lunedì 22 gennaio 2024

La pelle dei rettili e degli anfibi

Gli anfibi possiedono un tegumento particolare e differente da quello dei pesci. Basta osservare la pelle di qualsiasi rana per notare che è liscia e umida. La differenza principale risiede nel fatto che gli anfibi, come tutti i vertebrati terrestri, sintetizzano la cheratina, una proteina insolubile in acqua che ricopre la superficie esterna dell'epidermide. A differenza dei rettili, tuttavia, lo strato di cheratina forma uno strato corneo molto sottile, consentendo agli anfibi di evitare l'essiccazione della pelle, proteggersi dalle abrasioni e permettere la respirazione cutanea, alternata alla respirazione polmonare, poiché i polmoni non vengono utilizzati a temperature molto basse. Questo meccanismo rappresenta un efficace modo per conservare energia. La parte esterna viene periodicamente persa (desquamazione), e questa perdita è controllata a livello ormonale. È stato osservato nei rospi a cui è stata esportata l'ipofisi che la muta non avviene e le cellule cheratinizzate continuano ad accumularsi. Durante la stagione degli accoppiamenti possono comparire cuscinetti cheratinizzati sugli arti anteriori dei maschi di rane o salamandre, i quali aiutano il maschio a tenere ferma la femmina durante l'accoppiamento, per poi essere persi e riacquistati successivamente nel prossimo periodo degli accoppiamenti.

Le ghiandole unicellulari molto abbondanti nei pesci sono assenti negli anfibi; in compenso, sono presenti una moltitudine di ghiandole pluricellulari alveolari che si infossano nel derma. Queste ghiandole secernono un muco che protegge la superficie della pelle, evitando la dispersione dell'acqua. Altre ghiandole presenti sono quelle granulose, le quali secernono sostanze tossiche per la difesa contro potenziali predatori. Ad esempio, la ghiandola parotide dei rospi, che forma un rigonfiamento dietro l'orecchio, secerna una sostanza irritante che scoraggia i predatori entrati in contatto con essa.

Le scaglie ossee sono presenti, ma sono di piccole dimensioni e vengono chiamate osteodermi. Questi osteodermi sono presenti nel derma dei tetrapodi e sono andati persi nella maggior parte degli anfibi. L'osteoderma più comune tra i tetrapodi primitivi era di dimensioni più grandi ed era incorporato nel cinto pettorale come interclavicola.

La pelle dei rettili inizia a differenziarsi notevolmente da quella degli anfibi poiché lo strato corneo cheratinizzato è spesso (come nei coccodrilli) e distribuito in strati. Di conseguenza, le cellule formano piastre cornee nelle tartarughe e squame cornee nelle lucertole e nei serpenti. La cheratina si lega ai fosfolipidi, consentendo di ridurre le perdite d'acqua. I rettili perdono minori quantità d'acqua per evaporazione attraverso l'epidermide rispetto agli anfibi.

L'epidermide dei rettili è abbastanza complessa. Nelle lucertole e nei serpenti, la squama è generalmente composta da vari strati di cellule: quelle esterne sono cheratinizzate (quindi morte) e quelle interne sono ancora vive, con la squama immatura che si trova nella zona in cui le cellule sono ancora tutte vive e che sostituirà quella superficiale. Il cambio delle squame avviene tutto in un colpo solo attraverso un processo chiamato 'ecdisi' (muta). Durante la muta, si forma una zona di separazione tra le cellule vive e morte, permettendo la perdita contemporanea di tutte le squame anziché una per una. Le nuove squame sono già presenti e formate prima del cambio.

Nelle tartarughe, le piastre cornee non vengono cambiate come descritto precedentemente, ma viene ricambiata solo la superficie che si consuma. Man mano che cresce, un nuovo strato corneo si forma sull'estremità del margine della vecchia squama, originando una serie di anelli concentrici lungo il suo margine. Esistono vari tipi di squame modificate per svolgere varie funzioni particolari:

  • Nei gechi, le squame sono presenti sui polpastrelli e sono costituite da strutture filiformi (sete) che sviluppano, con le superfici con cui vengono a contatto, forze di adesione di tipo molecolare. Queste strutture consentono loro di scalare soffitti o pareti verticali;
  • Nei serpenti, le squame sono totalmente diverse poiché si posizionano anche ventralmente e svolgono un ruolo nella locomozione. In generale, le squame dei serpenti sono di tipo embricato, sovrapponendosi ed appoggiandosi l'una sull'altra;
  • Nelle tartarughe e nei coccodrilli, le squame sono appiattite e svolgono una funzione protettiva, fungendo quasi da scudo (si chiamano, appunto, "squame a scudo").

Un altro prodotto cheratinico presente nei rettili è l'artiglio, che avvolge le falangi e aiuta l'animale a fare presa durante la locomozione. Tutti i rettili forniti di arti li possiedono, e si formano dallo strato germinativo dell'epidermide, mentre la durezza è dovuta all'infiltrazione di sali di ioni calcio nella cheratina. Nella pelle dei rettili, non sono presenti organi di senso, fatta eccezione per le fossette apicali, delle strutture che si trovano in prossimità delle squame e sono organizzate in numeri variabili da 1 a sette. Ogni fossetta possiede un filamento simile a un pelo, svolgendo una funzione tattile. Nel derma sono completamente assenti le ghiandole mucose, mentre sono presenti poche ghiandole odorose, che intervengono durante il corteggiamento. Molti squamati, come i camaleonti, possiedono la capacità di cambiare i colori grazie alla presenza di cromatofori nel derma. La diversa colorazione è sotto il controllo dell'adrenalina e dell'innervazione simpatica.


Tipica pelle di un coccodrillo


Immagine di una rana toro

Approfondimenti

Le iguane "rosa" delle Galápagos (Conolophus marthae) e lo studio in generale sul tegumento delle iguane (2022). No, non è uno scherzo o un'immagine modificata al PC quella che vedrete alla fine del paragrafo, poiché queste iguane esistono ed sono anche molto rare. Sono state formulate molte ipotesi sul colore della loro pelle; ad esempio, si pensava che il colore fosse legato al sangue o a una mancanza di pigmentazione cutanea. Questa ricerca, però, apporta un po' più di chiarezza grazie a uno studio mirato sul tegumento di questi fantastici animali.

Si tratta di un animale che può raggiungere i 100-120 cm di lunghezza, con il DNA mitocondriale che indica un periodo di circa 5,7 milioni di anni nel quale si originò questa specie, ben prima della formazione dell’arcipelago delle Galápagos, dove attualmente vive. Si ipotizza che sia arrivata lì attraverso "zattere" naturali nelle isole che componevano originariamente l’arcipelago. Per la precisione, questa specie vive esclusivamente sull'isola Isabella, nei pressi del vulcano Wolf.


Eruzione in atto del Vulcano Wolf. Fonte: Charles Darwin Foundation


Sono state confrontate le tre specie di iguane dell'arcipelago, ed è emerso che le aree rosa di questa particolare specie sono prive di cellule pigmentate, come i melanofori; al contrario, il tessuto dermico risulta essere ricco di aggregati capillari confluenti. Le iguane marine e gialle non presentano questa condizione, poiché lo strato dermico è caratterizzato dalla presenza, appunto, di melanofori. A livello istologico cambiano le disposizioni del derma: l'epidermide (la parte superficiale della pelle, per intenderci) è composta da uno strato corneo ed uno granuloso ricco di lipidi che diminuiscono la permeabilità, e uno strato germinativo che si origina a partire dai cheratinociti. Inoltre, la parte inferiore del derma è costituita da uno strato lasso ed uno composito piatto. In generale, si può affermare che tutte le specie possiedono squame che si originano dal derma e si cheratinizzano esternamente, prevenendo così l'essiccamento. O meglio, più sono cheratinizzate e più efficacemente prevengono l'essiccamento.

La pigmentazione è influenzata da quattro cromatofori dermici (cellule pigmentate): i melanofori (bruni e neri), iridofori (iridescenti), eritrofori (rossi e arancioni) e xantofori (arancioni e gialli). I melanofori risiedono anche nell'epidermide come nei mammiferi, ma sono meno abbondanti nel derma. Nelle iguane marine, lo strato epidermico germinativo granuloso è molto più spesso rispetto a quello delle iguane terrestri, e ciò potrebbe indicare differenze di habitat e nell'ecologia delle specie:
  1. Per le iguane marine, è probabile che abbiano un'epidermide spessa, la quale svolge una funzione nella diminuzione della perdita d'acqua, favorendo una buona termoregolazione. Vivono in ambienti freschi, come quelli marini (iperosmotico);
  2. Per le due specie terrestri, invece, possiedono un numero simile di strati cellulari nell’epidermide;
  3. In generale, tutte le specie di iguana delle Galápagos possiedono uno strato dorsale più scuro rispetto alla superficie ventrale. Quest’ultima non è generalmente visibile da altre iguane o dai predatori terrestri e non è una regione esposta direttamente al sole;
  4. Il colore “lattiginoso” sulla superficie ventrale del corpo delle iguane marine può essere interpretato come un adattamento che permette di ridurre la visibilità in acqua da parte dei predatori, mentre nuotano liberamente. In predatori "da sopra", potrebbero avere difficoltà a distinguere le prede di colore scuro dal colore "oscuro" dell’oceano, mentre "da giù", i predatori potrebbero non riuscire a individuare la preda perché il ventre permetterebbe di confonderle con il colore del cielo.

Insomma, questo lavoro è molto importante proprio perché fa luce sulla storia istologica della pelle di tre specie (su quattro) di iguana delle Galápagos, soprattutto per quanto riguarda quel “rosa” di C. marthae, che è dovuto al sangue che scorre negli abbondanti vasi sanguigni confluenti nello strato lasso, non “protetto” dai melanofori. La completa mancanza di cellule pigmentarie nello strato lasso provoca il colore rosa, grazie soprattutto ai grandi capillari molto simili a quelli dei mammiferi.

Ma quale vantaggio potrebbe fornire il colore rosa a questa specie a 1700 m di altitudine e in prossimità dell'Equatore?

In quelle zone, la radiazione solare è estremamente elevata, soprattutto in cima al vulcano, e l'esposizione prolungata potrebbe risultare dannosa. Il colore rosa sembrerebbe essere una sorta di "compromesso evolutivo", poiché potrebbe consentire alla specie di sostenere la sua potenziale crescita: un corpo di dimensioni maggiori potrebbe essere svantaggioso in determinati contesti, mentre gli individui di piccole dimensioni sembrerebbero non essere influenzati negativamente (non sono stati scoperti in precedenza). Gli individui di piccole dimensioni mostrano aree scure intervallate da altre di colore verdastro, ricche di iridofori (un tipo di cromatoforo), e tutto ciò consente alle cellule di riflettere e rifrangere le lunghezze d'onda, permettendo ai piccoli di mimetizzarsi. Questa caratteristica si perde negli individui adulti, come in C. subcristato. In conclusione, queste differenze macroscopiche potrebbero riflettere variazioni nell'ecologia e nell'habitat delle tre specie studiate.


Fonte immagine: Charles Darwin Foundation

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