sviluppo e il mantenimento di tecnologie avanzate aiutano a mitigare i rischi ecologici, specialmente nel Paleolitico medio.
Il Neanderthal operava ai limiti della propria tolleranza ecologica, ovvero in un contesto in cui le risorse potevano esaurirsi facilmente. Pertanto, non solo erano parsimoniosi nell'utilizzo delle risorse, ma tutto era gestito in modo gerarchico, con un certo grado di specializzazione dei compiti (forse anche tra i sessi), caratterizzando così il Neanderthal per circa 150.000 anni. In altre parole, se le condizioni ambientali diventano difficili, non è necessario avere una popolazione di grandi dimensioni per sviluppare tecnologie complesse. Il Neanderthal era estremamente versatile.
Passando allo studio del 2024, emerge come l'uso di sostanze appiccicose, come ocra e resine di alberi, sia stato elaborato per ottenere una sostanza simile alla colla, analogamente a quanto visto con il catrame precedentemente menzionato. Gli adesivi in questione sono stati applicati a strumenti di tipo musteriano, ed è noto che già 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨 africano utilizzasse sostanze naturali appiccicose e ocra per rendere più maneggevoli gli strumenti. Tuttavia, in questo caso, il Neanderthal sarebbe stato il primo ominino a utilizzare proprio l'ocra come collante. Questo perché gli strumenti ad alto contenuto di ocra presentano vantaggi in termini di rigidità e solidità.
I reperti in questione sono stati scoperti nel 1910 nel sito archeologico di Le Moustier, in Francia, e solo di recente sono stati studiati gli strumenti che contengono ocra e bitume. Inizialmente si pensava che una grande quantità di ocra e bitume essiccato potesse compromettere le qualità adesive, ma è stato scoperto, anche grazie a esperimenti pratici, che queste componenti formavano un ammasso modellabile, malleabile e appiccicoso in grado di far aderire gli strumenti in pietra ai manici. Il bitume in forma liquida veniva mischiato con l'ocra. Si stima che questi reperti abbiano un'età compresa tra i 40.000 e i 60.000 anni circa. La particolarità è che questa tecnica, inizialmente considerata tipica dell' 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨 africano, potrebbe essere stata ereditata dall'antenato comune di Sapiens e Neanderthal o sviluppata indipendentemente (una sorta di convergenza evolutiva). Tuttavia, esistono alcune complicazioni da considerare, come accade spesso in questo ambito.
La volontà di investire più tempo e risorse in certi materiali rispetto ad altri potrebbe essere associata a motivazioni non strettamente funzionali. Il costo di produzione di questi strumenti era elevato poiché richiedeva l'utilizzo di bitume, selce e ocra provenienti da diverse fonti che non erano presenti nello stesso luogo di produzione. Ad esempio, la goethite si trovava a circa 50 km da Le Moustier, mentre i giacimenti petroliferi con affioramenti di bitume erano situati a oltre 200 km a sud di Le Moustier. Pertanto, la raccolta e la lavorazione di questi strumenti compositi richiedevano notevoli sforzi e tempo rispetto, ad esempio, alla produzione della simil-colla in catrame menzionata all'inizio dell'articolo.
Ciò implicherebbe che la scoperta di questi reperti sarebbe collegata a processi cognitivi ben sviluppati. Tuttavia, senza dati radiometrici precisi, non è possibile attribuire con certezza questi reperti al Neanderthal. Pertanto, si possono considerare due scenari:
Scenari legati al Sapiens:
Tra i 40.000 e i 60.000 anni fa, il Sapiens era già presente nell'Europa meridionale, quindi potrebbe essere giunto nella regione in tempi successivi. Inoltre, la nostra specie già utilizzava l'ocra come base per questi adesivi, poiché adesivi monocomponenti come quelli a base di catrame potrebbero non aver offerto un vantaggio significativo. Nella grotta di Mandrin, sempre in Francia, sono state trovate tracce di strumenti microlitici basati sull'hafting, un processo in cui un manico viene attaccato a un artefatto.
Scenari legati ai Neanderthal:
Nel caso in cui i reperti fossero associati al Neanderthal, potrebbe indicare che questa tecnica fosse basata sulla trasmissione culturale cumulativa delle tecniche all'interno della popolazione neanderthaliana. Ciò implicherebbe che il Neanderthal ha perfezionato nel tempo la tecnica di produzione di colle ed adesivi attraverso l'evoluzione delle trasmissioni culturali.
L'utilizzo dell'ocra potrebbe essere stata rivoluzionario in quanto risulta più efficace rispetto ad altri "riempitivi", poiché rende il bitume più rigido impedendo al collante di attaccarsi alla mano. Questo suggerirebbe che gli adesivi fossero utilizzati come manici direttamente attaccati agli strumenti di pietra, anziché per fissare gli strumenti di pietra ai manici.
Con ulteriori dati a disposizione in futuro, potremmo comprendere meglio il motivo per cui sono stati prodotti strumenti così complessi, dove gli ominini hanno investito tempo e sforzi nella produzione di adesivi composti che potrebbero avere un'utilizzo più simbolico che funzionale, evidenziando comunque le capacità cognitive ben sviluppate dei creatori.
Fonte immagine: Credit: D. Greinert, Staatliche Museen zu Berlin

 La scoperta di una sorta di proto-scrittura antica circa 20.000 anni potrebbe retrodatare il confine tra storia e preistoria

Lo so, sicuramente verrò criticato per la pubblicazione di quest'articolo, ma da quello che sono riuscito a leggere e a capire è uno studio molto valido, che offre molti spunti di riflessione. Gli autori dello studio sembrano aver identificato quelle che parrebbero essere delle antiche scritte, e ciò potrebbe retrodatare la nascita della scrittura di almeno 15.000 anni (la più antica parola scritta, fino a questo momento, era datata 5000 anni circa).
Non parliamo di certo di un vocabolario estremamente complesso in quanto si tratta di un insieme di simboli, caratterizzati dalla presenza di linee/barre ed asterischi, rinvenuti all'interno e all'esterno di alcune grotte, e su bastoni e strumenti litici. La spiegazione, secondo i ricercatori, è che questi simboli servissero per registrare o tenere sotto controllo le attività stagionali degli animali preferiti dall'uomo. Che quest'ultimo, incluso il Neanderthal, fosse in grado già decine di migliaia di anni fa di pensare in modo astratto, è ormai più che assodato come testimoniano le famosissime pitture rupestri distribuite tra Francia e Spagna, ricchissime di rappresentazioni "naturalistiche" accompagnate anche da simboli astratti.
Queste sequenze, come detto prima, acquisiscono un significato notazionale o numerico, infatti i ricercatori hanno provato in qualche modo a tradurre questa sorta di proto-scrittura. E' stata studiata una serie di 862 rappresentazioni di animali del Paleolitico Superiore, ed il primo risultato è che i simboli più diffusi sono: la linea/barra, il punto ed un simbolo che ricorda una "Y".
I ricercatori hanno provato proprio a tradurre questi 3 simboli ed hanno ipotizzato che il numero e la posizione di questi parrebbero essere associati agli animali da loro rappresentati, con lo scopo di annotare alcune informazioni relative o alla nascita o all'accoppiamento di questi animali, fondamentali per le popolazioni di cacciatori-raccoglitori del tempo. Insomma, è utile conoscere ed annotare quando una data specie migra, quando gli animali si accoppiano ed i periodi nei quali nascono i cuccioli.
E' stato stilato una sorta di catalogo di 862 associazioni di animali e sequenze, di cui 606 con una serie di punti e barre e 256 con una serie di punti e barre accompagnati dal simbolo Y. Dopo un primo e preliminare esame, i ricercatori si sono resi conto che tutte le sequenze contenevano non più di 13 segni. Successivamente, sono stati utilizzati metodi statistici che hanno permesso di esaminare le associazioni tra animali e sequenze, confrontando i risultati con i modelli migratori e con quelli relativi alle nascite e agli accoppiamenti.
Questo è il risultato:
- i semplici punti e le barre/linee simboleggiavano il mese sinodico (mese lunare) dopo l'inizio della primavera, periodo nel quale molti animali si accoppiavano;
- il tratto a forma di "Y" simboleggia l'inizio della stagione della nascita delle specie.
Naturalmente, gli autori dello studio sono i primi a mettere le mani avanti dicendo che tutti questi simboli non costituiscono una vera e propria parola scritta, ma sicuramente costituiscono una sorta di fase preliminare che precede la nascita della scrittura vera e propria.
Infatti, affermano che è meglio descrivere tutto ciò come se fosse una sorta di sistema di proto-scrittura, oltre al fatto che i simboli non necessariamente potrebbero (solo) indicare le attività biologiche degli animali, ma potrebbero aver assunto (anche) un significato diverso in base ai propri creatori. E' uno studio preliminare, e sicuramente lo studio di altri simboli e segni chiariranno un po' questa situazione. Magari si tratta di una piccola parte di un vasto proto-vocabolario paleolitico che ancora non conosciamo.

Quello che vedete nella foto è un osso inciso di un orso, che si rivela essere la più antica espressione culturale del Neanderthal.

L'osso, risalente a 130.000-115.000 anni fa, è stato scoperto nella grotta di Dziadowa Skała, in Polonia. La sua particolarità risiede nelle 17 righe o incisioni presenti, rendendo questo reperto un oggetto simbolico e il più antico in Europa.
Si tratta di un osso della zampa anteriore di un orso. Attraverso tecniche di microscopia e tomografia a raggi X, è emerso che questi segni sono ordinati ed organizzati, e non lasciati casualmente. Non si tratta nemmeno di segni di taglio o di macellazione, ma sono stati lasciati intenzionalmente mediante il ripetuto movimento unidirezionale di uno strumento in selce ritoccato, forse un coltello bifacciale. Sono stati fabbricati in una sola seduta da una persona destrimane, utilizzando una tecnica in cui il movimento era diretto verso sé stessi.
Ciò che impressiona i ricercatori è che, come accennato in precedenza, queste incisioni non sono state lasciate durante il processo di macellazione. Le morfologie delle incisioni sono definite e ripetute in serie, presentano in linea di massima la stessa struttura e forma, e c'è un numero specifico di incisioni confinate in un'area determinata e distanziate in modo coerente.
Tutti i caratteri sull'osso costituiscono un insieme ordinato di tracce, dimostrando l'intenzionalità e l'organizzazione sistematica del processo di incisione.
I segni sono regolarmente paralleli, stretti con piccoli spazi tra di loro, e la profondità massima è simile a quella di altre incisioni rinvenute in altri siti, indicando l'esistenza di una tecnica di base simile tra le varie popolazioni paleolitiche neanderthaliane.
Questo potrebbe rappresentare uno strumento simbolico, una sorta di "abbellimento" del reperto, o una notazione numerica, come suggerito dall'osso di Les Pradelles. L'autore di uno studio ha affermato che le incisioni erano anomale e non riflettevano una sorta di forma d'arte, ma svolgevano un ruolo più funzionale, codificando informazioni numeriche. La ripetizione delle incisioni potrebbe essere collegata alle regole di trasferimento delle informazioni, confermando così l'importanza dell'orso nell'economia del Neanderthal.
Fonte: Tomasz Płonka, Andrzej Wiśniewski, Adrian Marciszak, Grzegorz Ziółkowski, Grzegorz Lipecki, Marcin Diakowski, Kamil Serwatka, A Middle Palaeolithic incised bear bone from the Dziadowa Skała Cave, Poland: the oldest marked object north of the Carpathian Mountains, Journal of Archaeological Science, Volume 166, 2024, 105971, ISSN 0305-4403
Fonte immagine: T. Gąsior / Journal of Archaeological Science

L'arte rupestre già 40.000 anni fa circa era (in parte) influenzata dal fenomeno visivo della pareidolia.
Questo fenomeno è molto importante perché, il più delle volte, il nostro cervello associa ombre o figure a qualcosa di noto, come per esempio un volto. Qui la situazione è leggermente diversa perché sono stati rinvenuti alcuni dipinti che raffigurano animali in alcune grotte nel nord della Penisola Iberica e sono caratterizzati da figure semplici, coadiuvate da crepe e curve.
Sono stati utilizzati software per replicare le fonti di luce utilizzate dai paleoartisti (fuoco o da piccole torce) e capire un po' la dinamica artistica dei siti.
Il risultato è che oltre il 50% delle raffigurazioni mostra una forte relazione con le caratteristiche naturali della grotta. Erano semplici e prive di dettagli come capelli od occhi, e ciò suggerisce che la pareidolia guidasse in parte gli artisti. Per esempio, i bordi curvi della parete della grotta venivano usati per rappresentare il dorso di animali come i cavalli, mentre le fessure venivano usate per rappresentare le corna di bisonti o di altri bovidi.
I dettagli comunque indicano che l'80-83% delle pitture di Las Monedas e Las Pasiega posseggono una relazione diretta con le caratteristiche topografiche della grotta. Si tratta, come detto prima, di uno stile relativamente semplice, come se i paleoartisti non avessero aggiunto volutamente dei dettagli. Magari rispecchiava il movimento artistico dell'epoca e di quella data regione.
Per esempio, per La Pasiega, le zampe posteriori degli snimali sono spesso raffigurate rappresentando solo la testa e la linea dorsale dell'animale, caratteristica tipica delle raffigurazioni delle zampe posteriori nel tardo Solutreano della Spagna settentrionale.
A questo punto, gli autori parlano di una sorta di "collaborazione" tra grotta e l'artista, con la pareidolia che assume ruoli diversi in base al contesto. Poteva essere Dominante, quando la pareidolia era il fattore dominante che influenzava le rappresentazioni figurative. In parole povere, si dipingeva seguendo esclusivamente i tratti topografici della grotta; assumeva un ruolo Collaborativo quando la pareidolia giocava un ruolo importante, ma parziale, assieme all'intenzionalità dell'artista. In parole povere, quest'ultimo si aiutava con le curve o le fessure della grotta, ma andava un po' oltre aggiungendo altri dettagli o particolari (intenzionalità); Infine, poteva svolgere un ruolo Passivo: la pareidolia in questo caso era quasi ininfluente, con l'artista che dava completamente sfogo alla sua creatività.
Questo, però, non vuol dire che tutte le immagini fossero completamente guidate da questo fenomeno, ma che anche in parte gli artisti abbiano sfruttato fessure o bordi naturali come base per la loro creatività. È un processo ricco di sfumature, con la grotta che aveva il potenziale di esercitare una forte influenza sulla forma e il posizionamento delle raffigurazioni.
Fonte: Wisher, I., Pettitt, P., & Kentridge, R. (2023). Conversations with Caves: The Role of Pareidolia in the Upper Palaeolithic Figurative Art of Las Monedas and La Pasiega (Cantabria, Spain). Cambridge Archaeological Journal, 1-24.

Anche i nostri cugini Neanderthal sapevano contare?
Avevo letto qualche giorno fa l'articolo uscito su Nature dove alcuni post, erroneamente, indicavano come risultato della ricerca "l'invenzione" dei numeri da parte dei nostri più antichi cugini.
Diciamo che il risultato è leggermente, ma proprio leggermente diverso.
Ma incominciamo ad analizzare la scoperta. È stato trovato un femore di iena negli anni '70 nel sito di Les Pradelles, datato 60.000 anni circa ed intagliato da un Neanderthal, con incise 9 tacche parallele, più o meno.
Francesco d'Errico, uno degli autori della ricerca e ricercatore dell'Università di Bordeaux, che ha esaminato in carriera molti manufatti intagliati, indica che effettivamente queste incisioni sono anomale e che non rispecchierebbero una sorta di forma d'arte(ricordo che anche i Neanderthal erano artisti come i Sapiens) ma svolgerebbero un ruolo più funzionale, cioè 'codificare informazioni numeriche'.
Magari quel Neanderthal contava le prede cacciate, i giorni che passavano, o il numero delle donne sapiens che ha conquistato, non si sa e forse non lo sapremo mai. Ma si sa solo che se questa informazione dovesse essere corretta, indicherebbe che i Neanderthal sapessero contare come un sapiens, e toglierebbe questo ennesimo primato(?) alla nostra specie.
Ma il sapiens deve stare tranquillo. Non è nemmeno una prerogativa del nostro genere in quanto anche alcuni taxa, nel mondo animale come pesci, uccelli e mammiferi, sono capaci di "quantificare". In modo semplice, certo, magari non sapranno le prime 1000 cifre del p-greco, ma ne sono capaci.

mercoledì 24 aprile 2024

Ominini arcaici - 𝙊𝙧𝙧𝙤𝙧𝙞𝙣 𝙩𝙪𝙜𝙚𝙣𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 (6 - 5,8 milioni di anni fa)




Si prosegue il viaggio nel mondo degli ominini, e ora è il turno di Orrorin tugenensis, il secondo potenziale ominino arcaico dopo Sahelanthropus tchadensis. È stato rinvenuto nei sedimenti delle Tugen Hills, Kenya settentrionale, e geograficamente ci troviamo già abbastanza lontani dal Chad dove visse Sahelanthropus. I primi fossili vennero scoperti nel 1974, e successivamente associati a 12 esemplari. Attraverso il metodo Potassio/Argon, è stato possibile stabilire l'età dei fossili: circa 6 milioni di anni. La documentazione è ancora frammentaria, ma gli scopritori della specie, Brigitte Senut e Martin Pickford di Parigi, affermano che questa specie sia effettivamente un ominino a tutti gli effetti. Due elementi supportano questa tesi: i premolari e i molari sono ricoperti da uno spesso strato di smalto, che sembra essere più spesso dei "panini" tipici di ominini più recenti; e tre frammenti di femore sembrano appartenere a un individuo bipede, poiché le parti dell'osso in questione corrispondono alla parte posta esattamente sotto l'articolazione dell'anca. Inoltre, i primati arboricoli sono caratterizzati da uno spessore uniforme dell'osso esterno, o corticale, nella parte attorno al collo del femore, mentre nei primati che abitualmente assumono una postura bipede, l'osso corticale è maggiormente spesso alla base del collo del femore e nella parte sommitale. Secondo gli scopritori, la parte corticale del collo del femore di O. tugenensis sembra essere più spessa proprio alla sommità e alla base del collo, ma ancora non si è certi di tutto ciò.

I primi resti attribuiti ad O. tugenensis (Senut et al., 2001)

Nemmeno le TAC riescono a far luce su questo aspetto. Molti ricercatori hanno mosso critiche proprio sugli aspetti citati prima, innanzitutto perché la morfologia del femore, effettivamente, non sembra essere diversa da quello dei primati arboricoli; uno spesso smalto non è un carattere esclusivo del clade degli ominini, quindi ciò non la distanzia da Pan, soprattutto perché i denti presentano somiglianze proprio con le scimmie antropomorfe. Sembra essere molto vicina all'antenato comune Pan-Homo, e alcune ricerche incentrate sulla morfologia funzionale indicano che possedesse la capacità di muoversi con un'andatura bipede, seppur con una diversa modalità rispetto a quella dei successivi ominini. Quindi, sapeva spostarsi sui due arti inferiori e visse in ambienti caratterizzati da foreste e da aree boschive aperte (con una significativa copertura arborea), proprio come Ardipithecus ramidus. Ciò comunque indicherebbe che l'acquisizione della locomozione bipede sarebbe stata indipendente e si tratterebbe di un caso di "exaptation", un Meccanismo Evolutivo conosciuto anche come "preadattamento". Qui entrano in gioco anche altri fattori che, sostanzialmente, forniscono ad un dato organo o ad una data caratteristica altri ruoli che non sono quelli codificati geneticamente. Per esempio, le penne e le piume sono caratteri 'exaptati' perché sono codificati geneticamente per svolgere un ruolo termoregolatore, ma aiutano gli uccelli anche nel volo. In questo caso, la postura eretta (e tutte le sue forme) e l'andatura bipede potrebbero essersi sviluppate in maniera indipendente rispetto al progressivo occupamento di ambienti più aperti, come la savana. O meglio, la savana come pressione selettiva ha selezionato individui che casualmente possedevano la capacità di camminare in modo eretto, questo perché non è un adattamento in risposta ad ambienti aperti in quanto già comparso precedentemente e svolgeva un ruolo nella locomozione arborea. In realtà, la locomozione bipede offre l'opportunità di muoversi saltuariamente sui substrati, e poi spostarsi sugli alberi per dormire, mangiare o per accudire i propri piccoli. Quel che si sa è che le aree nelle quali visse O. tugenensis, attraverso anche l'analisi di altri animali come l'impala, è che visse in un ambiente relativamente boschivo, e se dovesse essere confermato il bipedismo in questa specie, come detto prima, ciò indicherebbe che la locomozione bipede sia comparsa in individui che praticavano questa locomozione in ambienti boscosi, e non che fosse un adattamento alla vita nella savana.

Località nella quale vennero rinvenuti i primi resti di O. tugenensis (Sawada, 2002)

O. tugenensis visse nella Rift Valley, e i resti post-craniali indicano che si trattava di una specie "a metà" tra i primati del Miocene e il genere Australopithecus, e che proprio il frammento di femore indica che i primi bipedi si sarebbero sviluppati da specie prevalentemente arboricole, capaci però già di stare in posizione eretta. Nel 2000 sono stati ritrovati i resti di almeno 5 individui diversi nelle Tugen Hills, nei pressi del Lago Baringo (Kenya), con il femore (la porzione prossimale) inizialmente interpretato come "reperto molto vicino al genere Homo", forse anche più moderno di quello delle successive australopitecine. Attraverso analisi statistiche multivariate, è stato possibile capire che, invece, il femore si avvicina molto alle australopitecine (un po' meno al genere Homo). Le protuberanze nella parte superiore del femore, i trocanteri, avvicinano questa specie ai primati del Miocene, quindi presentano morfologie arcaiche. Nel 2013, un team di ricercatori ha rivalutato le varie affinità morfologiche utilizzando un ampio database che comprendeva ominini e scimmie antropomorfe, indicando che il femore degli ominini e quello delle grandi scimmie si sono evoluti in direzioni differenti, probabilmente da un individuo che possedeva un femore primitivo. Orrorin si posiziona proprio a metà strada, il femore sembra possedere caratteristiche intermedie tra le australopitecine e i primati del Miocene. Vediamo separatamente i risultati della ricerca:

  • Il grande trocantere è sporgente lateralmente, il piccolo trocantere è orientato medialmente e la presenza del terzo trocantere sono caratteristiche presenti anche nei primati del Miocene.
  • I vari gruppi tassonomici di antropoidi esistenti possono essere distinti mediante i principali modelli di variazione della forma dei loro femori prossimali.
  • Rispetto ai cercopitecoidi, gli ominoidi presentano una maggiore diversità di morfologie femorali prossimali, mentre le somiglianze tra le grandi scimmie esistenti sono omoplastiche (si parla di omoplasia quando due caratteri omologhi presentano strutture originate in modo indipendente).
  • Attraverso la forma del femore, gli antropoidi esistenti mostrano affinità più strette con le odierne scimmie.
  • Anche se con qualche sovrapposizione con le atelidi, gli ominoidi estinti ed esistenti mostrano una grande testa femorale rispetto all'altezza del collo. È stato ipotizzato che una testa femorale grande, rispetto alle dimensioni del collo, indichi una maggiore mobilità dell'anca, consentendo una maggiore escursione articolare, soprattutto per quanto concerne l'abduzione (movimento che allontana dall'asse mediano del corpo un arto, in un piano frontale). I risultati sembrano indicare che vi è stato un progressivo sviluppo e adattamento dell'articolazione dell'anca negli ominoidi, con una maggiore mobilità dell'articolazione in quest'ultimo gruppo rispetto agli altri antropoidi non ominoidi, già presenti nel Miocene inferiore, come indicato da Proconsul.
  • Sembra che gli ominini e le grandi scimmie esistenti si siano evoluti in direzioni diverse ed opposte, con l'antenato comune che doveva presentare una morfologia simile ad alcuni primati del Miocene. L'ultimo antenato comune tra uomo e scimpanzé, per esempio, sembrerebbe possedere una morfologia esterna del femore molto simile a quella di Proconsul.
  • La porzione prossimale del femore di Orrorin mostra affinità con Proconsul e le condizioni dei primi ominini vissuti attorno a 6 milioni di anni fa, come evidenziato dal collo anatomico più lungo e dalla posizione inferiore della base del grande trocantere rispetto alla piccola testa comprendente una sfera più completa. Sorprendentemente, però, Orrorin, gli ominoidi miocenici e gli Hylobates mostrano una moderna sporgenza laterale del grande trocantere, simile a quella umana, suggerendo che gli ominini del Plio-Pleistocene (specialmente le australopitecine) e le grandi scimmie esistenti presentano valori opposti.
  • La lunghezza del corpo determina il braccio del momento dei piccoli glutei durante la fase di supporto pelvico dell'andatura bipede, pertanto a livello biomeccanico, la lunghezza del collo potrebbe svolgere un ruolo diagnostico avvicinando Orrorin all'uomo, questo perché implicherebbe una sorta di riordinamento della linea d'azione dei muscoli anteriori rispetto ad altri primati "non umani", quindi un corpo femorale relativamente lungo potrebbe essere un carattere plesiomorfo per gli artropoidi, in quanto riesce a mantenere in equilibrio (lateralmente) gli ominini durante una locomozione bipede. Le grandi scimmie esistenti, invece, mostrano grandi trocanteri orientati prossimalmente consentendo, così, al femore di muoversi in modo più ampio occupando diverse posizioni, soprattutto per quanto riguarda posizioni e posture abdotte che sono più adatte all'arrampicata ed alla sospensione dei primati sui rami o sugli alberi, o per altri comportamenti arboricoli. La presenza di un grande trocantere, come nei moderni ominoidi, potrebbe in parte spiegare una lunghezza del corpo femorale relativamente accorciata.

Insomma, i risultati mostrano sottili differenze tra australopitecine e fossili di Homo per quanto riguarda la forma del femore prossimale. Orrorin, invece, mostra un'anatomia femorale esterna più simile a quella dei primi ominini che a quella degli esseri umani moderni. Tuttavia, se prendiamo in considerazione anche i primati del Miocene, il femore non risulta essere moderno o intermedio tra le grandi scimmie e gli umani, ma piuttosto intermedio tra primati fossili ed ominini del Plio-Pleistocene. La parte prossimale del femore dell'uomo è adatta al bipedismo terrestre obbligato, e differisce leggermente da quello dei primi ominini, come per esempio la testa femorale più grande, il collo più corto e un piccolo trocantere meno orientato posteriormente, oltre ad un grande trocantere che sporge lateralmente oltre la sua base. Quest'ultima caratteristica sarebbe legata ad uno spostamento mediale della posizione relativa della diafisi femorale rispetto alle australopitecine, riducendo il momento flettente del collo e preservando una lunghezza del collo relativamente lunga, senza compromettere il braccio di leva degli abduttori per l'equilibrio laterale.

Quindi, la morfologia umana (odierna), con una testa più grande, sarebbe collegata alla necessità di sopportare il peso corporeo trasmesso verticalmente durante la locomozione bipede, rispetto anche ad altre locomozioni. Il grande trocantere, basso e sporgente lateralmente, aiuta i piccoli glutei, cioè il minimo ed il medio gluteo, a posizionarli in posizioni meccanicamente più vantaggiose durante la fase di appoggio: durante la contrazione dei muscoli abduttori, si ridurrebbe il momento flettente tra la componente orizzontale degli abduttori in una posizione inferiore rispetto alla testa ed al collo, consentendo così una notevole mobilità dell'articolazione dell'anca. Le differenze nella morfologia tra esseri umani ed australopitecine parrebbero riflettere differenze non banali nella biomeccanica dell'articolazione dell'anca durante il bipedismo (con la larghezza e la forma dell'anca che sono legate anche al parto e all'encefalizzazione del cranio degli individui giovanili). Tutto ciò serve per comprendere la particolare locomozione di Orrorin; per esempio, il femore è caratterizzato da una protolinea aspera, un solco otturatorio esterno e una distribuzione dell'osso corticale nel collo femorale, che in generale sono coerenti con un accentuato bipedismo facoltativo. Lo studio della struttura interna del femore di Orrorin, però, indica che la distribuzione asimmetrica dell'osso corticale femorale nella parte centrale del collo è molto simile a quella degli scimpanzé e molto distante da quella degli esseri umani, anche se questa "divergenza" diminuisce quando ci si avvicina alla giunzione collo-asta. Nel complesso, le differenze tra la morfologia esterna ed interna di Orrorin rispetto agli esseri umani ed alle australopitecine forniscono la prova di un'andatura alternata a causa di un moderno apparato adduttore simile a quello umano. Pertanto, Orrorin ed anche Ar. ramidus presenterebbero una diversa modalità di bipedismo rispetto a quello degli esseri umani moderni, e ciò è coerente anche dal possesso di Orrorin di una tuberosità glutea sporgente lateralmente sotto il grande trocantere in combinazione con un'ampia protolinea aspera. 

Quindi, sappiamo come camminava? No, non proprio. Nel 2012 era stato proposto che Orrorin fosse in grado di muoversi come le australopitecine, ma qualche informazione in più arriva da una pubblicazione del 2018 incentrata sul "calcare femorale", cioè la parete verticale di osso denso che si estende dalla porzione posteriore del collo del femore fino alla superficie postero-mediale della diafisi femorale. Per citare parti anatomiche già menzionate in precedenza, il calcare femorale è una placca di osso denso interna al piccolo trocantere e, in parole povere, una placca femorale "forte" è sintomo di bipedalità. Sono stati comparati scimpanzé ed Homo sapiens, ed in generale è stato possibile appurare che i femori di Pan troglodytes erano più variabili, sia nel tratto dove presente, sia espandendosi nella porzione prossimale del femore. Il campione di H. sapiens mostra lunghezze del femore calcareo maggiori in ciascuna posizione rispetto a P. troglodytes.

Il calcare femorale di Orrorin mostra una forte somiglianza anatomica con i campioni di H. sapiens, supportando l'idea che Orrorin fosse bipede. Esaminiamo più nel dettaglio i risultati, anche perché i ricercatori si sono concentrati principalmente sul bipedismo in senso ampio, ossia sulla capacità di stare in piedi senza entrare nel dettaglio della locomozione in sé. Nel caso di P. troglodytes, il calcare femorale è molto variabile, con alcune istanze di marcata pronuncia e altre meno evidenti, mettendo in evidenza la notevole variabilità all'interno della specie. Al contrario, H. sapiens mostra risultati più coerenti ed omogenei tra i campioni. Quando il calcare femorale non si estende per tutta la regione femorale, tende a occupare principalmente le zone corrispondenti al collo femorale inferiore e al piccolo trocantere superiore, mentre le lunghezze assolute tendono ad essere maggiori in H. sapiens rispetto a P. troglodytes. La lunghezza assoluta di Orrorin rientra costantemente nell'intervallo di H. sapiens, ad eccezione della sezione trasversale. Anche quando le lunghezze del calcare femorale sono state normalizzate, Orrorin rientrava nell'intervallo di H. sapiens.


In generale, Orrorin mostra un calcare femorale simile in termini di lunghezza a quello di H. sapiens, ma la semplice presenza del calcareo femorale non è comunque sufficiente per determinare la bipedalità. Questo perché alcuni scimpanzé mostrano una notevole variabilità all'interno della porzione prossimale, la quale è coerente con le osservazioni secondo cui la distribuzione dell'osso corticale degli scimpanzé alla giunzione collo-albero è adattata a modelli di carico più variabili rispetto agli esseri umani, in quanto l'osso è sottoposto a maggiore stress meccanico in base anche al suo posizionamento. Gli autori prendono ad esempio gli scimpanzé delle montagne di Mahale, nella riserva del Gombe (Tanzania), poiché questi primati passano la maggior parte del tempo seduti (il 61% di tutti i comportamenti da svegli), mentre in altri momenti camminano sulle nocche (15,7%) e in modo bipede per pochissimo tempo (<0,1%). Quindi, in generale, i risultati indicano che gli esemplari di Orrorin costituiscono la prima prova (post-cranica) di bipedismo nel lignaggio degli ominini, anche se questa ricerca non è sufficiente per determinare se effettivamente camminasse sugli arti posteriori.

Visto che ora "sappiamo" qualcosa di più (o di meno) sugli arti inferiori, possiamo dedicarci un po' alla biomeccanica, giusto per capire il grado di bipedismo di questo ominino. Sono diverse le caratteristiche a nostra disposizione che indicano che i primi ominini combinassero una locomozione arboricola con una bipede facoltativa. Oltre allo studio anatomico, come quello visto in precedenza, bisogna anche studiare l’osso a livello microscopico. Per una locomozione bipede in generale, è prevista una variazione a livello topografico sia nella sezione trasversale (attraverso scannerizzazioni si possono studiare le morfologie dell’osso come se fosse una carta topografica, evidenziando se ci sono “pianure” o “alture”, in modo molto simile al contesto geografico), che nella distribuzione dell’osso corticale lungo la diafisi femorale. Ciò permette, in generale, di capire l’entità e le direzioni dei carichi posturali e locomotori. Le proprietà fisiche e locomotorie della diafisi in Homo, Gorilla e Pan possono in qualche modo stabilire a livello filogenetico eventuali parentele o determinare certe distanze tra i gruppi. Infatti, umani e le cosiddette “scimmie africane" sono raggruppate assieme, con Pan che risulta essere molto più vicino a Gorilla piuttosto che ad Homo. In sostanza, i primi femori possiedono una sorta di “firma” anatomico-funzionale distintiva grazie proprio all’organizzazione strutturale dell’osso corticale e al comportamento meccanico della diafisi femorale. O. tugenensis parrebbe essere un ominino basale e, come detto in precedenza, le componenti post-craniali indicano che la locomozione era sia arboricola che, a volte, in grado di camminare in modo bipede ma non in modo obbligato, come negli esseri umani recenti o come in molte australopitecine. Insomma, in una giornata qualunque, Orrorin era in grado di alternare un movimento sugli alberi con una (relativamente) breve camminata sui substrati.

La morfologia esterna della diafisi femorale umana, negli adulti, è nettamente distinta da quella delle altre scimmie africane, mentre le “mappe morfometriche” indicano che la distribuzione topografica dello spessore dell’osso corticale, sempre nella diafisi femorale prossimale in Orrorin, negli esseri umani odierni e in Pan e Gorilla, è diversa tra di loro. Infatti, l’uomo presenta una forma di “firma strutturale” per quanto riguarda i rinforzi dell’albero femorale: quello più sviluppato corrisponde al primo rinforzo (o pilastro) posteriore, dove l’osso risulta essere più spesso attorno al fusto mediano; l’altro rinforzo è presente sia nella porzione prossimale laterale e mediale, con quest’ultimo che rappresenta una sorta di continuità strutturale della tipica asimmetria nello spessore dell’osso corticale che caratterizza il collo del femore derivato degli ominini, presente anche in Orrorin. Tuttavia, se le caratteristiche mediali e posteriori sono ben visibili ed espresse nei femori umani, il grado di sviluppo dell’ispessimento laterale è altamente variabile, infatti la porzione più distale orientata anteriormente, si trova tra il 50% e il 65% della lunghezza biomeccanica dell’osso, mentre la porzione prossimale (tra il 65% e l'80%), è orientata verso la faccia posteriore. Queste componenti strutturali, assieme, corrispondono al sito di attacco esterno del Muscolo grande gluteo, una massa voluminosa (quadrilatera) che mette in comunicazione le pelvi al femore. A differenza di Homo, sia in Gorilla che in Pan, si possono identificare due rinforzi: quello mediale, è il più esteso in quanto copre l’intera porzione mediale della diafisi prossimale (tra il 40% e l'80% della lunghezza biomeccanica dell’osso); quello laterale è più ristretto prossimalmente (di circa il 70-80%) e che in Pan corrisponde alla superficie esterna ad una superficie che si estende sulla superficie esterna del pilastro laterale (a spirale), e ciò risulta essere la “firma” funzionale di Pan in quanto il pilastro laterale appare a forma di “uncino”.

 Occasionalmente, però, si nota in Pan un ispessimento osseo posteriore che si sviluppa, in modo variabile (tra il 55% e il 65% della lunghezza biomeccanica). In Orrorin, gli alberi femorali presentano una situazione simile a quella di Pan, con la presenza di un rinforzo mediale esteso e un ispessimento laterale a obliquo e posizionato più prossimalmente. Per quanto riguarda le somiglianze e le differenze tra i vari gruppi, ci si affida alla ripartizione dello spessore dell’osso corticale, e ciò mostra che tutti i femori umani sono ben separati da quelli di Pan, Gorilla ed Orrorin, con quest’ultimo che rientra negli scimpanzé. Per quanto riguarda la geometria della sezione trasversale, in due femori di Orrorin la percentuale dell’area corticale aumenta leggermente prossimalmente, mentre il profilo diminuisce (in modo variabile) all’interno della porzione dell’albero femorale in tutti i taxa, con gli esseri umani che presentano un contorno più curvo. I valori di Orrorin sono intermedi tra quelli di Homo, relativamente più spessi, e quelli di Pan (relativamente più sottili), avvicinando Orrorin a Gorilla. Per quanto riguarda la forma dei femori, Orrorin mostra valori simili a Gorilla e Pan e non agli esseri umani odierni, con quest’ultimi che mostrano valori più alti, quindi una resistenza proporzionalmente maggiore ai carichi di flessione antero-posteriore inferiore al 65% della lunghezza biomeccanica dell’osso.


Rappresentazione della deformazione della diafisi femorale del gorilla (Puymerail, 2017)


Quindi, Orrorin presenta un modello e dei valori simili a quello di Gorilla, anche se tutti i taxa sono distinguibili per le proprietà biomeccaniche al livello dell’albero centrale, soprattutto per quanto riguarda la rigidità della struttura e i carichi di flessione medio-laterali (nella posizione prossimale). Se prendiamo in considerazione fenomeni di compressione e di flessione posteriore e mediale del femore, i gorilla mostrano una forma meno deformata, seguiti dagli scimpanzé e poi dagli esseri umani odierni, con quest’ultimi che mostrano una variazione maggiore sia nella flessione che nella deformazione. I femori di Orrorin sono vicini tra loro e sono abbastanza lontani da quelli di Gorilla, ma per quanto riguarda il “morfospazio”, si posizionano tra Homo e Pan (dove questi valori si sovrappongono), e succede ciò anche per quanto riguarda la flessione mediale, con i gorilla che mostrano una deformazione più bassa rispetto a Pan ed Homo, che presentano, anche qui, alcuni valori sovrapposti. Se consideriamo la resistenza alla deformazione, uno dei due femori di Orrorin rientra tra le scimmie africane, mentre l’altro tra Pan ed Homo. Insomma, anche in questo caso, due femori di Orrorin sembrano dare risposte funzionali diverse, in quanto uno è deformato come quello di uno scimpanzé, mentre l’altro è più vicino alla condizione umana. Se presi entrambi in considerazione, i femori sembrano essere molto vicini a Pan e Gorilla. 

Femori di Orrorin (Pickard et al., 2002)

E’ anche interessante vedere quanto erano grandi e quanto pesavano gli individui di Orrorin, e ciò è possibile attraverso le stime della lunghezza del femore, anche grazie all’uso dell’analisi di regressione, una tecnica che permette di analizzare una serie di dati che consistono in almeno una variabile dipendente. Le regressioni umane sono basate sulla dimensione della testa del femore e per Orrorin producono stime relativamente basse per quanto riguarda il peso (30,4-39,0 kg), ma è inadatto per lo studio perché queste regressioni su basano su una testa del femore molto grande rispetto alla massa corporea degli ominoidi fossili e viventi. La regressione dei primati non umani, invece, utilizza dimensioni della testa del femore e produce stime di circa 41,5 a 47,7 kg. L’altezza del collo porta ad una previsione di circa 43 kg, un peso leggermente inferiore alla previsione del diametro della testa del femore dell’individuo Bar 1002′00 che ha un collo sottile rispetto alla testa del femore. Lo spessore dell’asta sotto il piccolo trocantere, invece, fornisce valori più alti con regressioni tipiche sia di antropomorfe che di umani, con valori che oscillano tra i 50,4 e 56,7 kg.

In sostanza, la maggior parte delle stime rientrano nell’intervallo 35-50 kg per la previsione della massa corporea dell’individuo Bar 1002′00, che sembra avvicinarsi alle stime di maschi di Pan troglodytes schweinfurthii (scimpanzé orientale) a Mahale e Gombe, con una media di 42 kg nella prima località e con una media di 39,5 kg per Gombe. L’individuo di Orrorin Bar 1003′00 sembra essere più grande di Bar 1002′00, con una massa corporea superiore di oltre 5 kg. La statura di Bar 1002′00 era di circa 1,1–1,2 m quando la lunghezza del femore raggiungeva 298 mm, una statura paragonabile a quella dello scimpanzé che, in genere, può raggiungere i 1,2 m. Tuttavia, il femore di Orrorin non è intero, quindi non sono disponibili dati estremamente accurati, ma è possibile solo fare delle previsioni. La lunghezza prevista del femore è di circa 328 mm e, aggiungendo circa 30 mm (circa il 10% di 298 mm), ciò comporterebbe un aumento di statura di oltre 10 cm. Quattro femori di Mahale (un maschio e tre femmine) hanno una lunghezza compresa tra 242 e 266 mm, con una media di 258,8 mm, mentre la lunghezza del femore in 7 individui di Gombe varia da 253 a 284 mm (la media è di 264,2 mm), inferiore a quella del femore di Orrorin pari a 298 mm. Quindi, come detto prima, la massa corporea stimata per Orrorin è di circa 35-50 kg, indicando che questo ominino fosse più pesante del bonobo, che pesa circa 30 kg, anche se questa è una stima preliminare in quanto non sappiamo con esattezza quale sia la reale lunghezza del femore di Orrorin e se fosse più allungato rispetto agli altri primati viventi. Tuttavia, le stime indicano che comunque fosse meno pronunciato rispetto a quello dell’uomo odierno. Le stime sono influenzate non dal basso spessore della diafisi, ma dalla lunghezza del femore, poiché la lunghezza della diafisi produce previsioni di massa corporea elevate di circa 48-50 kg, mentre la lunghezza del giovane adulto è stata stimata a circa 298 mm sulla base della regressione delle antropoidi, prevedendo un'altezza minima (limite inferiore) di 1,1-1,2 m.

Un tassello che può farci capire se effettivamente Orrorin fosse prevalentemente arboricolo è deducibile dallo studio dei denti. Quelli di O. tugenensis sono più piccoli rispetto a quelli delle australopitecine, e in questo aspetto sono simili ad Ar. ramidus, un altro ominino arcaico vissuto circa 4,4 milioni di anni fa. Lo spessore dello smalto indica che Orrorin, tuttavia, non era distante dalla condizione di A. afarensis e di altre australopitecine ed era più spesso di Ar. ramidus. I due canini di Orrorin, quindi, sembrano molto primitivi e simili a quelli di Ardipithecus kadabba, ricordando nella forma quelli delle femmine di scimpanzé. Pertanto, la dimensione e la forma dei denti di Orrorin hanno portato alcuni ricercatori, compresi gli scopritori, a ipotizzare che questo primate svolgesse una locomozione simile a quella degli esseri umani moderni piuttosto che a quella di A. afarensis.

Entriamo leggermente nel dettaglio. Come accaduto con il femore, anche i denti mostrano un mix di caratteristiche tipiche di ominini più derivati e di ominoidi non umani:

  • Il secondo incisivo differisce da quello di Proconsul in quanto quest’ultimo è caratterizzato da incisivi più alti e più stretti senza mostrare una forte concavità apicale-basale. Si differenzia anche da primati miocenici come Nakalipithecus, Kenyapithecus, e Ouranopithecus, in quanto in quest’ultimi la superficie dentale superiore è alta e slanciata e più pronunciata; in Ouranopithecus il tubercolo distale è marcato in quanto presenta creste apico-basiali. Orrorin differisce dai primati odierni in quanto questi mostrano un tubercolo distale e creste sulla superficie linguale del dente, che risulta essere leggermente più grande di quello di A. afarensis ma, in generale, le proporzioni del secondo incisivo inferiore ricordano quelli degli ominini pliopleistocenici.
  • Il canino inferiore presenta una moderata usura apicale distale, e la posizione della porzione mesiale differisce dai grandi primati del Miocene (Proconsul, Kenyapithecus, Nakalipithecus), e si differenzia da A. afarensis e Australopithecus africanus in quanto la corona è relativamente più ampia labio-lingualmente. Da Ar. Kadabba differisce per la presenza di una debole cresta apico-basale delimitata da un solco poco profondo. La morfologia, in generale, è nettamente diversa dai canini delle australopitecine e di Ardipithecus.
  • Il canino superiore di Orrorin presenta un solco mesiale che, in genere, è presente nei primati miocenici ma è assente in ominini più derivati quali Homo ed Australopithecus. È diverso anche da Nakalipithecus per via dell’assenza di un cingolo linguale e dall’assenza di un forte tubercolo linguale, da un ridotto solco mesiale, ma in generale la morfologia generale della superficie linguale differisce molto. Si differenzia dai canini di Ar. Kadabba per via dell’assenza di creste linguali e da un debole solco mesiale.
  • I premolari inferiori di Orrorin mostrano radici sfalsate, una caratteristica che si può notare in S. tchadensis. Ar. Ramidus è caratterizzato da un quarto premolare inferiore con una radice singola.
  • I molari inferiori di Orrorin sono ricchi di smalto e sono relativamente spessi, simili a quelli superiori e ai molari dei primati del Miocene medio come Samburupithecus, Kenyapithecus e Nakalipithecus. I molari superiori presentano solchi poco profondi tra le cuspidi e differiscono da Samburupithecus che presenta bulbi e cuspidi rigonfie. Rispetto alle due specie di Ardipithecus, il secondo molare inferiore di Orrorin è più corto mesio-distalmente a causa della presenza di un ampio spazio bucco-linguale. Il terzo molare inferiore di Orrorin differisce da quello di Nakalipithecus in cui l'M/3 (terzo molare inferore) risulta essere massiccio con la presenza di cuspidi periferiche. Lo spessore dello smalto di Orrorin è simile a quello dei grandi ominoidi, ma non sembrano presentare lo stesso modello di Pan ed Homo, potrebbe comunque trattarsi di convergenza evolutiva.
  • Rapporti incisivo-molare. È importante qui considerare la relazione tra la lunghezza del taglio del bordo dell'incisivo inferiore e la lunghezza della fila dei molari, dimostrando che è una condizione simile a quella dei gorilla, gli ilobatidi e molti ominoidi fossili. Occasionalmente anche Pan e Pongo possiedono incisivi taglienti ed allungati rispetto alla lunghezza della serie molare, mentre Paranthropus possiede piccoli incisivi ed enormi molari.
Mandibola di O. tugenensis (Senut et al., 2018)

Canini superiori di O. tugenensis (Senut et al., 2018)


In generale, Pan e Pongo sono affini, Paranthropus si trova raggruppato con le australopitecine mentre Orrorin presenta dimensioni simili a quelli degli esseri umani odierni. Questo è un dato interessante perché, se Orrorin fosse considerato un precursore di Australopithecus, con quest’ultimo precursore di Homo, i denti devono aver subito una sorta di “yo-yo morfologico” in quanto le australopitecine presentano dimensioni maggiori dei denti, con questa condizione di megadonzia che caratterizza il genere Paranthropus. Anche rispetto ad A. afarensis, O. tugenensis mostra dei denti molto piccoli, a differenza dei femori che risultano essere più grandi, pertanto non è difficile pensare che O. tugenensis avesse una statura maggiore di A. afarensis, nonostante quest’ultimo sia più megadonte di Orrorin che nel rapporto corporatura/denti si avvicina molto ad Homo. Il rapporto tra dimensione corporea e la dentatura negli ominoidi (ma anche in altri primati) sembra essere legato al metabolismo ed alla nutrizione. Un trend evolutivo caratteristico del lignaggio umano è proprio la riduzione delle dimensioni dentali nel corso del tempo, ma è probabile che se Orrorin sia un ominino basale, questo trend sia incominciato con le australopitecine e non proprio con l’antenato comune o con i possibili primi ominini vicini alla separazione dei lignaggi Homo-Pan.
Insomma, le australopitecine mostrano denti più grandi di Orrorin, suggerendo che nel corso delle generazioni siano stati selezionati individui che già possedevano denti relativamente più grandi, forse a causa di qualche fenomeno ambientale. Potrebbe anche essere che Orrorin sia l’antenato comune tra Australopithecus e un altro gruppo sconosciuto, con quest’ultimo che ha conservato la condizione di Orrorin mentre Australopithecus ha acquisito questa condizione che si è rivelata favorevole in certi contesti ambientali, come la savana, con questa condizione di megadonzia che si è persa in Homo ed è stata espressa come ipermegadonzia in Paranthropus. Rimane da capire se la megadonzia in Australopithecus si sia sviluppata gradualmente o in tempi geologici brevi. È stato anche proposto che O. tugenensis, Ar. kadabba e S. tchadensis appartengano allo stesso genere, con Ar. kadabba che presenta un mix di morfologie di diverse specie, come O. tugenensis, e S. tchadensis molto vicino all’antenato comune uomo-scimpanzé.

A sinistra ci sono i canini inferiori di O. tugenensis, a destra i molari superiori (Senut et al., 2018)

A sinistra il terzo molare superiore, a destra la comparazione tra scimpanzé (dx) e O. tugenensis (sx) per quanto riguarda i molari superiori (Senut et al., 2018)

Uno scenario del genere sarebbe giustificato dal contesto ambientale nel quale visse Orrorin e, attraverso lo studio di isotopi stabili del carbonio estratti dai denti degli erbivori, provenienti dai depositi delle colline di Tugen, possiamo fare un breve resoconto sugli scenari ambientali. I fossili di Tugen indicano che esisteva un ambiente forestale, ma non era predominante, poiché erano presenti più tipi di ambiente, come indicato dalla differenza di δ18O tra gli ippopotami e la fauna terrestre. L'esemplare di giraffa della Formazione Mabaget mostra uno dei valori δ18O più alti, il che suggerisce che fosse un animale resistente alla siccità. Il δ13C dei grandi erbivori indica che i primi ominini del Kenya abitavano un ambiente misto di piante C3 e C4, come anche Ardipithecus in Etiopia e Sahelanthropus in Ciad. In altre parole, le piante C4 indicano un ambiente e una dieta prevalentemente basati sull'erba, mentre le piante C3 indicano foglie di alberi e arbusti. Le colline di Tugen potrebbero essere state una sorta di prateria boscosa, con alcune parti caratterizzate da un bosco un po' più fitto, ma non vi sono tracce di foreste chiuse al momento della deposizione dei sedimenti. Le differenze alimentari tra i gruppi di erbivori sono evidenziate dalle preferenze per determinati tipi di piante, che possono essere distinte in base al tipo di fotosintesi che utilizzano:

  • Deinoteri, la maggior parte degli elefantidi e un individuo di giraffide avevano una dieta basata su piante C3. Questo suggerisce che fossero animali esploratori, poiché le piante C3 sono tipiche di ambienti forestali e boschivi.

  • Gomfoteri e equidi, invece, consumavano principalmente piante C4, il che riflette le loro abitudini di pascolo, poiché le piante C4 sono spesso associate a terreni aperti come le praterie.

  • Suidi (maiali) e ippopotami si nutrivano sia di piante C3 che di piante C4, il che li classifica come erbivori generalisti. Questo comportamento alimentare era condiviso anche da bovidi e rinoceronti.

Sezione stratigrafica di Tabarin (Pickard et al., 2022)


Le variazioni di δ13C e δ18O tra le associazioni faunistiche suggeriscono cambiamenti nel clima e nella vegetazione locali. Probabilmente, nel Pliocene inferiore ed alla fine del Miocene (circa 5,7 Ma), si verificarono condizioni più umide rispetto alle epoche precedenti. Le piante C4 sarebbero aumentate nella parte finale del Miocene, indicando una maggiore densità boschiva durante il Pliocene inferiore rispetto al Miocene superiore. Questo potrebbe riflettere la presenza di diversi ominini e la possibile divergenza di un gruppo che nel Pliocene avrebbe dato origine alle australopitecine. Un mix di ambienti diversificati ha potenzialmente favorito la comparsa di vari gruppi di ominini, anche appartenenti a specie differenti. Questo scenario è supportato dai recenti ritrovamenti di nuovi ominini provenienti dalla contea di Baringo, in Kenya. Sulle colline di Tugen, nella formazione pliocenica di Mabaget, sono stati scoperti diversi resti di ominini, tra cui una mandibola, tre denti isolati e una falange del piede, datati a circa 5-4,5 milioni di anni fa. Le dimensioni di questi resti sono compatibili con O. tugenensis e Ar. Ramidus. Inoltre, è stata rinvenuta una mandibola datata a circa 3,4-3 milioni di anni fa, proveniente dall'Etiopia, associata alla specie A. afarensis. Recentemente, la forma più piccola è stata attribuita a una nuova specie potenziale, Orrorin praegens (Pickford et al., 2022). Questo potrebbe fornire un'indicazione di dove e quando sia avvenuta la divergenza tra Orrorin e Australopithecus. Tuttavia, considerare questa nuova specie di Orrorin come un prosieguo di O. tugenensis, e quindi un ominino basale delle australopitecine, rimane un'ipotesi audace in quanto i dati a disposizione sono ancora limitati.

Questo è un grafico scritto in inglese nel quale sono state aggiunte altre possibili specie, non ancora riconosciute come tali. Differisce da quello che si trova in genere sui libri del Paleoantropologo Giorgio Manzi, ma comunque mostra le varie affinità morfologiche delle varie specie e il susseguirsi di esse nel corso del tempo. Essendo la nostra specie l'unica del genere Homo in vita, viene utilizzata come metro di comparazione e, quando una specie presenta delle affinità, si troverà più a sinistra; se mostra caratteristiche differenti e divergenti, la specie tenderà ad essere posizionata verso destra. In questo caso, Orrorin tugenensis si trova in una posizione particolare in quanto è molto "vicina" dalle morfologie tipiche di Homo (Wood et al., 2020)


L'associazione con la fauna locale fornisce importanti indicazioni sulla distribuzione geografica e sugli habitat in cui vivevano queste due specie. La fauna associata a O. praegens suggerisce un ambiente forestale, poiché sono stati trovati resti di tragulidi, pipistrelli della frutta e suidi bunodonti. In contrasto, la fauna associata ad A. afarensis include suidi semi-ipsodonti, elefantidi, rinocerontidi ipsodonti e bovidi adattati agli ambienti aperti, come indicato anche dalla presenza di gazzelle e Taurotragus. Si ritiene che un grande cambiamento climatico abbia portato a una modifica nella composizione della vegetazione locale, verificatosi tra 4,5 e 3,5 milioni di anni fa circa. Questo cambiamento ha portato alla scomparsa di diversi gruppi locali, come i trigulidi, mentre altri sembrano essersi spostati altrove, come le gazzelle. I resti locali di ominini potrebbero giustificare una speciazione diretta da O. praegens a Australopithecus afarensis e rappresentare un'evoluzione autoctona o la sostituzione di O. praegens attraverso la dispersione di gruppi di Orrorin che, andando incontro a fenomeni di speciazione, anche attraverso l'isolamento geografico, ha comportato la comparsa di A. afarensis.

Frammento di mandibola di O. praegens (Pickard et al., 2022)

Tralasciamo il femore e la sua complessità perché, come avete potuto leggere, non è un osso facile da studiare, specialmente se presenta deformazioni dovute ai processi che precedono e seguono la fossilizzazione (tafonomia). Tuttavia, se volete approfondire ulteriormente il tema degli arti anteriori, possiamo vedere se Orrorin fosse stato in grado di afferrare oggetti o se questo primate fosse stato prevalentemente arboricolo. La risposta è sì. I caratteri anatomici della falange terminale del pollice sembrano indicare che Orrorin fosse già in grado di manipolare e/o fabbricare oggetti, anche se non sono stati trovati reperti associati a questo primate. Questo, in primo luogo, suggerirebbe che questa capacità potrebbe essere una forma di "Exaptation", un meccanismo evolutivo noto anche come Pre-adattamento, che indica come una componente anatomica o biologica, codificata geneticamente, possa svolgere una funzione diversa non codificata geneticamente. Ad esempio, le penne e le piume degli uccelli sono caratteristiche "pre-adattate" che originariamente avevano un ruolo termoregolativo, ma cambiamenti successivi legati agli arti (e anche alle stesse penne e piume) hanno permesso agli uccelli di volare e/o planare. Inizialmente, una capacità del genere era legata alla prensione dell'arto sui rami per consentire al primate di bilanciare il corpo durante i movimenti durante la locomozione arboricola, riflettendo una sorta di presa di precisione per quanto riguarda l'arrampicata e il bilanciamento del corpo. Sebbene si muovessero in modo leggermente diverso dalle grandi scimmie africane, potenzialmente erano anche in grado di fabbricare oggetti e manipolarli. Tuttavia, ciò potrebbe anche rappresentare una convergenza evolutiva, e sotto questo punto di vista non si può dire molto.

Falange distale dell'arto inferiore di O. tugenensis (Gommery et al., 2006)

La formazione Lukeino ha rivelato fossili di foglie che suggeriscono la presenza di una foresta secca sempreverde, con aree molto più umide. Inoltre, sono stati ritrovati fossili di impala e colobi, primati arborei adattati a foreste folte ed alte, insieme a numerosi carnivori di grandi dimensioni. Tra i reperti rinvenuti vi sono anche livelli calcarei contenenti alghe, gasteropodi e resti di grandi mammiferi, come ippopotami, che indicano la presenza di un ambiente alcalino e di sorgenti termali. Gli ambienti forestali associati ai primi bipedi, risalenti a circa 6 milioni di anni fa, confutano l'ipotesi secondo cui i primi ominini fossero comparsi in un ambiente secco. Questa tesi è avvalorata anche dalla presenza del miombo, piante del genere Brachystegia, attualmente diffuse nell'Africa sub-sahariana fino alla Tanzania. In passato, l'areale del miombo era più esteso e probabilmente si estendeva fino in Etiopia, circa 10 milioni di anni fa. La struttura degli alberi, con tronchi verticali e distanziati tra loro, potrebbe aver favorito l'emergere del bipedismo da questo tipo di ambiente..

C'è un'ampia discussione su dove collocare Orrorin nel panorama degli ominini, un argomento delicato dato che ogni luogo in cui viene scoperto un nuovo fossile di ominino viene spesso indicato come "la culla dell'umanità". In passato, i primi fossili di ominini, almeno quelli rinvenuti nel secolo scorso, secondo i ricercatori dell'epoca, suggerivano che gli ominini fossero comparsi in contesti di savana. Tuttavia, la scoperta di primi possibili ominini come Sahelanthropus, Orrorin e Ardipithecus indica che gli ambienti in cui si svilupparono i primi individui del lignaggio umano fossero principalmente forestali e boschivi, intervallati da ambienti aperti. Questo ambiente permetteva loro di vivere sia nelle foreste che negli ambienti aperti, grazie alla loro capacità di locomozione arboricola e bipede. Gli ominoidi non umani attuali, come gibboni, oranghi, scimpanzé e gorilla, abitano un'area caratterizzata da ambienti intertropicali, con un clima caldo e umido, compresa tra i 10° di latitudine nord e i 10° di latitudine sud. Tuttavia, si ritiene che i loro progenitori fossili occupassero un'area più estesa. Circa 18 milioni di anni fa, vivevano molto più a sud, come nel Sud Africa, rispetto ai loro discendenti attuali, mentre circa 11 milioni di anni fa abitavano regioni situate più a nord, nell'attuale Cina e Germania.

Quindi, non è impensabile che questi antichi gruppi si fossero spostati "un po' ovunque" proprio grazie alla formazione delle calotte polari che, con l’abbassamento del livello del mare, ha permesso uno scambio faunistico tra vari continenti grazie alla formazione dei cosiddetti "ponti continentali", soprattutto tra Africa ed Eurasia. Circa 8 milioni di anni fa, gli ominoidi cominciarono gradualmente ad estinguersi in Europa ed in Asia, seppur tutt'ora presenti nel Sud-Est asiatico, con i primi ominini che comparvero in Africa, così come le grandi scimmie comparvero in Etiopia (circa 9,5 milioni di anni fa), in Kenya (circa 12,5 milioni di anni fa) e in Niger (tra 11,5 e 6 milioni di anni fa in Niger).

Gli individui appartenenti ai lignaggi che hanno portato alla comparsa degli ominoidi odierni, così come per gli ominini, seguirono probabilmente le zone tropicali che si sviluppano a sud rispetto agli attuali areali. Gli antenati degli ominini del Miocene superiore andrebbero ricercati tra le medie latitudini dell’Eurasia e dell’Africa meridionale, e ciò non è impensabile in quanto questo trend ha caratterizzato anche molti mammiferi migratori, di cui però possediamo più resti fossili. In sostanza, la scoperta di O. tugenensis ha un po’ scombussolato quelle che erano le idee sulla comparsa e sull’evoluzione degli ominini, uomo compreso, e sembra essere una sorta di collante che collega gli ominini più vicini all’antenato comune Pan-Homo e le australopitecine. In quest’ultime, il bipedismo incomincia a svolgere un ruolo importante, sia per quanto riguarda la locomozione che per quanto riguarda alcuni adattamenti ambientali, come l’esplorazione di nuovi ambienti e la ricerca di nuove fonti di cibo che non possono essere raccolte sugli alberi. Ciò non toglie che anche individui come Lucy vivessero sporadicamente sugli alberi per dormire o accudire la prole. Diciamo che quest’eredità caratterizzerà una moltitudine di ominini, compresi H. habilis ed H. rudolfensis, ma anche altre specie umane più recenti come H. naledi o altre specie umane insulari che, nonostante presentino caratteristiche arcaiche, non hanno collegamenti diretti con questi antichi gruppi.

I primi ominini, però, come Orrorin, indicano che il bipedismo non ha avuto origine in ambienti aperti come la savana, ma in ambienti umidi e boscosi, ed è una locomozione strettamente legata alla locomozione arboricola, sia per mantenere in equilibrio il corpo sugli alberi, camminando per esempio su grandi e robusti rami o radici, sia occasionalmente sul substrato terrestre. Quindi, come accennato in precedenza, il bipedismo potrebbe essere un carattere "exaptato" (o pre-adattato), che con la comparsa di ambienti sempre più aperti, nonostante questo carattere fosse codificato geneticamente per svolgere una funzione in contesti boschivi e forestali, si è dimostrato in seguito vincente, permettendo così al lignaggio "umano" di espandersi ovunque in Africa e nel mondo.


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