Questa specie è probabilmente la più affascinante mai studiata, in quanto mostra caratteristiche arcaiche tipiche di un'australopitecina e altre più derivate tipiche del genere Homo. Il primo lavoro venne pubblicato nel 2015 dopo lunghi e difficili scavi (che tutt'ora continuano a rivelare informazioni interessanti) avvenuti a 30 m circa di profondità, in un sistema di grotte conosciuto come Rising Star Cave. Vennero inizialmente rinvenuti circa 1500 resti appartenenti a circa 15 individui, un numero davvero incredibile che si registra solo in siti come quello di Atapuerca, tanto da far ipotizzare che si trattasse di una sepoltura vera e propria e non di trasporto naturale. L'età dei depositi non venne stabilita con precisione tanto da risultare inizialmente molto antichi, ma con accurate tecniche di ricalibrazione i resti sono stati datati 335.000-236.000 anni fa circa.
La caratteristica che saltò subito all'occhio, e che tutt'ora è oggetto di dibattito (soprattutto grazie alla conferenza di Dicembre dello scopritore Lee Berger. Troverete un paragrafo apposito in basso), è la capacità cranica. Infatti, i primi resti restituirono come risultato una stima della capacità cranica di circa 560 cm3 (centimetri cubici. Si può scrivere anche 560 cc per indicare proprio la 'capacità cranica'), mentre altri dati successivi indicano una capacità di circa 610 cm3. Se ci pensate, è molto simile a quella di un odierno scimpanzé, nettamente più piccola di altre specie del genere Homo che convissero con questa specie.
Piccolo parentesi sullo scopritore
Prima di iniziare con le varie spiegazioni ed interpretazioni, non potevo non citare lo scopritore di questa specie: Lee Rogers Berger. E' probabilmente uno dei paleontologi più conosciuti al mondo nell'ambito dell'evoluzione umana e dei primati, infatti è lui lo scopritore di Homo naledi e di Australopithecus sediba. Ma andiamo con ordine. È conosciuto per essere sia un grande scienziato e sia perché ha reso i siti delle varie scoperte "progetti ad accesso libero", infatti non solo rese pubblici e gratuiti i risultati delle ricerche, ma rese disponibili su richiesta i fossili trovati per chiunque voglia studiarli autonomamente.
Nella vignetta è possibile osservare il contesto geologico e tafonomico e la distribuzione dei sedimenti, dei fossili e delle "colate" all'interno della camera Dinaledi. I fossili, sostanzialmente, sono entrati nella grotta al momento della deposizione di quelle che sono indicate come "unità (unit) 1, 2 e 3 attraverso l'ingresso della camera posizionato in alto a destra:
-Unità 1. Rappresenta i primi fossili entrati che contengono solo alcuni fossili di roditori;
-Unità 2. Rappresenta solo i sedimenti attaccati alla parete laterale da un flusso di materiale roccioso contenenti i fossili di Homo naledi;
-Unità 3. E' la sezione che contiene più fossili rispetto alle altre unità ed è caratterizzato da vari tipologie/litologie di sedimenti.
Collocazione geografica del complesso, in Sudafrica. Fonte: wikimedia commonsFocus generale sulle caratteristiche morfologiche:
-Come per la mano, anche il piede presenta una morfologia relativamente moderna e derivata, nonostante sia leggermente ridotta la curvatura dell'arco plantare;
-Le dita della mano sono incurvate;
-Femore e tibia dimostrano un'andatura bipede obbligata moderna/derivata;
-La spalla indica anch'essa che questa specie fosse potenzialmente in grado di arrampicarsi sugli alberi;
-Il cranio è simile a quello di H. erectus, nonostante la ridottissima dimensione;
-Sono molto ampie le osse iliache, sono però più corte antero-posteriormente rispetto ad H. sapiens e sporgenti lateralmente.
Mano di Homo nalediUn maratoneta
Qualche anno fa si è scoperto che questa specie era in grado di camminare per lunghe distanze e, all'occorrenza, correre in modo sostenuto simile ad un maratoneta. Un adattamento tipico del nostro genere che ha permesso a molte specie di diffondersi un po' ovunque, sia in Africa che fuori dal vecchio continente.
In uno studio del 2017, che ha come protagonisti il ricercatore italiano Damiano Marchi e lo scopritore della specie Lee Berger, sono state descritte 108 ossa fossili come tibie, fibule e femori appartenenti ai primi individui di Homo naledi scoperti nella caverna Dinaledi. Come per la mano e il cranio, anche l'arto inferiore è un "mosaico" di morfologie:
-condivide con le australopitecine un collo femorale compresso anteroposteriormente, un collo fibulare relativamente circolare e una tibia compressa mediolateralmente;
-condivide con il genere Homo una linea aspera molto marcata, tibie relativamente lunghe, fibule sottili/gracili con malleoli laterali orientati lateralmente e rotule spesse anteroposteriormente;
-caratteristiche tipiche e uniche della specie stessa sono la presenza di due "pilastri" nella parte superiore del collo femorale, e un'inserzione distale tubercolare del pes anserinus(inserzione dei muscoli sartorio) sulla tibia.
La morfologia a mosaico della coscia sembra essere coerente ad una specie intermedia tra le australopitecine e Homo erectus, e di conseguenza ci può dare informazioni sulla natura dei primi individui appartenenti al genere Homo.
Una specie insulare ma non isolata
Nel 2017 vennero trovati nuovi resti cranici nella camera Lesedi che presentano, a differenza dei resti rinvenuti precedentemente, la zona del naso ben preservata tipica del genere Homo e altre parti che hanno permesso la ricostruzione volumetrica dell'endocranio, decretando che il cranio raggiunse una capacità di 610 cm3. Nonostante questa stima sia più elevata rispetto a quella precedente, ciò dimostra che si è lontani dalle forme contemporanee, e si tratterebbe perlopiù di una specie insulare.
Ma visse completamente isolata? Probabilmente no, e come dimostrano vari studi sarebbe entrata in contatto con Homo sapiens, almeno per un certo periodo.
Nel 2017 vennero pubblicati 3 articoli, e in uno di questi vennero descritti dei fossili appartenenti a due individui adulti e ad un bambino (almeno uno), e tra questi uno venne soprannominato "Neo", che significa 'dono' in lingua Sesotho (pensavo fosse un omaggio al protagonista della saga di Matrix). Questo perché, sostanzialmente, si tratta di uno degli scheletri di ominini meglio preservati e che ha potuto fornire le prime informazioni sulla locomozione mista (erano in grado di arrampicarsi, oltre a camminare perfettamente su 2 gambe) e sulla statura di questa straordinaria specie.
Il secondo articolo è quello più richiesto quando si parla di questa specie, proprio perché è incentrato sulla datazione. Infatti, secondo le prime stime, si trattava di una specie vissuta almeno 1-2 milioni di anni fa, ma grazie anche a nuove tecniche è stato possibile "aggiustare il tiro": vissero, infatti tra i 335.000 e i 226.000 anni fa. Homo sapiens, anche grazie ai ritrovamenti avvenuti negli ultimi 5 anni in Nord Africa, è stato possibile retrodatare la comparsa della nostra specie (300.000 anni fa circa). Quindi, se ci pensate un attimo, almeno con questa ricerca a livello temporale, H. sapiens non è stata l'unica specie presente in Africa nel Pleistocene medio.
Infatti, con il terzo articolo, si complica un po' la situazione. Dovete sapere che nel campo della paleoantropologia si lavora sia con i resti fossili che con i resti litici, e il più delle volte sono proprio quest'ultimi ad essere rinvenuti maggiormente. Questo perché la fossilizzazione è un processo raro, le ossa prima di trasformarsi in roccia possono andare perdute o essere mangiate, mentre uno strumento litico ha più possibilità di preservarsi. Quindi, molti utensili che risalgono allo stesso periodo, potrebbero non essere stati costruiti da H. sapiens.
Ancora non abbiamo dati certi, ma questi appena citati indicano che potenzialmente queste due specie potrebbero essere entrate in contatto, e potrebbero essersi influenzate reciprocamente dal punto di vista etologico e culturale.
Sepoltura volontaria?
Come abbiamo potuto vedere prima, H. naledi presenta un mix di caratteristiche tipiche sia delle australopitecine che del genere Homo, ma quella che si nota di più è proprio la bassa capacità cranica che getta qualche problema più dal punto di vista filosofico che scientifico, infatti si è sempre cercata una spiegazione "umana" per giustificare la miriade di resti rinvenuti in questi cunicoli stretti e profondi. Grazie a due lavori, uno del 2015 sulla biostratigrafia del deposito ed uno del 2017, nella quale si descrive un bambino nalediano, è stato possibile fare un po' di chiarezza sul contesto deposizionale e sul trasporto dei resti.
L'ipotesi più soggettiva (almeno fino alla conferenza del Prof. Lee Berger del 2022) è quella dell'accumulo deliberato, cioè tutti quei resti sarebbero stati trasportati deliberatamente da altri individui. Da un lato, le camere isolate e il rinvenimento di soli resti umani, ha fatto sorgere qualche dubbio proprio perché non è stata rinvenuta fauna 'non umana', quindi deve essere stato per forza qualcuno ad aver trasportato tutti quei corpi. Dall'altro lato, invece, buona parte dei ricercatori concorda che questo lungo ed intricato percorso caratterizzato da strettissimi cunicoli, avrebbe creato non pochi problemi per una tale azione.
Ma l'assenza di fauna non umana non sembra essere, però, una prova schiacciante proprio perché nella camera Lesedi sono stati rinvenuti resti di carnivori e roditori, e questo indicherebbe che vi è stata alla base qualche fattore fisico che ha selezionato certi resti rispetto ad altri nelle varie camere durante il trasporto e la deposizione, e che in qualche modo anche questi resti (non tutti rinvenuti in prossimità di resti umani) devono essere arrivati lì in qualche modo.
Cranio e denti del bambino nalediano
Partiamo da un presupposto: questi dati sono stati forniti da Lee Berger, scopritore della specie Homo naledi, pertanto i dati che riporterò sono stati estratti dalla conferenza del Professore tenutasi alla University of the Witwatersrand.
Anche Homo naledi era a conoscenza del fuoco. Già questa, a parer mio, è una 'normale' notizia in quanto sono state sempre rinvenute tracce di fuoco associate alle varie specie umane (tranne per specie arcaiche come Homo habilis e Homo rudolfensis). Il fuoco incominciò ad essere "domato" con la specie Homo erectus almeno 1.5 milioni di anni fa, e la specie Homo naledi è relativamente recente in quanto visse tra i 335.000 e 236.000 anni fa circa, quando ormai il fuoco era già parte integrante del repertorio culturale umano. Ma ci vuole sempre una conferma per tutto e non dare mai nulla per scontato nel mondo scientifico e, soprattutto, nel mondo della paleontologia (soprattutto umana).
In questo caso forse qualche dubbio poteva essere più che giustificato visto che parliamo di una specie del genere Homo abbastanza particolare e atipica, infatti possiede un mix di caratteristiche tipiche sia delle australopitecine che del genere Homo.
Non è una ricerca, quindi è probabile che quando avremo i dati in mano ci sarà molto da discutere. In questa conferenza, il Paleontologo Lee Berger afferma che H. naledi usasse il fuoco per cuocere il cibo e per "orientarsi al buio". Sinceramente, quest'ultima parte non mi sembra una notizia chissà quanto spettacolare in quanto l'utilizzo primario del fuoco, sin dalla "domesticazione" da parte di H. erectus, è proprio quella di tenere i predatori lontano, di illuminare gli accampamenti tanto da permettere agli uomini di socializzare.
A detta di Berger, il Sudafrica offre una moltitudine di prove a sostegno di questa tesi:
-Focolari giganti;
-Pezzi di carbone macroscopici;
-Migliaia di ossa bruciate;
-Argilla cotta (questo è davvero interessante).
Ma, in questa conferenza, Berger si sofferma anche su una questione controversa: secondo lui e il suo team, H. naledi utilizzava il fuoco per muoversi all'interno degli stretti tunnel del complesso delle Rising Star Cave. Questo perché si pensava fino ad un paio di anni fa che il posizionamento degli scheletri in queste profonde grotte fosse volontario, tanto da considerare queste grotte come una sorta di grande necropoli. Ma i dati geologici, tafonomici e sedimentari smentiscono un seppellimento volontario.
In un certo senso il ragionamento fila, perché i passaggi sono stretti e completamente al buio, e solo con grande destrezza e leggiadria si possono attraversare fessure larghe appena 17,5 cm.
Quindi, non è così facile passeggiare in questi cunicoli, tanto che solo 47 persone nell'ultimo decennio ci sono riuscite. Ci è riuscito anche Lee Berger nonostante sia alto 188 cm, e dopo aver perso anche un bel po' di kg grazie ad un'adeguata preparazione. Berger afferma che nella camera Dinaledi (Dinaledi chamber) vi siano zone annerite e particelle di fuliggine. Un suo collega, Keneiloe Molopyane, intanto che Berger ammirava il tetto della grotta annerito, scoprì svariati grandi focolari mentre, nella camera Lesedi, Berger trovò un mucchio di robe bruciate, come accennato prima.
La cosa interessante è la struttura di questo "accampamento sotterraneo", in quanto sembra esserci uno spazio adibito all'eliminazione del materiale di scarto, mentre gli spazi adiacenti sono adibiti alla cottura.
Questo, secondo Berger, spiegherebbe come mai H. naledi si sia avventurato in questi pericolosissimi cunicoli, e allo stesso tempo spiegherebbe la presenza di corpi trasportati in questi spazi. Anche se questa rimane una questione aperta in quanto non tutti concordano sulla sepoltura volontaria.
Naturalmente, il tutto spiegato in questa maniera sembra fighissimo, ma allo stesso tempo questa risulta essere una "non notizia" proprio perché mancano molti dati in merito, come la datazione dei carboni. In un certo senso è anche sbagliato fare una dichiarazione del genere perché, volente o nolente, ora si è creato un grosso "hype", come quando si aspetta per tanto tempo un film per poi rimanere delusi alla fine. Spero non sia così, soprattutto perché i dati vanno mostrati e fino ad allora tutto ciò sarà solo una mera questione da bar.
Inoltre, tutto il discorso sembra vertere su alcuni punti:
-Si sottolinea più volte la grandezza del cervello (o meglio, la capacità cranica), come se fosse l'indicatore principale delle capacità cognitive di un primate e di un mammifero. Pensavo fosse un concetto superato, ma a quanto pare quando si parla di primati si tende ancora a fare una distinzione in base alla capacità cranica. Questo studio, però, potrebbe effettivamente eliminare questo muro tra i primati non umani e i primati umani/ominini;
-la comparsa della cottura del fuoco, come indicato dal primo articolo, è molto più antica di quanto ipotizzato, quindi la "cultura del fuoco e del suo utilizzo" è stata probabilmente tramandata a tutte (o quasi) le specie del genere Homo, come anche altre pratiche. Ciò spodesterebbe Homo sapiens e Homo neanderthalensis come 'unici possessori di conoscenze complesse' per via della maggiore capacità cranica. Questo, in realtà, potrebbe creare qualche problema dal punto di vista antropocentrico, perché renderebbe ancora "meno speciale" la nostra specie, ma non è assolutamente un problema dal punto di vista scientifico.
Considerazioni finali: chi è imparentato con chi?
A parte ricordare sempre che la scala evolutiva non è minimamente o lontanamente un argomento scientifico, posizionare Homo sapiens a sinistra o a destra in un una ricostruzione filogenetica per non sottolineare qualsivoglia forma di linearità, è più che giusto e lecito. Tranne in un caso, che potete osservare dall'immagine estrapolata dal libro L'utimo Neanderthal del paleoantropologo Giorgio Manzi.
Questo perché in paleontologia si utilizzano campioni di riferimento per capire quale carattere è presente/assente in un dato gruppo, che permette di descrivere una sorta di affinità morfologica che delinea la distanza tra varie specie, o gruppi. Homo sapiens è l'unica specie del genere Homo ancora in vita, pertanto risulta essere il campione di riferimento che ci permette di dire quanto morfologicamente sia distante una specie affine alla nostra.
Grafico delle distanze morfologiche
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