martedì 18 ottobre 2022

L'uomo ha smesso di evolversi (di cambiare) con la comparsa della cultura? No, non è così. E continua tutt'ora ad evolversi!

 


Questo è un argomento che mi sta molto a cuore in quanto, la pagina Facebook, è nata proprio per cercare di fare buona informazione in ambito evoluzionistico, e per cercare di contrastare quelle stupide fake news che, volente o nolente, si continuano ancora a leggere e a sentire, come quelle sull'anello mancante, quelle sui fossili viventi, e tante altre (prima o poi sparirete!).

Quella più infame afferma questo: l'uomo ha smesso di evolversi (con la comparsa della cultura). Lo Chef Barbieri direbbe "mi sta partendo un neurone", ma in questo caso i neuroni si suicidano direttamente perché è una frase ascientifica, priva di senso ed estremamente egoistica. Non facciamo che autoesaltarci e considerarci superiori alla natura, tanto da 'affermare' che ad un certo punto l'evoluzione biologica si sia fermata. Naturalmente, qui ci si collega a quella disgustosa "scala evolutiva", che pone l'uomo come un arrivo, l'apice di un qualcosa che esiste solo nella nostra mente. E tutto questo sarebbe accaduto in concomitanza con l'evoluzione culturale, che avrebbe bloccato in qualche modo la nostra evoluzione (ricordando che è un processo continuo, e cesserà di esistere quando non esisteranno più organismi o entità biologiche). 

Ma tutto questo è partito dalla scissione dell'Antropologia Culturale da quella Fisica (ne ho parlato qui), in quanto sostanzialmente si incomincia nel XX secolo a non prendere più in considerazione elementi biologico-evolutivi per parlare dell'uomo. Gli elementi culturali non avevano nulla a che fare con gli elementi biologici, non dipendevano da nessun fenomeno naturale. Così si arrivò, ahimè, ad una sorta di compromesso per far contenti sia gli antropologi fisici che culturali, dividendo l'evoluzione umana in due fasi:

-La prima fase è basata su una visione prettamente evoluzionistica, dove la dimensione culturale è trascurabile;

-La seconda fase, invece, prevede l'annullamento dei processi biologico-evolutivi per far spazio a quelli culturali (la cultura, sostanzialmente, nasce e si sviluppa solo dalla cultura).

Questo "contentino" prevedeva una sorta di stasi evoluzionistica, che stava alla base della seconda fase. E' (era) chiamata 'Biological Evolutionary Statis, o BES, che sarebbe avvenuta al superamento di una soglia cognitiva che avrebbe innescato l'evoluzione culturale e bloccato quella biologica. 

Già da questa affermazione, e con tutti gli studi pubblicati negli ultimi 20 anni, si capisce che questa stasi non ha senso di esistere, soprattutto se dovessimo chiederci " quando esattamente è stata superata questa soglia cognitiva"? Alcuni, sicuramente, porrebbero questa soglia nel Neolitico, con la comparsa dell'agricoltura; altri, con la comparsa della nostra specie, e magari altri dopo l'estinzione del Neanderthal. Insomma, il problema è già stato superato, ma non nel secolo scorso.

Insomma, in parole povere la cultura avrebbe permesso all'uomo di discostarsi dalla natura, e di non "sottostare" alle sue regole. Purtroppo, a gettare benzina sul fuoco, è anche la poca conoscenza del campo evoluzionistico. Tutt'ora "affermano" i detrattori di Darwin che la sua teoria è, appunto, solo una teoria (ignorando il fatto che c'è differenza tra teoria, termine utilizzato nel linguaggio comune, e teoria scientifica), e che grazie alla cultura non sottostiamo più alla Selezione Naturale. Il discorso, seppur semplice ma difficile da far digerire ad un antropocentrista, è che la Selezione Naturale è soltanto uno dei tanti meccanismi evolutivi che smista mutazioni, o altri cambiamenti (evoluzione è sinonimo di cambiamento, non di miglioramento) che avvengono, avvenivano ed avverranno in continuazione. Insomma, gli "smistamenti" non avvengono esclusivamente ad opera di una pressione ambientale (per esempio).

Quindi, l'associare unicamente la Selezione Naturale all'evoluzione, come se fosse l'unico sistema che porta al cambiamento, genera tutt'ora problemi di non poco conto ( ci arriveremo più tardi). E con ciò, entriamo nel vivo del discorso: l'evoluzione biologica nell'uomo non si è fermata.

 Le prove

Incominciamo con la prima prova: Evidence for evolution in response to natural selection in a contemporary human population (Milot et al. 2011).

Questo lavoro, sostanzialmente, indica che esistono processi microevolutivi che possono portare cambiamenti all'interno di una popolazione in poco tempo, anche in poche generazioni. In questo studio, sostanzialmente, si è notato come la selezione (naturale in questo caso) può essere forte, e presente, anche nelle popolazioni moderne. E' stata studiata quella che in inglese viene definita 'Age at first reproduction (AFR)', che possiamo in qualche modo italianizzare con "età della prima riproduzione". 

La popolazione studiata è quella dell'Ile aux Coudres L'Ile aux Coudres , un'isola canadese situata a circa 80 km a nord-est dalla città di Québec. In parole povere, senza entrare troppo nel dettaglio dello studio, si dimostra che la microevoluzione è rilevabile in poche generazioni nelle specie longeve. Ad esempio, un'ampia proporzione della tendenza fenotipica nell'età alla prima riproduzione a îleaux Coudres sembra essere attribuibile a una risposta alla selezione naturale. Le modifiche ai tempi della riproduzione possono avere effetti importanti sulla demografia di una popolazione.


La seconda prova: Genetic evidence for natural selection in humans in the contemporary US (Beauchamp 2016).

Se il cavallo da battaglia è "la selezione naturale non ha nessun effetto sulla nostra popolazione", con questa ricerca si capisce che anche in questo caso i sostenitori della stasi erano (sono) in torto. E' uno studio prettamente genetico che tiene conto ed analizza le possibili varianti genetiche associate a vari fenotipi. I genotipi degli individui vengono utilizzati per predire l'indice della massa corporea, la concentrazione del glucosio, la schizofrenia, il colesterolo, ecc. 
I risultati che hanno dato maggiori informazioni sull'attuale influenza della Selezione Naturale sono:

-Quelli relativi al livello d'istruzione. La selezione Naturale avrebbe favorito un livello d'istruzione inferiore, sia nei maschi che nelle femmine (un tasso di selezione di circa 1,5 mesi di istruzione per generazione, nettamente inferiore ai "livelli contemporanei);

-Quelli relativi al menarca (la prima mestruazione). Cioè, la Selezione Naturale potrebbe aver favorito un'età più alta al menarca femminile. 

Sono comunque dati che non possono essere proiettati su più di una generazione, ma sostanzialmente tutto ciò fornisce prove che l'essere umano continua ancora a cambiare (e ad essere sottoposto al meccanismo evolutivo della Selezione Naturale), ma in modo lento rispetto ai cambiamenti culturali (che attualmente stanno avvenendo a velocità elevate). 


Nel corso del tempo, già di per sé, il concetto di stasi ha raggiunto contorni meno estremistici, tanto che i più "moderati" abbracciarono in minima parte anche i principi biologico-evoluzionistici. Il problema di fondo, come accennato all'inizio, è che si confonde evoluzione con Selezione Naturale, tanto che secondo Powell (2012), esistono dei "tamponi" che "proteggono la popolazione umana da questo meccanismo evolutivo: 

-La plasticità fenotipica. Sostanzialmente, è una risposta a rapidi cambiamenti, e i geni (che sono già presenti all'interno di una data popolazione) si esprimono in  modi differenti. Questo, per i sostenitori della stasi umana, una cognizione superiore rende virtualmente il cervello più plastico e reattivo ai cambiamenti, rendendo "non necessaria" un'evoluzione biologica;

-La costruzione di nicchia. E' una modifica attiva dell'ambiente selettivo, e con l'avanzare della tecnologia l'uomo sarebbe stato capace di sopraffare, o addirittura di invertire, la Selezione Naturale. E' come se l'uomo fosse co-direttore del suo destino;

-Trasmissione culturale. L'acquisizione e la trasmissione di variazioni non genetiche avvengono attraverso meccanismi di apprendimento sociale, e per fare ciò ci vuole un cervello molto sviluppato, in grado supportare una cognizione "superiore" e abilità linguistiche. In pratica, l'acquisizione e la trasmissione culturale potrebbero implicare una sorta di elemento di preveggenza o intenzionalità.

Questi fattori non bloccano la selezione naturale, ma solamente la tampono, quindi l'evoluzione c'è comunque, e al massimo si potrebbe parlare della velocità con cui cambia una data popolazione attraverso questo meccanismo evolutivo.

Oltre alla plasticità fenotipica o la costruzione di nicchia, che sostanzialmente smentiscono questa sorta di "stasi", e che sono anche argomenti che stanno alla base della "sintesi integrata", ci sono anche punti che smentiscono la 'stasi biologica':

-La coevoluzione gene-cultura. La versione estrema e moderata della stasi evolutiva sostengono che la selezione direzionale è stata effettivamente sostituita dalla "niche construction", o costruzione di nicchia, soprattutto dopo la rivoluzione Neolitica. Si dubita in primis a questa affermazione in quanto la cultura non limita o blocca la costruzione di nicchia, anzi la favorisce. Molti autori ritengono che gli aspetti sociali e tecnologici dell'Olocene abbiano creato un ambiente selettivo dinamico che ha aumentato (al posto di ridurre) i tassi di evoluzione umana. Per esempio, l'allevamento ha portato alla produzione di latte che ha generato pressioni selettive che, a loro volta, hanno portato alla fissazione di geni associati alla tolleranza del lattosio (ne ho parlato qui);

-Plasticità ed evolvibilità. Si presume che la plasticità fenotipica agisca da scudo ai genotipi subottimali dalla selezione, rallentando il tasso di evoluzione adattativa, e vincola la risposta alla selezione in ambienti variabili. Questo dovrebbe essere il punto forte di chi sostiene la stasi evolutiva, in quanto per loro l'estrema plasticità comportamentale e cognitiva sarebbe un ostacolo all'evoluzione, ma la plasticità fenotipica spiega l'esatto contrario;

-Il difetto centrale concettuale è che i sostenitori della stasi danno per scontata proprio quest'ultima, in quanto non riconoscono la 'Selezione Stabilizzante' come evoluzione, e la combinazione di mutazione e deriva genetica come una tendenza alla diversificazione nei sistemi biologici. La Selezione Stabilizzante è onnipresente, e continuerà ad essere un fattore centrale nell'evoluzione.


L'evoluzione culturale non è tanto diversa da quella biologica

Il cambiamento culturale viene considerato come un processo evolutivo darwiniano, con la cultura che viene definita come un insieme di informazioni socialmente trasmesse. A livello biologico:

  • diverse entità di una popolazione variano nelle loro caratteristiche;

  • c'è una correlazione tra entità genitore e prole.


Lewontin (1970) afferma che i tratti culturali (idee, parole, artefatti) subiscono variazioni, quindi differenti tassi di sopravvivenza e di riproduzione. I caratteri vengono trasmessi da persona a persona attraverso meccanismi di apprendimento sociale, come l'imitazione o la parola. Per esempio, i verbi odierni trovano delle differenze con le forme del passato, così come la lingua in generale. Cavalli-Sforza è il maggior esponente in questo campo, in quanto fu il primo a trovare un parallelismo tra l'evoluzione biologica e culturale, e come quest'ultima sia influenzata da meccanismi di trasmissione e di mutamento simili. Assieme a Feldman (1081), costruirono modelli che hanno esplorato la trasmissione di tatti culturali non solo dai propri genitori biologici, ma anche a coetanei e da membri più anziani non imparentati dalla generazione genitoriale. 

La cultura è legata alla componente demografica, e può essere trasmessa se la popolazione, io parte di essa, migra, questo perché la demografia può influenzare l'evoluzione della cultura. Sempre Cavalli-Sforza, evidenzia come la dimensione della popolazione e la migrazione della stessa possano influenzare l'evoluzione biologica. per esempio, durante, il periodo delle colonizzazioni,  una determinata popolazione può perdere o acquisire determinati tratti culturali  attraverso meccanismi evolutivi quali l'isolamento o la "deriva genetica", l'ibridazione culturale, ecc. Un altro fattore molto importante è la complessità in quanto i fattori demografici, come la dimensione della popolazione e la migrazione possano influenzare l'evoluzione culturale così come possono influenzare l'evoluzione biologica. Sostanzialmente, l'abilità del membro più abile della generazione precedente può presentare qualche errore, che possiede 2 componenti:

  • una che determina la perdita di abilità a causa di una copia imperfetta;

  • un'altra che rappresenta i tentativi di migliorare l'abilità.

La complessità aumenta con la dimensione della popolazione perché più individui ci sono e più è probabile che qualcuno faccia un miglioramento senza errori di trasmissione significativi, anche se molti altri studi non mostrano questo legame. Qui entrano in gioco i metodi filogenetici che permettono, per esempio, di ricostruire il linguaggio in quanto si comporta, in modo molto simile ai geni, ci aiuta a ricostruire il passato e a confrontare tratti condivisi o divergenti tra popolazioni diverse. 

Esistono parallelismi tra evoluzione culturale ed evoluzione biologica. Si discute di come la costruzione di nicchia giochi un ruolo cruciale nell'evoluzione umana, perché altera le fonti della selezione naturale e quindi il percorso dell'evoluzione. Sostanzialmente, la teoria dell’evoluzione per selezione naturale di Darwin può essere estesa anche alla cultura stessa, questo perché è parte integrante dell’essere umano. Vi sono diverse analogie, la prima è che anche la cultura si evolve, cioè si sviluppa e cambia nel tempo. L’unica differenza è che nell'evoluzione biologica il flusso di informazioni di solito è verticale (dai genitori ai figli), mentre nell'evoluzione culturale il flusso di informazioni potrebbe essere anche orizzontale, come quando l'informazione culturale viene trasmessa anche a/da non parenti.

La cultura umana è legata alla costruzione di nicchia. Con l'ascesa della cultura, gli esseri umani non solo hanno radicalmente alterato i loro ambienti naturali ma le fonti di selezione in quegli ambienti

Qui entra in gioco “La formula di Darwin", che consiste nei tre elementi che stanno alla base dell’evoluzione:

  • variazione. I membri di una particolare popolazione mostrano sempre lievi differenzi   morfologiche/fenotipiche, come il colore o l’altezza. Alcune svolgono una funzione positiva, altre negative  per la sopravvivenza e la riproduzione;

  • selezione. Alcuni individui hanno più successo nella sopravvivenza e nella riproduzione rispetto ad altri individui;

  • replicazione. E’ ciò che rende un gene “immortale”, proprio perché viene trasmesso da generazione in    generazione.

Tutto questo lo possiamo applicare alla cultura, proprio perché il concetto di evoluzione fa riferimento a qualsiasi sistema dinamico che possiede variazione, selezione e replicazione per evolvere. Si considera cultura, quindi, come qualsiasi informazione che può essere trasmessa alle generazioni successive con “mezzi non genetici” (lingua, parlata o scritta, imitazione e insegnamento). 

La diminuzione delle taglie delle prede ha influenzato l'uomo sia a livello biologico che culturale
Sostanzialmente, nel Paleolitico Inferiore , gli strumenti litici (e non solo!) erano stati sviluppati per la caccia alle grandi prede, come per esempio i mammut o grandi elefanti, ma la scomparsa della cosiddetta 'Megafauna' ha messo l'uomo nelle condizioni di modificare un arsenale che fino a quel momento si è dimostrato efficiente per la sopravvivenza della nostra specie portando, così, alla comparsa di armi specializzate nella caccia alle piccole prede. In parole povere, le armi sono una sorta di risposta adattativa a questa pressione evolutiva, ovvero la diminuzione della dimensione e della taglia degli animali.
Sono stati analizzati reperti preistorici provenienti dall'Africa (sia orientale che occidentale), dalla Francia e dalla Spagna concentrandoci sulla transizione tra Paleolitico Medio e Superiore (300.000 anni fa circa). Nei siti più antichi sono stati rinvenuti strumenti in pietra ed ossa utilizzati per cacciare grandi animali, come gli elefanti. Si tratta, infatti, di lance con la punta in pietra che si rivelarono essere molto efficienti per cacciare questi bestioni che, alla prima distrazione, potevano creare non pochi danni ai cacciatori umani. La tecnica utilizzata era quella Levallois, caratterizzata in primis della lavorazione di un nucleo dal quale si intagliavano schegge più elaborate rispetto alle tecniche precedenti e prodotte con "un colpo solo".
Queste punte di pietra realizzate con tecnica Levallois sono comparse contemporaneamente, a livello geologico e stratigrafico, nei siti studiati ed accompagnate allo stesso tempo dalla diminuzione della quantità di ossa di grandi prede. Questo aspetto incomincia a rispecchiare un po' il "cambio di arsenale" citato prima. Infatti, l'utilizzo di lance in legno permetteva la caccia di prede di grandi dimensioni, non tanto per la pericolosità dell'arma ma per il semplice fatto che permetteva di spingere questi grossi animali verso trappole ideate precedentemente, mentre animali di medie dimensioni potevano scappare se colpiti da una lancia, recuperando successivamente la carcassa dell'animale dopo che ha percorso una certa distanza, prima di crollare per la perdita di sangue dovuta ad una profonda ferita.
Ma, a livello stratigrafico, la comparsa di lance con la punta in pietra potrebbero essere una sorta di risposta alla crescente scarsità di grandi prede.
Per capirci qualcosa di più, facciamo una sorta di veloce riassunto sulle armi utilizzate nel passato.
La fabbricazione di strumenti di pietra avvenne circa 3 milioni di anni fa, e gli umani iniziarono a cacciare circa 2 milioni di anni fa. Con 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙚𝙧𝙚𝙘𝙩𝙪𝙨 abbiamo, in sostanza, una lancia in legno che serve per essere conficcata "da vicino" ad una grande preda mentre, Sapiens e Neanderthal, grazie alla tecnica Levallois citata prima, migliorano quest'arma che viene utilizzata sia per "spingere" gli animali verso le trappole o per lanciarle (quindi, rischiando meno di lasciarci la pelle). Con 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨 assistiamo, infine, alla realizzazione di archi e frecce 50.000 anni fa circa e, nel Paleolitico Superiore (circa 25.000 anni fa), entra in gioco anche la domesticazione dei cani con gli stessi che aiuteranno l'uomo nella caccia stanando le più disparate specie. Senza dimenticare la comparsa degli ami e di altri svariati strumenti.
Tutto questo che ho elencato serve per far capire che, questa successione, fino a qualche tempo fa, era la spiegazione più "semplice" per spiegare che con l'aumento della cognizione nella nostra specie vi è stato un miglioramento delle armi, ma non è proprio così (anche grazie a questo studio). Il tutto sarebbe legato alla dieta, infatti gli autori citano l'esempio dell'elefante in quanto è stato un pasto che ha caratterizzano la dieta del genere Homo fino a 300.000 anni fa circa, periodo della scomparsa di questo animale nel Medio-oriente. La scomparsa dell'elefante funge da "pressione evolutiva", spingendo gli esseri umani a trovare il modo per ottenere la stessa quantità di proteine e nutrienti, concentrandosi sugli animali più piccoli (naturalmente, significa cacciarne molti per arrivare ad un apporto simile a quello di un elefante). Questo è il risultato di uno studio del 2022 che ci fornisce alcuni punti interessanti:
-in un periodo compreso tra 1.5 milioni e i 20 mila anni fa, la preda dominante all'inizio di questo periodo era un elefante di 12 tonnellate circa, mentre alla fine la "preda tipo" è una gazzella di 25 kg;
-i dati indicano che il peso medio degli animali cacciati fino a un milione di anni fa era di circa 1 tonnellata, mentre in periodi più recenti scendiamo fino ai 50 kg 20 mila anni fa circa.
Questo ha portato a pensare che la dimensione delle prede ha giocato un ruolo importante nell'evoluzione umana: ci si nutriva di animali grandi, in assenza degli stessi l'uomo si concentrava su animali più piccoli e, alla fine, in assenza anche di animali piccoli l'uomo incominciò ad addomesticare piante ed animali fino ad arrivare al Neolitico (più o meno) con l'agricoltura. O meglio, questo riesce a spiegare anche la comparsa di cibi a base di legumi o di altri vegetali che risultavano essere un ottimo pasto sostitutivo, o integrativo anche di popolazioni neanderthaliane.
Gli autori, poi, entrano nei soliti discorsi sull'intelligenza e sulle capacità cognitive in quanto, questi dati, dimostrerebbero che la caccia alle piccole prede abbia selezionato umani in grado di costruire armi specializzate per cacciare "da lontano", umani più attenti e concentrati sulla preda ed in grado di seguirne le tracce e ad imparare come catturarla. Una sorta di "paleo-etologi" molto pazienti. Questo indica che le prede piccole dovessero, in qualche modo, garantire un'assunzione a livello energetico simile a quello di un grosso mammifero, ed in questo modo gli autori propongono che la diminuzione di taglia degli animali sia stata una pressione evolutiva che ha selezionato umani con capacità cerebrali più sviluppate tali da garantire un ritorno energetico che coprisse l'investimento nella caccia di animali...non proprio facili da catturare.

Fonte immagine: Università di Tel Aviv. Per la fonte, clicca qui


Bibliografia

-Beauchamp J. P., 2016: Genetic evidence for natural selection in humans in thecontemporary United States. PNAS, Vol. 113 | No. 28;

-Milot E.milot.emmanuel@courrier.uqam.caMayer F. M.Nussey D. H.Boisvert M.Pelletier F., Réale D, 2011: Evidence for evolution in response to natural selection in a contemporary human population. PNAS, Vol. 108No. 41



Nessun commento:

Posta un commento