mercoledì 7 giugno 2023

COMPARAZIONE UOMO-PRIMATI: ARTI, PIEDI, MANI & CINTI

 



Dopo aver esaminato in linea di massima il  rachide e la sua evoluzione, parleremo in questo articolo (e nel prossimo) degli arti e dei cinti. Senza entrare troppo nei dettagli, non si può parlare separatamente di questi 2 argomenti in quanto gli arti e i cinti sono connessi, l'evoluzione di una struttura condiziona l'altra, e non avrebbe senso sia a livello biologico che anatomico separarli.

Bene, incominciamo!

La coda. A cosa dovrebbe interessarci se noi, Homo sapiens, l'abbiamo perduta? Beh, come nell'articolo precedente, è importante tenere bene a mente le strutture che si sono sviluppate tra i vari primati e quelle che ora non sono più presenti, almeno non in modo vistoso. Ma l'uomo è un animale privo di coda? Sbagliato, o almeno in parte. È vero, noi non possediamo una coda vistosa come quella di un lemure o di altri primati, ma rimane una reminiscenza anatomica a testimonianza della nostra parentela con essi (perché siamo primati) che nel corso dei milioni di anni si è ridotta ad una piccola componente ossea chiamata coccige. A livello morfologico, si tratta di una struttura incurvata in avanti ed è collegata all'ischio grazie a un legamento nella parte inferiore di quest'ultima struttura. Insieme formano il cosiddetto Pavimento Pelvico, svolgendo una funzione di sostegno. Nei vertebrati quadrupedi, invece, i visceri sono sostenuti da muscoli addominali, svolgendo una funzione "contenitrice".


Rappresentazione del coccige (in rosso)

Il coccige è un osso impari, simmetrico, a forma triangolare posto subito dopo l'Osso Sacrale. È l'ultimo componente della colonna vertebrale. Potrebbe essere definito come un organo vestigiale (un organo antico dei nostri progenitori), ma svolge comunque un ruolo importante in quanto protegge la parte terminale del midollo spinale ed è anche la sede di inserzioni di muscoli come il grande gluteo o gli elevatori dell'ano. Insomma, per noi non è un vero e proprio arto, il quinto, come nelle Platirrine. Ma in generale, e nella stragrande maggioranza dei primati, la coda assicura l'equilibrio necessario durante il salto in quanto sposta il baricentro posteriormente, mentre nelle Catarrine il folto pelo aumenta l'effetto aerodinamico durante i salti, tanto da diversificarsi notevolmente da gruppo a gruppo. Per esempio, l'aerodinamicità del salto nel gibbone è particolare, una sorta di "volo di fianco". Negli Hominoidea, quindi non solo all'interno del nostro genere, la coda è sostanzialmente assente, anche se è più corretto dire che si è ridotta nel corso del tempo. Infatti, il coccige umano è composto solamente da 3-5 vertebre, svolgendo un'altra funzione, come accennato prima.

Arti. Come detto prima, e come faremo nei prossimi paragrafi, non si può parlare solo di arti senza citare altre componenti ossee. Infatti, il bacino e il tronco articolano gli arti con il Cinto Scapolare e il Cinto Pelvico. Però, c'è sempre un "però", le morfologie degli arti (come quelle anche dei cinti) non sono proprio le stesse (rimaniamo sempre nell'ambito dei primati. Un discorso più approfondito sarà fatto nella sezione di Anatomia Comparata):

  • Le articolazioni prossimali, quindi delle nostre braccia o degli arti anteriori/superiori, sono semisferiche con giunti "a manicotto", e ciò permette all'arto una mobilità circolare;
  • Tra la parte prossimale e distale, degli arti, invece, le articolazioni sono con giunti a cerniera, e ciò permette un maggior sostegno in generale al corpo o per fornire forza al giunto durante la brachiazione.

Ci sono una serie di morfologie e di componenti biologiche che possono darci informazioni sull'arto. Immaginate di partecipare ad uno scavo, e tra una martellata ed un'altra trovate un arto senza la mano o il piede (nel caso dell'uomo è "relativamente" semplice capire se si tratta di quello superiore o inferiore. Nei quadrupedi in generale non è immediato il riconoscimento). Conoscendo un po' le varie morfologie, soprattutto quelle a sostegno del muscolo, si può capire effettivamente di quale parliamo. Ma i primati sono creature fantastiche proprio perché gli arti non sono necessariamente della stessa lunghezza, sia tra gli individui stessi che tra gli altri primati. Quindi si può benissimo calcolare il rapporto della lunghezza tra gli arti inferiori e superiori: c

i sono una serie di morfologie e di componenti biologiche che possono darci informazioni sull'arto. Immaginate di partecipare ad uno scavo, e tra una martellata ed un'altra trovate un arto senza la mano o il piede (nel caso dell'uomo è "relativamente" semplice capire se si tratta di quello superiore o inferiore. Nei quadrupedi in generale non è immediato il riconoscimento). Conoscendo un po' le varie morfologie, soprattutto quelle a sostegno del muscolo, si può capire effettivamente di quale parliamo. Ma i primati sono creature fantastiche proprio perché gli arti non sono necessariamente della stessa lunghezza, sia tra gli individui stessi che tra gli altri primati. Quindi si può benissimo calcolare il rapporto della lunghezza tra gli arti inferiori e superiori:

  • è diverso tra i primati;
  • è misurato dall'indice Intermembrale. Cioè, si misura il rapporto tra la lunghezza dell'omero più quella del radio + la lunghezza del femore e della tibia;
  • si può elaborare una sorta di schemino nel quale vengono inseriti una serie di numeri. Il numero 1 indica arti anteriori e posteriori della stessa lunghezza, mentre i numeri superiori e inferiori a 1 indicheranno arti di lunghezze differenti (<1 se l'arto inferiore è più corto di quello superiore, e viceversa). Il più basso rapporto è nell'uomo in quanto gli arti inferiori sono decisamente più lunghi di quelli superiori, mentre nel gibbone troviamo la situazione inversa.

Ho tracciato una linea perché, come potete ora immaginare, entriamo leggermente nel dettaglio regionalizzando il nostro discorso. Che significa? Ora tratteremo le singole componenti in base alla loro posizione, quindi si parlerà prima delle componenti inferiori Cinto Pelvico, piede, ecc.), e poi delle componenti superiori.


Le componenti 'inferiori'

Cinto Pelvico. È una delle ossa più complesse nei primati ed è costituito, sostanzialmente, da 2 Ossa Coxali (quelle che formano l'anca. 1 osso coxale è composto dalla fusione di Ileo, Ischio, Pube) più il Sacro, che è la fusione delle ossa sacrali. Vediamo leggermente nel dettaglio le varie componenti ossee:

  1. l'Ileo fornisce inserzioni a muscoli, come quelli dei glutei. Sostengono e contengono le viscere;
  2. inferiormente troviamo l'Ischio (posteriore. È la parte che "utilizziamo" per sederci) e il Pube (anteriore);
  3. le tre ossa appena citate si fondono a livello della Cavità Acetabolare. Qui si articola la testa del femore;

A livello evoluzionistico, queste componenti cambiano in modo considerevole dipendentemente dal tipo di locomozione. Una 'posizione' eretta è caratterizzata da un bacino relativamente largo, ed è posizionato inferiormente contenendo i grandi muscoli che si inseriscono in questa struttura (come i grandi glutei nell'uomo) e i visceri. Nell'uomo, la pelvi è larga, bassa e a forma di "campana" (è capace di accogliere i visceri) immagine C. Negli altri primati, soprattutto quelli non dotati di una postura eretta obbligata, la situazione è un po' diversa. Il Cinto Pelvico è quello che si fa "notare" maggiormente quando si parla di Dimorfismo Sessuale (caratteri che variano in base al genere maschile e/o femminile). Infatti, svolge un ruolo nella riproduzione e di conseguenza nelle femmine il bacino è più largo, e l'apertura tra le ossa pubiche rispetto agli individui maschili è maggiore di 90°.



                  Disegno: Mattia Papàro. In questo schema vengono rappresentate e comparate
                  le ossa pelviche. Quelle dello scimpanzé differiscono da quelle umane perché
                  sono relativamente più allungate, e di conseguenza cambia anche la posizione delle                                  articolazioni vertebrali che si trovano sopra (e di molto) la sinfisi pubica e gli
                  acetaboli.


Piede. Lo conosciamo tutti benissimo, compresi i feticisti (si scherza, eh!), ed è una struttura molto importante in quanto ci permette di capire che tipo di funzione svolge (e che varia da primate a primate) in base alla forma e al "possessore". Vediamo alcuni semplici esempi:
  1. Agisce come leva, e ciò permette di incrementare la forza propulsiva in animali corridori, come H. sapiens o Homo naledi;
  2. Svolge una funzione tattile;
  3. Svolge una funzione di sostegno e/o di presa. Il peso può essere scaricato in modi differenti: Vicino all'alluce (nell'uomo); attraverso il terzo dito nei primati quadrupedi; attraverso il legamento tra alluce e secondo dito nelle scimmie antropomorfe.

Il piede, nell'uomo, è specializzato per una locomozione bipede obbligata, ed è caratterizzato da:

  1. Falangi, Metatarso, Falangine e Falangette ridotte;
  2. Il primo dito è allungato e le ossa metatarsali sono allineate;
  3. Il Tarso e il Calcagno si sviluppano enormemente;
  4. L'Astragalo si dispone "in asse" con il Calcagno formando sostanzialmente un angolo retto (o quasi) con l'asse della Tibia.

La deambulazione nell'uomo è suddivisa in 3 fasi: taligrada (si appoggia prima il tallone), plantigrada si appoggia tutta la pianta del piede sul suolo), digitigrada (quando alziamo il tallone e il peso viene scaricato sulle dita del piede). Quando non si cammina, il piede diventa Plantigrado in quanto si appoggia tutta la struttura in modo parallelo al suolo scaricando il peso del bacino, del tronco, ecc. L'osso al centro del piede che scarica il peso corporeo, quando l'uomo non cammina, si chiama Astragalo. Qui entra in gioco il Calcagno, che ci permette di capire anche un po' la biomeccanica del piede. La 'leva' che caratterizza il piede è molto particolare e affascinante, in quanto il piede ruota nell'Articolazione tra le Falangi e il Metatarso. In parole povere, è il fulcro della leva del piede, mentre il peso da sollevare si dice "braccio della resistenza") si scarica lungo la Tibia sull'Astragalo. In questo discorso sono importantissimi i polpacci:

  1. Ci permettono di metterci in "punta di piedi", articolandosi sulla fine del calcagno col Tendine d'Achille;
  2. Quando li contraiamo, il Tendine d'Achille tira su il Calcagno. In questo modo il piede ruota sul fulcro e si solleva la Tibia e il Tarso. Più è lungo il Calcagno e maggiore sarà l'efficienza del piede.



Rappresentazione delle 3 fasi. Disegno: Paparò Mattia

Ora come ora, possiamo parlare un attimo di alcune 'tendenze evolutive'. I cosiddetti "trend evolutivi" sono in paleontologia modificazioni costanti nel tempo, non necessariamente legate o selezionate dai meccanismi evolutivi. Per esempio, certi gruppi possono subire modificazioni costanti per quanto riguarda le dimensioni, quindi una specie arcaica può effettivamente sembrare/essere più piccola di una specie derivata. Non è assolutamente 'lamarckismo', ma una continua selezione di caratteri per lo più non adattativi (ma non è da escludere che possano risultare 'positivi' in certi contesti, come in quelli insulari). Ritornando al nostro discorso, una tendenza evolutiva è proprio l'allungamento del Calcagno, quindi si può notare tra gli ominini arcaici e le specie appartenenti al genere Homo una sostanziale differenza per quanto riguarda il "sistema piede", che è legato comunque al bipedismo. Assieme a questa caratteristica, esistono altri trend interessanti:

  1. Rispetto alla potenza vi è una riduzione del braccio della resistenza;
  2. L'area volare (il "palmo del piede", per intenderci) è aumentata fino ad interessare tutto il piede;
  3. La linea di carico cade verso il primo metatarsale;
  4. L'epidermide del piede è più glabra, caratterizzata da terminazioni nervose e ghiandole sudoripare;
  5. Il piede è più stretto, ed oltre alla principale linea di carico sul primo metatarsale compare anche una linea di carico secondaria lungo la quinta falange. Immaginate il piede come un 'tripode'.


Immagine che rappresenta le linee di carico nei primati. Clicca su fonte per conoscerla


Il "piede piatto" è una caratteristica comune a molti ominini. Questa recente ricerca, condotta da molti studiosi nostrani, è molto interessante perché aggiunge un tassello in più su come si sia evoluto il piede, una struttura di sostegno capace di farci camminare su due gambe e in modo eretto.

Sono stati confrontati molti piedi, sia odierni che appartenenti ad ominini antichi, con i ricercatori che si sono maggiormente concentrati sull'arco longitudinale mediale del piede, una caratteristica che differenzia gli altri primati da H. sapiens. Si sono concentrati, inoltre, sul cosiddetto "piede piatto", una condizione nella quale la parte centrale e interna del piede risulta essere del tutto piatta, con la pianta che appoggia completamente sul suolo. In parole povere, l'arco longitudinale mediale è un adattamento funzionale in quanto agisce come leva, e ciò permette di incrementare la forza propulsiva in animali corridori, come Homo sapiens od H. naledi; svolge una funzione tattile; svolge una funzione di sostegno e/o di presa. Il peso può essere scaricato attraverso il piede (e in modi diversi) quando il piede tocca il terreno, consentendo così una locomozione bipede obbligata o facoltativa. Insomma, è un adattamento niente male!

Non si sa effettivamente quando questa caratteristica sia comparsa, ma ciò che si sa ora con un pochino più di precisione è che, il "piede piatto", parrebbe essere una condizione diffusa e caratterizzata proprio da un appiattimento relativamente accentuato dell'arco longitudinale mediale. Insomma, non tutti i "piedi piatti" sono uguali, e ciò è indicato proprio dal cosiddetto osso Navicolare. La variabilità morfologica di quest'osso varia in base alla condizione del piede dell'individuo, all'età e allo stile di vita e può essere anche congenito. La differenza tra i vari gruppi di esseri umani moderni indicano che lo sviluppo dell'arco longitudinale può essere influenzato dallo stile di vita, dalla locomozione ed anche dalle calzature. Gli odierni cacciatori-raccoglitori, per esempio, mostrano un piede relativamente flessibile e più piatto rispetto ad individui che indossano calzature, e ciò potrebbe suggerirci che questa tipologia di piede potrebbe essere simile a quella degli antichi H. sapiens. Quindi, cultura e stile di vita giocano un ruolo importante per quanto riguarda la forma del piede in età adulta.

Per esempio, ominini che presentano morfologie arcaiche come le australopitecine o le specie umane insulari, mostrano un navicolare simile a quello delle cosiddette "grandi scimmie" non umane, e questo indica che questi ominini fossero caratterizzati sia da una locomozione bipede che dalla capacità di arrampicarsi in contesti arboreo-florestali. Homo habilis, invece, mostra un piede molto simile a quello del Sapiens, e ciò potrebbe indicare già la presenza di un arco longitudinale relativamente sviluppato, senza escludere che anche gli individui appartenenti a questa specie abbiano potuto presentare un piede piatto simile a quello odierno.

Insomma, il navicolare si presenta sotto forme diverse tra i vari ominini e all'interno della popolazione umana odierna, quindi esiste una variabilità morfologica del piede non indifferente. Ciò permette di fare un po' più luce su ciò che riguarda l'adattamento ad una locomozione bipede con la condizione del "piede piatto congenito" che risulta essere una sorta di "variante normale" del piede umano.


Per la fonte, clicca qui

Il piede della bambina di Dikika (2018).  La foto in basso rappresenta i resti fossili di un piede associati a una bambina di Australopithecus afarensis (Lucy), vissuta circa 3,3 milioni di anni fa. Questa bambina, di circa 3 anni al momento della morte, presenta un piede relativamente ben conservato, fornendo interessanti informazioni sulla locomozione di questi individui. Gli esemplari giovani camminavano in modo eretto, possedendo caratteristiche "da bipedi" tipiche degli adulti. I bambini avevano tratti cuneiformi mediali associati a una maggiore mobilità dell'alluce e a un calcagno relativamente gracile. Sorprendentemente, nel 2018 i ricercatori hanno notato che tali caratteristiche sono assenti negli individui adulti.

Questa scoperta ci consente di comprendere alcuni aspetti ontogenetici, ovvero come una struttura morfologica si modifica in base allo stile di vita o all'età, analogamente alla variabilità presente nella condizione del "piede piatto". Il piede della bambina di Dikika mostra una caviglia allineata e il ginocchio posizionato sotto il centro di massa, presentando in generale morfologie simili a quelle della nostra specie, ma conservando anche caratteristiche arcaiche, come le dita capaci di afferrare o trasportare oggetti.

Le ossa del mesopiede sostenevano un arco plantare relativamente basso, e è interessante notare la presenza di un osso posizionato sul lato esterno del piede del bambino, simile a quanto osservato nella nostra specie, che agiva come supporto all'arco plantare. Un piede moderatamente arcuato, come nel Sapiens, contribuisce a ridurre lo stress fisico e a limitare le lesioni nella parte inferiore della gamba durante la deambulazione eretta.

E gli individui adulti?

Scarseggiano un po’ i resti di piedi tali da poter dire se gli individui adulti di 𝘼. 𝙖𝙛𝙖𝙧𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 avessero piedi con archi bassi o completamente assenti, ma la bambina di Dikika presenta un osso del tallone molto piccolo a differenza degli adulti che possedevano un tallone molto più robusto. Qui sarebbe stato interessante uno studio genetico mirato per capire se lo sviluppo del tallone fosse stato in qualche modo legato ad una componente genetica, o se fosse dovuto ad una risposta alla camminata regolare durante l’infanzia. Si propende per quest'ultima ipotesi, infatti ciò suggerirebbe uno stile di vita lontano dagli alberi, nonostante 𝘼. 𝙖𝙛𝙖𝙧𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 possedesse arti superiori capaci di permettere l’arrampicata sugli alberi.

In sostanza, la bambina di Dikika presenta elementi nuovi nel genere 𝘼𝙪𝙨𝙩𝙧𝙖𝙡𝙤𝙥𝙞𝙩𝙝𝙚𝙘𝙪𝙨 e, come detto prima, ci permette di capire un po’ l’evoluzione dei fenotipi adulti e che, come nella stragrande maggioranza dei casi, la selezione (o altri meccanismi evolutivi) agisce direttamente sugli individui giovani. Quindi, per concludere, 𝘼. 𝙖𝙛𝙖𝙧𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 era caratterizzata da bipedismo abituale, ed anche se gli individui giovani possedevano un alluce relativamente mobile, non sarebbero riusciti comunque a fare qualcosa di diverso rispetto a ciò che sa/sapeva fare un bambino Sapiens con i piedi, in quanto non era abile come gli scimpanzé odierni nella manipolazione di oggetti. Piccolo recap anatomico del piede e le implicazioni paleobiologiche:

  • L’articolazione talocrurale era ortogonale all’asse e si sviluppava lungo la tibia allineando la caviglia ed il ginocchio sotto il centro di massa del corpo;
  • Le basi metatarsali laterali erano relativamente alte;
  • Il cuboide era allungato e, assieme alle morfologie citate prima, contribuiva nel rendere il mesopiede relativamente rigido e ciò permetteva di aumentare la leva durante la fase propulsiva della deambulazione;
  • L’arco longitudinale era poco sviluppato, e la porzione mediale era posizionata più “plantarmente” rispetto agli esseri umani moderni;
  • L’alluce non era abdotto (“lontano” rispetto alle altre dita) come in 𝘼𝙧𝙙𝙞𝙥𝙞𝙩𝙝𝙚𝙘𝙪𝙨 o nei moderni scimpanzé, ma si mantiene una certa convessità della faccetta cuneiforme mediale per il primo metatarso sia in età giovanile che adulta;
  • La fase di spinta dell’andatura bipede differiva da quella del Sapiens;
  • Una maggiore mobilità dell’articolazione dell’alluce (tarso-metatarsale) potrebbe essere stata vantaggiosa durante lo sfruttamento di contesti arborei, sia per lo spostamento che per proteggersi da eventuali predatori;
  • La bambina di Dikika possedeva dimensioni simili a quelle di uno scimpanzé e, con molta probabilità, era ancora dipendente dai genitori tanto da essere stata trasportata attivamente durante i suoi 3 anni di vita (non ci sono modificazioni al calcagno simili a quelle riscontrabili negli individui adulti che camminavano abitualmente). Trasportare un individuo giovanile comportava un certo dispendio energetico, ma un alluce mobile avrebbe potuto “tamponare” questo problema.

Immagini del piede della bambina di Dikika. Per la fonte, clicca qui.


Arto anteriore, Cinto scapolare e Bacino. Bene, siamo quasi alla fine di questo interessantissimo e lunghissimo argomento che riguarda gli arti e le componenti connesse ad essi, e non possiamo ora non parlare di ciò che si sviluppa superiormente. L'arto anteriore, o superiore, risulta essere un po' più flessibile rispetto a quello inferiore, e non solo nell'uomo ma anche in tantissimi vertebrati. L'arto anteriore è sostenuto da un Cinto Scapolare, e svolge la funzione di sostenere il peso del corpo, mentre in animali brachiatori aiuta a rimanere appesi, e in animali come l'essere umano permette di gesticolare, quindi di comunicare, ma anche di maneggiare oggetti.

Nei primati, il Cinto Scapolare è costituito da 2 ossa: La Clavicola e la Scapola, e sono articolate tra di loro permettendo, così, un collegamento tutto sommato flessibile, grazie anche alla sospensione muscolare degli arti posizionati anteriormente al tronco. L'arto anteriore, dipendentemente alla sua storia evolutiva, può svolgere diverse funzioni:

  • Sollevamento del corpo e sospensione (brachiatori);
  • Locomozione e sostegno del corpo (quadrupedi);
  • Nell'uomo la situazione è leggermente complessa. Non svolge un ruolo nella locomozione o sospensione, ma svolge un ruolo nella manipolazione degli oggetti e nella comunicazione (gesti mimico-espressivi). Si sviluppano altri muscoli, come quello Supinatore e Pronatore, relazionati proprio alla presenza del Radio e dell'Ulna. Infatti, tutto questo permette una certa mobilità alla mano, mentre altri animali, come quelli quadrupedi (es. gatto), possono svolgere solo un movimento antero-posteriore (avanti-indietro) in quanto il cinto svolge un ruolo, durante la corsa o la mobilità, nell'ammortizzare le vibrazioni e i colpi che l'arto rilascia durante il movimento. Come se fosse una sorta di cuscinetto che attutisce colpi/vibrazioni.

Esiste anche una differenza nell'articolazione tra Clavicola e Scapola nei primati, infatti per esempio negli scimpanzé sono articolate a 90°, mentre nell'uomo la Scapola è laterale e non dorsale. Un trend evolutivo, legato anche al bipedismo, è quello della larghezza delle spalle. In parole povere, un animale quadrupede non possiede delle "spalle larghe" come un animale bipede.


Rappresentazione della scapola e della clavicola nell'uomo e nello scimpanzé


La mano. Beh, diciamo che questo arto modificato è il risultato di una serie di modificazioni che ci hanno permesso, in primis, di essere primati e quindi manipolatori di oggetti. Non è una struttura così comune nel mondo animale. È uno strumento di manipolazione, e le forme più avanzate possono diventare uno strumento di precisione, grazie soprattutto alla capacità di opporre il pollice a tutte le dita. La manipolazione è possibile grazie alla riduzione di metacarpali e falangi, e in generale si possono notare altri interessanti trend evolutivi: allungamento del pollice, tanto da superare l'attaccatura della base delle falangi nel genere Homo; si accorciano le ossa delle mani e del polso, e il pollice è allungato a tal punto da superare l'attaccatura della base delle falangi. Ecco le modificazioni subite dalla mano nel corso del tempo (trend evolutivi):

  1. Allungamento del pollice (il primo dito) e sviluppo di alcuni muscoli (flessori, adduttori e rotatori, sempre del pollice);
  2. Riduzione dei metacarpali e delle falangi;
  3. Manipolazione, che nel genere Homo e in alcune australopitecine porta anche alla costruzione di manufatti. Tutto ciò è legato all'organizzazione delle capacità manipolative di tipo progettuale, ed alla maggiore precisione nella presa;
  4. Articolazione carpo-metacarpale "a sella".



Un'insieme di "mani" di primati. Fonte: Almécija, Sergio & C Shwerwood, Chet. (2017). Hands, Brains, and Precision Grips: Origins of Tool Use Behaviors. 10.1016/B978-0-12-804042-3.00085-3.


Approfondimenti


Le mani degli scimpanzé e delle scimmie antropomorfe sono più derivate rispetto a quelle dell'uomo (ma ognuna nei vari lignaggi si è evoluta e specializzata in modo indipendente). Lo so, per fare scalpore avrei potuto dire "le mani dell'uomo sono più primitive" ma, per una questione temporale, preferisco focalizzarmi sulla "primitività" dell'arto (e dopo capirete perché). La ricerca è un po' datata, ma è molto interessante perché tendiamo sempre a considerare, ahimé, ogni caratteristica umana come "moderna" o "derivata" (dannato antropocentrismo). Sostanzialmente, le dimensioni e le proporzioni delle dita sono cambiate poco nel corso del tempo per quanto riguarda il nostro lignaggio, mentre negli altri "cugini" le dimensioni, e le proporzioni, sono cambiate (in modo diverso ed indipendente). Sì, è vero, il pollice lungo è la caratteristica più evidente del genere 𝙃𝙤𝙢𝙤, tanto da superare l'attaccatura della base delle falangi. E allora, perché la mano umana sarebbe primitiva se possiede un carattere (apparentemente) derivato come questo?

La storia incomincia 7-8 milioni di anni fa, quando l'antenato comune tra uomo e scimpanzé popolava la terra. I ricercatori (Per lo studio, clicca qui), attraverso la comparazione di vari arti di varie specie vissute nel corso del tempo, notano che l'arto umano (o meglio, quello del nostro lignaggio) non è cambiato molto per quanto riguarda le dimensioni e le proporzioni. Insomma, è una mano molto simile a quella dell'antenato comune tra il lignaggio dell'uomo e dello scimpanzé. Sostanzialmente, la mano "umana" non è stata sottoposta a pressioni evolutive (evoluzione stabilizzante), quindi è comunque un po' cambiata nel corso del tempo senza, però, subire chissà quale trasformazione. Non è specializzata come quella delle antropomorfe, nella brachiazione come per altri primati, ma ciò ha permesso alle specie appartenenti al nostro lignaggio di poter maneggiare con più facilità gli utensili. Insomma, questa condizione 'primitiva', legata anche ad un pollice che tutto sommato non ha subito grosse modificazioni, si è rivelata vantaggiosa nel contesto ambientale (in continuo mutamento) nel quale vissero i nostri diretti progenitori durante tutto il Paleolitico.
E negli altri primati?

Sostanzialmente, tutti i gruppi odierni di primati (e non solo) sono caratterizzati da una mano che si è sviluppata e diversificata in modo indipendente, e in ogni gruppo (o quasi). Proviamo a dare un'occhiata generale ai vari risultati della ricerca:

  1. La convergenza evolutiva la fa da padrona: scimpanzé (𝙋𝙖𝙣 𝙩𝙧𝙤𝙜𝙡𝙤𝙙𝙮𝙩𝙚𝙨) e oranghi sono accomunati da un evento di convergenza evolutiva (un pollice allungato), mentre uomo e gorilla sono caratterizzati da un pollice che è poco cambiato. Notate che tutti e questi gruppi si sono separati più di 7 milioni di anni fa, l'antenato comune tra "antenato comune di uomo-scimpanzé e gorilla si diversificò più di 10 milioni di anni fa;
  2. Negli ilobatidi assistiamo ad un estremo allungamento del pollice;
  3. Le dita umane sono simili a quelle dei gorilla (oltre ad essere cambiate poco nel corso del tempo, come detto prima), e ciò fa supporre che anche l'antico primate africano da cui discendono buona parte dei primati odierni possedeva dita lunghe (non è un requisito per l'avvento della locomozione sulle nocche);
  4. Si tratta di un'evoluzione a mosaico in quanto la Selezione Naturale ha 'agito' (o meglio, ha selezionato) in modo indipendentemente sui vari lignaggi degli odierni primati (in base al contesto ambientale). Ciò suggerisce che essi sopravvissero all'evento che portò all'estinzione di molti primati nel Miocene (23-5 milioni di anni circa), e grazie proprio alle diverse e indipendenti specializzazioni sono stati in grado di condividere gli habitat con i cercopitecidi (macachi e babbuini). Insomma, ognuno è riuscito a ricavarsi la sua 'nicchia' senza entrare in competizione con altri gruppi;
  5. Le somiglianze indicano che l'arrampicata specializzata sugli alberi non era una prerogativa dei primati dotati di dita lunghe. Questo ce lo hanno già insegnato le australopitecine.



Fonte immagine e del testo: Almécija, S., Smaers, J. & Jungers, W. The evolution of human and ape hand proportions. Nat Commun 6, 7717 (2015).


Hai le gambe corte? Nessun problema, possiedi una locomozione efficiente. Le gambe corte sono un adattamento straordinario in quanto permettono, a chi le possiede, una locomozione efficiente. Questo perché, e vale anche per gli ominini del passato, questa morfologia permette di fare passi più lunghi rispetto a un individuo che possiede una larghezza degli arti simile e un bacino più stretto. Consente di ridurre il numero di passi per percorrere una data distanza a una qualsiasi velocità, limitando le oscillazioni verticali nel centro di massa (potenzialmente 'costose' a livello energetico, sia durante una camminata che durante una corsa).

Bene, questo è il riassunto, ma non ho potuto omettere dei passaggi e dei concetti fondamentali per capire questo studio. Quindi, se ti va di approfondire, inizia ora lo spiegone.

Gli ominini del passato, come le australopitecine, possedevano un bacino relativamente largo, ed uno dei tantissimi trend evolutivi che hanno caratterizzato l'evoluzione "umana" è la diminuzione della larghezza del bacino. Quello di Lucy (A. afarensis), per esempio, è molto largo ed è 'accoppiato' a degli arti inferiori relativamente corti.

Il ricercatore Rak, nel 1991, aveva affrontato una domanda particolare: gli individui con un bacino largo fanno passi più lunghi rispetto a quelli con un bacino più stretto? Secondo Rak, una grande ampiezza bi-acetabolare e un lungo collo femorale in piccole australopitecine con 'gambe corte', come Lucy, risultavano essere un adattamento straordinario in quanto avrebbe permesso a questi ominini un aumento del passo, senza esagerare con i movimenti verticali del centro di massa (che avrebbero potuto ridurre l'efficienza energetica della locomozione ed avrebbero potuto aumentare le forze di reazione articolari).

I ricercatori dello studio indicano che, per una data velocità e per una data lunghezza dell'arto, un individuo dotato di un bacino più ampio fa effettivamente 'passi lunghi'. Naturalmente, nelle australopitecine, un arto corto permetteva comunque di arrampicarsi sugli alberi, quindi i vantaggi adattativi sono molteplici, ma ciò non toglie che una larga ampiezza bi-acetabolare, almeno in alcuni ominini antichi che incominciarono a presentare arti inferiori più corti, avrebbe permesso a questi individui di mantenere un 'passo lungo' per una certa quantità di tempo e, quindi, di migliorare l'efficienza locomotoria o la velocità (o entrambe le cose).

Nella ricerca del 2017, invece, non è stata trovata nessuna relazione tra l'ampiezza pelvica e la velocità 'a passo lungo' degli individui, o comunque non è stata trovata nessuna correlazione tra queste morfologie 'larghe' e la velocità e la frequenza del passo. Di conseguenza, l'aumento di velocità non è un vantaggio derivato da un bacino più ampio, forse perché la 'flessibilità' della velocità e l'aumento dell'efficienza della lunghezza del passo, che consentono comunque ad un individuo di coprire una certa distanza con meno passi a qualsiasi velocità, sono dei fattori molti importanti rispetto alla larghezza delle pelvi.

In secondo luogo, i ricercatori indicano che gli individui con un bacino più ampio avevano effettivamente un'escursione minore del centro di massa (all'altezza del sacrale) durante la deambulazione e ciò era più evidente all'aumentare della lunghezza del passo. In sostanza, un individuo con un bacino relativamente più largo fa passi relativamente più lunghi, questo perché il sacro non si muove verticalmente, come accade con una persona con un bacino più 'stretto'.



Riassumendo brevemente i restanti punti:

  • Gli individui con un bacino relativamente più largo, rispetto alla lunghezza degli arti, mostrano un grado minore di flessione ed estensione dell'anca rispetto a coloro che possiedono un bacino stretto.
  • All'aumentare della lunghezza dei passi, si osserva una maggiore rotazione del bacino. Di conseguenza, gli individui con gambe corte fanno passi più lunghi e utilizzano un grado maggiore di rotazione pelvica.

Sembra esserci una correlazione tra bacino ampio e 'passo lungo' nelle australopitecine, ma nello studio questa morfologia non risulta rilevante, suggerendo che la rotazione pelvica potrebbe essere determinata solo dalla lunghezza degli arti e del passo, indipendentemente dalla larghezza del bacino. In ogni caso, i risultati supportano l'ipotesi che individui con gambe relativamente corte, come Lucy, avrebbero potuto fare passi più lunghi, riducendo il numero di passi per percorrere una data distanza a qualsiasi velocità e limitando le oscillazioni verticali nel centro di massa, un vantaggio potenzialmente energetico durante la camminata o la corsa. In conclusione, nella nostra specie, gli individui con gambe più corte mostrano una maggiore rotazione del bacino durante la deambulazione, un movimento che potrebbe migliorare l'efficienza locomotoria, soprattutto nelle attività di trasporto di oggetti o persone, come nel caso delle madri con i bambini.




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Il bacino nell’evoluzione umana: le implicazioni con il parto e con i costi energetici legati alla locomozione (2015). Anche se è del 2015 questo lavoro, qui si parla di come la struttura delle pelvi riflette alcuni adattamenti che hanno accompagnato gli ominidi negli ultimi 7 milioni di anni circa. Si ritiene in generale che la forma del bacino femminile rifletta una sorta di "compromesso evolutivo", poiché una struttura delicata come questa consente la nascita di un bambino con un cervello grande, mentre un bacino stretto consente un'efficiente locomozione bipede. Questi due punti sono importantissimi perché il genere Homo è caratterizzato proprio dalla comparsa di un cranio di grosse dimensioni, mentre la locomozione bipede è stata di fondamentale importanza sia per noi che per il resto degli ominidi.
Ma ritorniamo a questo compromesso evolutivo. Il parto umano è un evento tanto affascinante quanto difficile a livello biologico e fisico, e una differenza nel bacino potrebbe indicare variazioni nelle prestazioni sportive tra uomini e donne.
A livello teorico, un bacino più ampio negli individui femminili aumenterebbe il costo metabolico legato alla locomozione, diminuendo così l'efficienza dei muscoli abduttori dell'anca, i quali stabilizzano la regione pelvica durante la fase di supporto su una gamba durante la camminata o la corsa, richiedendo quindi più forza a tali muscoli.
I ricercatori hanno voluto verificare questo concetto teorico con veri e propri volontari sottoposti a vari test. Il risultato è che la larghezza del bacino non influenza significativamente la corsa o la camminata e non fornisce informazioni preliminari consistenti riguardo ai muscoli abduttori dell'anca e al costo metabolico sia nelle donne che negli uomini. In sostanza, sia gli uomini che le donne, nonostante abbiano bacini di dimensioni diverse, sono ugualmente efficienti sia nella camminata che nella corsa.
Quindi, se un canale del parto ampio non aumenta i costi metabolici della locomozione per la donna, si ritiene che un bacino largo sia stato selezionato (o meglio, che siano stati selezionati individui femminili con un bacino largo) poiché sarebbe in grado di sostenere meglio la nascita di un bambino. Inoltre, esistono altri fattori che sembrano influenzare la dimensione del bacino delle donne e quella del feto.
Entriamo leggermente nel dettaglio (per chi vuole approfondire)
Il bacino umano svolge molteplici funzioni: supporta l'individuo nella locomozione, si adatta al clima, come già detto, gioca un ruolo fondamentale nel parto dei bambini e supporta i visceri. Un bacino largo riduce l'ostruzione del canale durante il travaglio, un fattore che si è rivelato cruciale nel Pleistocene medio. Con l'evoluzione (indipendente) di una capacità cranica maggiore in tempi relativamente brevi, gli ominidi di quel periodo avrebbero potuto incontrare difficoltà nel partorire in modo efficiente. Fortunatamente, è stato sviluppato in epoche precedenti un bacino più ampio, un carattere già presente negli australopitecini.
Le donne sin dall'antichità hanno cacciato e viaggiato per svariati chilometri al giorno, il che rende questo studio di particolare interesse. L'esperimento aveva lo scopo di confermare o confutare l'ipotesi secondo cui una regione pelvica più ampia facilita la nascita di bambini con un grande cranio, mentre un bacino stretto potrebbe aumentare l'efficienza locomotoria.
I primi risultati indicano quanto segue:
  • L'ampiezza biacetabolare non è correlata al costo locomotore e la produzione di forza dei muscoli abduttori dell'anca sembra influenzare solo minimamente i costi metabolici legati alla camminata o alla corsa.
  • Non vi è alcuna differenza significativa nell'efficienza locomotoria tra uomini e donne.
Pertanto, se un bacino largo non aumenta i costi locomotori, ci si chiede perché tale struttura sia risultata efficiente sin dal Pleistocene senza favorire bacini ancora più ampi. Ecco 3 possibilità:
  • la selezione di bacini più stretti potrebbe essere legata ad una riduzione di infortuni o all’aumento della velocità. L’efficienza nella camminata o nella corsa tra uomo e donna non cambia, ma il rischio di infortuni al ginocchio risulta essere 4-6 volte maggiore nelle atlete rispetto agli atleti, pertanto le donne parrebbero essere caratterizzate da una corsa un po’ più lenta dovuta ad una maggiore concentrazione di tessuto adiposo;
  • l’ampiezza pelvica potrebbe essere legata alla termoregolazione. L’ampiezza della regione pelvica varia ecogeograficamente e risulta essere più piccola nelle popolazioni che vivono nelle basse latitudini, questo perché sembrerebbe ridurrebbe al minimo la produzione di calore attraverso una massa corporea ridotta. Qui il parto non risulta essere intaccato in quanto aumenta il diametro di alcune porzioni antero-posteriori ed inferiori delle pelvi;
  • la diminuzione della statura, l’aumento di malattie, la malnutrizione e l’insufficienza di vitamina D dovuta alla mancanza di esposizione alla luce solare, per esempio, possono comportare una riduzione della crescita della regione pelvica aumentando notevolmente il rischio di morire durante il parto, sia nelle popolazioni arcaiche che in quelle moderne. Inoltre, l’obesità materna (ridottissima nel passato) aumenterebbe la possibilità che il bambino nasca con un peso ≥ 4000 g.
Fonte: A Wider Pelvis Does Not Increase Locomotor Cost in Humans, with Implications for the Evolution of Childbirth Anna G. Warrener ,Kristi L. Lewton,Herman Pontzer,Daniel E. Lieberman Published: March 11, 2015


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