martedì 20 giugno 2023

Introduzione alla (paleo)icnologia dei vertebrati (più una carrellata di impronte 'umane' e non solo)



Nell'articolo dedicato alla Paleobiogeografia ho citato questa branca della Paleontologia in quanto, per capire un po' come la popolazione di una data specie si sia sviluppata ed evoluta (anche e soprattutto a livello geografico), le impronte fossili in questo caso ci forniscono un sacco di informazioni utili. In primis perché si completa con il record fossile, soprattutto perché (ci sono alcune eccezioni), in generale, fossili e impronte non vengono mai rinvenuti assieme.

Ma che cos'è l'icnologia?

E' una branca della Paleontologia che si occupa, appunto, di studiare le impronte fossili lasciate dagli organismi del passato. Ci tengo a precisare che è ben diversa, sia per 'forma' che per le definizioni', da quella che si occupa di studiare gli invertebrati. Creerò una sezione a parte in quanto quella che studia gli invertebrati fornisce davvero un sacco di informazioni sul modo di vivere dell'organismo (come cacciava, com'era strutturata la sua vita, ecc.).Quindi qui ci concentreremo sulle impronte lasciate dai vertebrati, con una sezione dedicata esclusivamente a quelle 'umane'. 

Ritorniamo a noi. Questa branca scientifica ci consente di fare confronti tra le tracce del passato, fossilizzate, e quelle moderne restituendo informazioni dal punto di vista anatomico (com'era strutturato un arto, per esempio), dal punto di vista della locomozione e dello stile di vita, e anche dal punto di vista patologico. Come vedrete più avanti, nel caso dell'evoluzione degli ominini, si riesce a capire anche la struttura sociale e/o familiare di certi gruppi. Ecco alcune informazioni che possiamo ricavare (o non ricavare) dalle impronte:
  • Deambulazione. Se ho una pista, quindi un'insieme di impronte, posso capire la locomozione e la deambulazione del soggetto che le ha lasciate;
  • Abitudini (dal punto di vista ecologico). Ci aiuta a capire se un individuo migra o si muove da solo, e quindi capire come i soggetti sono posizionati all'interno del branco, o del gruppo
  • E' difficile, e alcune volte impossibile, determinare la velocità con cui camminava l'individuo, il suo peso e le sue dimensioni. Questo perché in genere la forma dipende dal tipo di substrato, e la composizione geologica può influire sulla velocità.

Quindi, il nostro punto di riferimento è l'impronta fossile, e per fossilizzare deve essere sepolta proprio come accade per gli organismi. Ma, non avendo a che fare con una struttura biologica in decomposizione, questa copertura sviluppa una sorta di 'controimpronta'. Accade un fenomeno simile quando si fossilizzano animali privi di parti dure, come per i celenterati (es. meduse) in quanto la parte organica si decompone completamente e, non essendoci parti 'dure' che in genere fossilizzano meglio di quelle molli', attorno all'organismo (ex) il sedimento che lo ricopre prende la forma, più o meno, dell'organismo ormai decomposto (in genere qui si parla di 'calchi', che per certi aspetti ricorda il processo che preserva le impronte). 

Una traccia fossile è composta da:
  • Impronta lasciata da un vertebrato, per esempio nel fango (ci sono molti esempi che riguardano i dinosauri). In sostanza, il peso del vertebrato forma una sorta di depressione. La 'depressione' lasciata dall'animale viene riempita e forma un 'positivo', quindi in parole povere possiamo dire che l'impronta è una deformazione degli strati sottostanti;
  • Sopra quest'impronta "fangosa" si deposita altro materiale sedimentario, come la sabbia (o cenere vulcanica come per le impronte di Laetoli), che funge da pellicola. Ecco, questa pellicola funge da 'controimpronta'. essendo un riempimento della 'depressione', gli strati che si susseguono sono omogenei, e lo spessore varia in base alla grandezza delle impronte: con quelle piccole avrò strati piccoli, con quelle grandi avrò strati più grandi;
  • Nel frattempo possono entrare in azioni azioni tafonomiche (sono azioni perlopiù 'distruttive' che in genere precedono il processo di fossilizzazione. Qui, per esempio, entrerà in gioco la pressione dovuta all'accumulo, per esempio, di altri strati di sabbia (o rocciosi in generali). Questi strati "più recenti" esercitano una pressione su quelli meno recenti che verranno sempre di più 'pressati'. La pressione è maggiore negli strati inferiori, per esempio dove si è originata l'impronta, tanto che quest'ultima risulterà essere più deformata. Non è più un'impronta lineare (come quelle che lasciano gli animali sul cemento, per intenderci) ma risulta essere più sfasata, o "confusa" (undertrack). Più ci si allontana dall'undertrack, quindi dall'impronta deformata, e più  debole sarà la l'impronta modificata (non abbiamo, per esempio, un perimetro netto dell'impronta ma una sorta di 'infossamento' che si sviluppa man mano che ci si avvicina all'undertrack). 

  • Un parametro fondamentale per la formazione di un'impronta, e per la sua 'sopravvivenza' nel corso del tempo, è la consistenza del substrato. Se varia la consistenza, la stessa specie (o lo stesso gruppo) può lasciare impronte diverse, o addirittura non lasciarne proprio se la superficie dovesse risultare 'dura'. Questo dipende anche dalla 'stazza' e dal peso della specie che lascia l'impronta. Ciò aiuta la formazione di un'impronta, dipendentemente dal tipo di sedimento, è la quantità d'acqua che determina la consistenza e la malleabilità del sedimento. 

Immagine riassuntiva


Quindi, come avrete potuto capire, l'impronta (soprattutto se deformata) non fornisce chissà quali informazioni tassonomiche, quindi il più delle volte è impossibile dire a quale specie appartenesse una data impronta. Tranne per certe impronte 'umane', possiamo spingerci al massimo alla Famiglia o all'Ordine di chi ha lasciato le impronte, ma per non creare confusione tra le tracce fossili e gli organismi, l'icnologia utilizza una tassonomia propria (Paratassonomia). Non ha una valenza sistematica in quanto si tendono a raccogliere in gruppi, del tutto scollegati a quelli prettamente paleontologici o biologici, denominati "icnogeneri" o "icnospecie".


Tuttavia, l'icnologia ha dei imiti, e abbiamo già potuto vederne uno prima all'aspetto tassonomico; "chi ha lasciato quell'impronta"? Vediamo brevemente altri limiti:

Le differenze dal punto di vista ontogenetico. Le tracce sono lasciate da animali di taglia differenti, quindi risulta essere difficile se quell'impronta l'abbia lasciata un adulto o un individuo giovane. Senza contare che anche a livello fossilifero potrebbero esserci delle lacune in merito, quindi qui la situazione si complica;

Le impronte sono soggette a erosione. Questo perché, essendo delle 'depressioni', facilitano l'accumulo dell'acqua, mentre le controimpronte sono esposte ad altre tipologie di intemperie, come per esempio il vento. Più il tempo passa, e più le controimpronte vengono 'levigate';

E' una scienza relativamente soggettiva, in quanto possono essere interpretate anche in base all'erosione, quindi il più delle volte non esistono parametri specifici per studiarle (un fossile di mandibola, per esempio, mantiene una certa struttura e certi caratteri mentre l'impronta dipende anche, e soprattutto, dalla tipologia della roccia su cui poggia l'arto il vertebrato). Per avere comunque una documentazione oggettiva, si fa un calco delle impronte concave e, successivamente, si riproduce il calco in 3D;

Si trovano spesso impronte singole e isolate, ed è difficile da capire quando non si ha una pista con più impronte se le stesse appartengono allo stesso individuo. Lo stesso discorso, però, vale per la pista: posso trovare impronte simili lasciate da individui/specie differenti,



I VERTEBRATI

Impronte di antichi "rettili" italiani. Nel 2021 è stata pubblicata una ricerca, che ha coinvolto svariate università tra cui quelle di Genova, Torino e la Sapienza di Roma ed il Museo delle Scienze di Trento, in cui si descrivono delle orme inedite appartenenti ad un grosso ""rettile"" rimaste impresse nella quarzarenite(una roccia sedimentaria composta prevalentemente da quarzo).

Si tratta di 3 passi consecutivi: 3 coppie di orme di zampe posteriori e anteriori lunghe 30 cm. Sono così ben preservate che è  possibile notare i cuscinetti delle zampe sotto le falangi. E così si è potuto fare una ricostruzione degli arti e stimare che appartenessero ad un ""rettile"" arcosauriforme(non era un arcosauromorfo, e non era un coccodrillo come hanno scritto un po' ovunque) lungo 4 metri circa. 

La datazione del ""rettile"" risale al Triassico medio(tra circa 245,9 e 228,7 milioni di anni fa) ed anticamente, il luogo dove è stato trovato, era una linea di costa nelle vicinanze di un delta fluviale. 

I 'passi' sono stati trovati sulle Alpi occidentali nell'altopiano di Gardetta nella provincia di Cuneo, a 2200 metri d'altezza.  Quest'area nel Triassico medio si trovava in prossimità dell'equatore, e si ipotizzava che fosse un'area inospitale dopo la grande estinzione di massa del Permo-Trias in quanto non sono stati mai trovati resti di altri animali in quella zona, con i pochi sopravvissuti che migrarono altrove. Ora si capisce che non è proprio così.

                                          Fonte immagine: il Paleoartista Fabio Manucci.


Qui non ho mai scritto nulla in proposito, ma adoro questo meme: 




Come atterravano e come decollavano gli pterosauri? Questo gruppo di animali è molto peculiare in quanto è il primo appartenente al clade Avemetatarsalia (clase che comprende dinosauri, pterosauri e uccelli) a prendere il volo, ben prima degli uccelli e degli altri tetrapodi come i pipistrelli. Infatti, possedevano il quarto dito dell'arto anteriore molto esteso, proprio per permettere l'estensione della struttura alare composta da una membrana resistente, ricca di fibrille proteiche e attinofibrille, che rendevano elastica e resistente la membrana. Oltre, naturalmente, a possedere altre modificazioni anatomiche che permettevano stabilità nel volo e anche nella locomozione terrestre.
Gli arti posteriori erano molti più piccoli degli anteriori, e si pensava che fossero trofici, o perlomeno che non svolgessero chissà quale ruolo, sia nel volo che nello slancio che nella locomozione . Fino a qualche tempo fa(un bel po' di anni fa) si pensava che questi straordinari animali vivessero esclusivamente sulle scogliere o sulle alte falesie, così da buttarsi direttamente da queste alture, pescare e ritorne alla "postazione di lancio" senza compiere quasi nessun tipo di movimento sulla terraferma.
Naturalmente, le scoperte recenti sono tante che mostrano una dieta abbastanza variegata di questo gruppo, dimostrando che questi individui passarono parte della vita anche sulla terraferma(cacciando anche animali terrestri).
Che vivesse un po' ovunque, o per lo meno dove la vegetazione non fosse molto fitta(gli pterosauri giovani e adulti possedevani un volo diverso tra di loro, e di conseguenza possedevano stili di vita diversi), non è una scoperta recentissima. Nel 2009, nei sedimenti del Giurassico superiore vicino a Crayssac, in Francia, è stata trovata una pista di atterraggio che mostrano una serie di azioni avvenute durante l'atterraggio: gli arti inferiori avevano una disposizione e un movimento parasagittale, cioè venivano spostati su piani paralleli(in pratica camminavano a quattro zampe in modo molto simile ai mammiferi).
Il decollo
Dopo aver camminato a quattro zampe, gli pterosauri per poter decollare compivano una serie di movimenti:
  1. Si raccoglievano su se stessi verso il basso;
  2. Si davano la spinta non proprio verso l'alto spingendosi con gli arti anteriori, come una sorta di catapulta(con gli arti posteriori che si staccavano prima da terra. Immaginate una persona che fa yoga che alza prima le gambe e poi si solleva con le braccia. Solo che gli pterosauri saltavano subito dopo aver sollevato gli arti posteriori grazie all'energica spinta esercitata dagli arti anteriori);
  3. Appena compiuto il salto, tendevano subito le ali/gli arti posteriori per fendere immediatamente l'aria e volare.
Atterraggio (studio del 2009)
Anche la sequenza di atterraggio non è semplicissima, soprattutto perché non atterravano su due zampe ma su tutte e quattro, camminando in modo quadrupede simile ai pipistrelli:

  1. Il primo atto dell'atterraggio avveniva sugli arti posteriori;
  2. Subito dopo gli arti posteriori venivano trascinati per pochi secondi, facendo sobbalzare lo pterosauro ed effettuando un secondo atterraggio(con meno spinta e forza, come se questo "colpo" rallentasse un po' il volo);
  3. Venivano appoggiati nuovamente gli arti posteriori, in modo parallelo e successivamente quelli anteriori compiendo una sorta di "passo breve", di balzo in avanti prima di camminare normalmente sul terreno.
Una pista del genere dimostra che gli pterosauri possedevano capacità molto sviluppate di manovrabilità e controllo del volo.


Fonte immagini: First Record of a Pterosaur Landing Trackway
Author(s): Jean-Michel Mazin, Jean-Paul Billon-Bruyat and Kevin Padian
Source: Proceedings: Biological Sciences, Vol. 276, No. 1674 (Nov. 7, 2009), pp. 3881-3886
Published by: The Royal Society




EVOLUZIONE UMANA

Il "passo incrociato" di un antico umano. Lo studio in questione è uscito alla fine del 2021 e mostra  un'impronta fossile associata ad un  ominino. La paleoicnologia, cioè la branca della  paleontologia che studia le impronte fossili, ci insegna che non sempre è sempre possibile attribuire impronte ad una determinata specie o un determinato genere, questo perché sostanzialmente le impronte lasciate da animali simili sono indistinguibili. A meno che non si rinvenga qualche resto fossile nelle  vicinanze dell'impronta, ma non è detto  in quanto i fattori che permettono la preservazione dell'impronta non permettono la preservazione di esoscheletri, ossa o denti. E viceversa.

Però ci possono dare tantissime informazioni per  quanto riguarda la biomeccanica di un individuo: se correva o camminava, se era affetto da qualche patologia, se poi troviamo un'insieme di impronte si possono fare anche ricostruzioni paleobiogeografiche e paleoambientali.

In questo caso, le impronte di questo misterioso "camminatore" mostrano una particolare locomozione, simile a quello di un moderno modello che sfila sulla passerella. Inizialmente, quelle impronte vennero associte ad un orso che camminava  in modo eretto, ma si vede che agli orsi non piaceva sfilare.

La  particolarità  è che sono state rinvenute a Laetoli, in Tanzania, dove sono presenti altre orme di ominini molto famosi, anche se molto diverse.
Probabilmente appartengono al genere  Australopithecus, genere a cui appartiene anche la famosa Lucy (𝘼𝙪𝙨𝙩𝙧𝙖𝙡𝙤𝙥𝙞𝙩𝙝𝙚𝙘𝙪𝙨 𝙖𝙛𝙖𝙧𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨) o a qualcosa di simile(magari un ominino di cui ancora non sappiamo nulla, o che ancora non è stato scoperto).

Chi sarà mai questo strano individuo  che circa 3.3 milioni di anni fa camminava a passo incrociato?

                                                                             Per la fonte, clicca qui


Laetoli(Tanzania) è uno dei siti più conosciuti e affascinanti in cui sono stati trovati tantissimi fossili e conserva le impronte di molti hominini e australopitecine, conservate grazie alla cenere depositata dal vicino vulcano Sadiman, cementandosi in tufo spesso 15 cm.

La datazione al potassio-argon, che ci aiuta a datare le rocce vulcaniche e metamorfiche, indica che l'età degli strati risale a circa 3,7 milioni di anni(Pliocene).

Le impronte ritrovate(lasciate anche da altri animali come il grande felino Machairodus) ci aiutano a capire la locomozione, l'anatomia e anche la struttura sociale dei soggetti di studio. 
Così accadde per le orme scoperte in questo sito nel 1978 dalla paleontologa Mary Leakey che individuò segni lasciati da 3 individui appartenenti alla specie Australopithecus afarensis( specie a cui appartiene Lucy). Potremmo pensare ad una coppia composta dal maschio, dalla femmina e dal/dalla figlio/a.

Successivamente, però, sono state trovate altre impronte di altri due individui, attribuite a due bipedi che si muovevano nello stesso momento e nella stessa direzione. 
Si tratta di altri due afarensis, ed uno degli individui risulta anche essere di grandi dimensioni alto 165 cm. Una bella altezza per un ominide di 3,7 milioni di anni fa, contando che la sola Lucy era alta 110 cm.

Le conclusioni dello studio sono queste:
-Il gruppo era poligamo e composto da 5 individui, tra cui un individuo giovane;
-Il dimorfismo sessuale tra maschio(alto circa 165 cm) e femmina(140 cm circa), in questo gruppo e nella specie in generale, era molto accentuato.

                                                             Credit foto: Raffaello Pellizzon

                                                 Credit immagine: © Dawid A. Iurino/CC BY 4.0
                                                                                   Per la fonte, clicca qui



La più antica impronta associata alla nostra specie è datata circa 153.000 anni. Gli icnofossili sono delle vere e proprie impronte fossili e il campo che se ne occupa si chiama 'icnologia' (o paleoicnologia). In sostanza, gli organismi del passato facevano qualche scampagnata, e le impronte lasciate durante queste scampagnate si sono preservate in particolari contesti geologici. Attraverso le impronte si può studiare la locomozione di un individuo, capire anche se è stato affetto da qualche malanno, possiamo capire dove stava andando, ecc.. Il problema, però, tranne in rari casi, è impossibile risalire alla specie che ha lasciato l'impronta.

Le eccezioni riguardano le impronte lasciate dalle australopitecine e dal genere 𝙃𝙤𝙢𝙤, per via di tratti anatomici particolari (uniti, naturalmente, ad altri elementi come la 'datazione' e a quelli paleoantropologici, come ossa o utensili). 

Vediamo cosa ci dice questo recente studio.

Fino a qualche anno fa, le impronte associate alla nostra specie erano datate circa 50.000 anni, ed erano 4 i siti segnalati in tutta l'Africa (un po' pochini, in effetti):
  • 2 provenivano dal Sudafrica, dai siti di Langebaan e Nahoon. Quest'ultimo è il primo sito nel quale, nel lontano 1966, vennero segnalate le prime impronte di ominino;
  • le altre due provengono da Laetoli (Tanzania) e da Koobi Fora (Kenya).

Le recenti tracce, con lo studio pubblicato recentemente (trovate la fonte nei commenti), si sommano sia ai siti precedenti che a quelli africani, infatti in questo continente (al momento) si contano ben 14 siti antichi almeno 50.000 anni circa (senza contare che anche fuori dall'Africa, come nella Penisola arabica e nel Regno Unito, ci sono almeno un'altra decina di siti).

Insomma, se prima le impronte umane scarseggiavano, ora incominciamo ad aver un buon record icnologico. 

Per quanto riguarda la nuova ricerca, negli ultimi 5 anni sono stati rinvenuti 5 siti sulla costa meridionale del Capo (Sudafrica). In tutto in Sudafrica, ora, abbiamo 9 siti.
Tra le tracce rinvenute, la più recente associata alla nostra specie risale a circa 71.000 anni fa, mente la più antica (al momento, in assoluto) è datata 153.000 anni circa.

𝘼𝙥𝙥𝙧𝙤𝙛𝙤𝙣𝙙𝙞𝙢𝙚𝙣𝙩𝙤

Sono state studiate e datate 7 impronte rinvenute sulla costa meridionale del Capo. Le stime dell'età vanno dal MIS 6 al MIS 4, età che sono coerenti con gli studi di datazione precedenti. 
Nello studio è stata utilizzata la tecnica di luminescenza ottica stimolata (OSL), che si basa sulla stima del range temporale trascorso da quando il feldspato (o i grani 'duri' di quarzo), nei pressi delle tracce fossili (o delle impronte, in questo caso), è stato esposto l'ultima volta alla luce del sole. In sostanza, le superfici dove questi antichi Sapiens camminarono, vennero rapidamente coperte e non videro più la luce del sole, o qualcosa di simile, proprio fino alla tecnica OLS utilizzata. 

Le tracce sono posizionate su 7 'percorsi', e proprio grazie a questa grandiosa tecnica è stato possibile datare la traccia più antica appartenente alla nostra specie (153.000 anni,con un margine di errore di 10.000 anni). 

L'età è compresa, quindi, tra MIS 6 e 4. Questa sigla, MIS, significa 'Marine Isotope Stages (o stadio isotopico marino), e nel corso degli ultimi 800.000-1 milione di anni vi è stata un'alternanza di periodi caldi e freddi. Quest'alternanza viene dedotta grazie al rapporto degli isotopi 18 e 16 dell'Ossigeno, presente nei resti fossili e sedimentologici, e varia al variare della temperatura. In questo caso, come potete leggere dal paragrafo precedente, la tecnica di datazione utilizzata è un'altra, ma per capire un attimo il contesto climatico, possiamo dire che l'isotopo 18-O, quello più pesante, è più abbondante nelle acque fredde. I MIS con il numero dispari corrispondono a grandi quantità dell'isotopo 18-O, quindi in questo caso ci troviamo a cavallo tra due periodi relativamente caldi (con uno freddo di mezzo).

Oltre alla presenza di impronte, sono stati rinvenuti quelli che parrebbero essere ammoglyphs (ammoglifi), termine che si riferisce a qualsiasi modello fatto dagli esseri umani che è stato conservato nel tempo. Quindi, questi siti, hanno registrato il movimento dei nostri antenati, ma anche delle loro attività. Sembra che queste tracce siano state lasciate anche da ornamenti, come gioielli, ma questo aspetto verrà sicuramente approfondito con altri studi. 

                                            Fonte immagine: Charles Helm. Per la fonte, clicca qui.


Ominini scalatori di vulcani. Avevo pubblicato questo post nel 2022, ma ho deciso di ripubblicarlo dopo aver letto l'intervento sotto quel post di uno dei ricercatori che ha partecipato allo studio, Adolfo Panarello. Aggiungo il suo intervento tra virgolette e alla fine del post (potete leggere lo screen del suo intervento anche nei commenti), anche perché questo studia merita di essere approfondito e non di essere trattato in modo generale, come ho fatto precedentemente.
Queste tracce che vedete in foto, sono state lasciate da individui di una specie non precisata appartenente al genere 𝙃𝙤𝙢𝙤 (si tratterebbe di 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙝𝙚𝙞𝙙𝙚𝙡𝙗𝙚𝙧𝙜𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 o di 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 ), che avrebbero scalato un vulcano subito dopo un'eruzione.
Questa zona, ove sono state rinvenute le impronte, si chiama "Ciampate del Diavolo", e si trova nella località Foresta, nelle vicinanze dell'antico vulcano (ormai spento/inattivo da 50.000 anni circa) di Roccamonfina (in provincia di Caserta).
Queste impronte sono datate 385.000–325.000 anni fa circa, e la datazione è stata possibile grazie al flusso piroclastico ricco di zeolite scoperto proprio in prossimità di questo antico vulcano.
La particolarità è che non sembrano appartenere ad un individuo in fuga dall'eruzione, ma la direzione e il verso delle impronte indicano una 'camminata verso la cima'.
Come ben sapete, associare le impronte fossili (o icnofossili) ad un individuo/organismi è molto difficile se non si trovano nel sito anche i resti fossili, ma la pianta delle impronte (assieme anche alla datazione) trovano delle similitudini con la pianta del piede rinvenuta nella grotta di Sima de los Huesos. Un sito caratterizzato dalle due specie citate in precedenza.
Inizialmente, in questo sito, erano note in precedenza ben 67 impronte, indirizzate verso valle, ma con lo studio del 2020 (che trovate nei commenti), sono state aggiunte altre 14 impronte. Secondo lo studio, il vulcano aveva erutatto da poco, con il materiale piroclastico che si stava ancora solidificando. Ma le tracce non mostrano una corsa, ma una camminata "tranquilla". Tutto sommato, si può tranquillamente dire che i Neanderthal fossero frequentatori attivi di questi edifici infuocati.
Una particolarità di queste impronte è che non sono presenti impronte di bambini, e questo fa pensare che fossero lasciati in altri luoghi, più sicuri, forse perché non in grado di scalare materiale piroclastico ancora abbastanza "fresco".
Probabilmente, queste rilassate camminate avevano diversi scopi:
  • La caccia di animali, in quanto il suolo nei pressi dei vulcani è molto fertile;
  • Raccolta di rocce per ricavarne utensili. Questa pratica è molto accreditata in quanto nello studio del 2020, è stato rinvenuto un masso scheggiato.
𝘼𝙥𝙥𝙧𝙤𝙛𝙤𝙣𝙙𝙞𝙢𝙚𝙣𝙩𝙤
L'intervento di uno dei ricercatori, Adolfo Panarello
"Le “Ciampate del diavolo” furono rilevate e interpretate come orme umane fossili nel 2001 e il primo “report” ufficiale fu pubblicato sulla rivista NATURE il 13 marzo 2003. A quell’epoca erano le più antiche impronte umane ACCERTATE del mondo riferibili con certezza a esemplari del genere “Homo”. Hanno perso il primato dell’antichità planetaria nel 2009, in seguito alla scoperta delle impronte di Ileret (Africa), datate a circa 1,5 milioni di anni fa, ma rimangono comunque fra le più antiche del mondo. Tuttavia, la ricerca scientifica avrebbe presto dimostrato che l’unicità planetaria e l’assoluto pregio paleontologico e geologico del geosito non risiede solo nella sua antichità.
La principale caratteristica del deposito vulcanico che fu impresso nel Pleistocene medio, infatti, è la sua fortissima inclinazione, la quale, in alcuni punti, raggiunge anche l’80%.
Tale caratteristica, esistente fin dalla preistoria, costrinse gli hominini e gli animali che lo percorsero a muoversi con estrema circospezione, assecondando – con ragionamenti acuti e precisi comportamenti – tutti i condizionamenti alla deambulazione imposti dalla rude e ingannevole geomorfologia locale. Gli studi, infatti, hanno dimostrato che la solidificazione del substrato non fu omogenea e i camminatori dovettero, spesso, fare i conti con un terreno che, oltre a essere fortemente inclinato era anche imprevedibilmente viscido e cedevole e, talvolta, anche coperto da una fragile crosta essiccata.
Fino a oggi, nel mondo, non è noto un altro sito con le stesse caratteristiche geologiche che conservi impronte di uomini preistorici, quindi solo nel contesto ambientale delle “Ciampate del diavolo” è stato possibile e sarà possibile compiere studi particolari sulla biomeccanica, sul comportamento e sulla struttura corporea di esemplari così antichi del genere “Homo”.
Inoltre, tutte le piste di impronte umane si staccano da una cengia che domina il pendio, che è stato provato essere un sentiero preistorico frequentato ininterrottamente per circa 350.000 anni, essendo ancora segnato sulle mappe topografiche attuali. Esso rappresenta, al momento, il più antico sentiero umano del mondo e l’unica testimonianza di una sostanziale omogeneità nelle scelte e nelle dinamiche insediative umane condizionate dalle geomorfologie dalla preistoria ai nostri giorni.
Si è notato, inoltre, che le direzioni percorse dagli hominini della preistoria non avevano un unico orientamento generale ma erano bi-direzionali. Questa evidenza ha reso meno forte l’ipotesi di un passaggio occasionale e reso più probabile quella di una frequentazione più prolungata della zona – forse per la presenza di qualche condizione ambientale più favorevole (ad esempio, un microclima migliore, abbondanza d’acqua e di risorse alimentari, etc.) - da parte di un gruppo di esemplari del genere “Homo” vissuti intorno a 350.000 anni fa. Tale frequentazione potrebbe anche aver interessato un territorio più ampio, come sembrano suggerire i rinvenimenti di alcuni manufatti litici (tutt’ora oggetto di studi) rinvenuti non solo “in situ” ma anche in alcune zone adiacenti il pendio impresso. Va comunque messo in evidenza, per doverosa chiarezza, che questi gruppi umani erano nomadi e vivevano di caccia e raccolta e, quindi, non sembra corretto pensare che essi vivessero costantemente nel territorio come comunità stabili.
In merito all’attribuzione a una specifica specie umana (“Homo heidelbergensis” o “Homo neandertalensis” arcaico) la questione, invece, è ancora aperta, in quanto gli studi paleoantropologici più recenti hanno rimesso in discussione la stessa esistenza e/o la filogenesi delle due specie. Nel caso delle “Ciampate del diavolo”, infatti, non possono essere decisive – da sole – né la datazione, né il contesto culturale, né la tipologia dell’industria litica a esse associabile. Un aiuto più significativo, per un’attribuzione più obiettiva, si può ottenere solo se si considerano, insieme alle evidenze appena elencate, i fossili osteologici della medesima epoca noti nelle regioni territoriali più prossime all’icnosito e, nel nostro caso, il solo fossile di riferimento, può essere il calvario di Ceprano (noto come “Argil” e datato fra 430-385 ka B.P.), il quale è stato attribuito a “Homo heidelbergensis”;
Il primo riferimento bibliografico lo trovate nei commenti, sennò Facebook si arrabbia;
"La questione rimane comunque aperta e anche la somiglianza strutturale con i resti fossili dei piedi degli hominini della Sima de los Huesos (datati a circa 430 ka), non basta, da sola, a sciogliere i dubbi.
Sulla base di quanto predetto, dunque, e sulla base dei dati icnologici disponibili sembrerebbe più logico attribuire le “Ciampate del diavolo” a esemplari di “Homo heidelbergensis” che non a esemplari di “Homo neanderthalensis”, ma questa ipotesi potrà essere confermata o smentita solo dalle ricerche future.
Tutti i dettagli finora noti sulle “Ciampate del diavolo” sono stati pubblicati su una monumentale monografia curata da Paolo Mietto, Adolfo Panarello e Mauro Di Vito nel n. 64 (più 4 supplementi) della Miscellanea INGV, che è accessibile gratis dal portale WEB dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia".

Fonte 1 (clicca qui) Fonte 2 (clicca qui)
Fonte 3 (clicca qui)
fonte 4 (clicca qui)



Impronte umane antiche 14.000 anni circaIn questo studio del 2019, condotto da ricercatori italiani, sono state trovate impronte di 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨, antiche 14.000 anni circa, e si tratta di una famiglia composta da un adolescente, 2 adulti e 2 bambini, con il più piccolo che non superava i 3 anni di età.

Questa famiglia esplorò la Grotta della Bàsura (Savona) ma non fu una passeggiata in quanto la struttura geologica era composta da cunicoli stretti, laghi sotterranei  e pendii non così semplici da superare, ma la famiglia non si arrese arrivando alla cosiddetta "Sala dei Misteri", posta a 400 m di distanza dall'ingresso.

Se non mi sono perso altre ricerche in merito, si tratta del primo record icnologico nel quale è rappresentata una locomozione umana a "gattoni", in quanto questa famiglia dovette procedere carponi su mani e ginocchia, per superare cunicoli molto stretti (quello più stretto non raggiunge gli 80 cm di larghezza). 

La particolarità è che non era presente alcun indumento, e ciò è suggerito proprio dai dettagli anatomici chiaramente riconoscibili nelle tracce striscianti. 

Piccolo aggiornamento. Uno dei co-autori dello studio e direttore scientifico delle Grotte di Toirano, Marta Zunino, ha risposto nella sezione commenti ad una domanda che, giustamente, ci si pone quando si ha a che fare con questa tipologia di studi: "perché si sono addentrati nella grotta"?

Faccio copia e incolla del commento:

"L'ipotesi è che siano entrati solo per spirito di esplorazione, non ci sono altri motivi apparenti come la caccia a qualche animale. È possibile che l'ingresso preistorico non fosse quello attuale, abbiamo alcuni indizi che lo suggeriscono ma al momento non abbiamo ancora trovate prove certe.
La maggior parte delle orme vanno verso la parte più interna della grotta ma alcune, in un corridoio non turistico, vanno in senso opposto. Dalle orme e dalle centinaia di tracce di carbone sulle pareti si è capito che questi 5 hanno esplorato tutta la grotta".

Fonte: Romano M., Citton P., Salvador I.,Arobba D., Rellini I., Firpo M., Negrino F., Zunino M., Starnini E., Avanzini M., 2019: A multidisciplinary approach to a unique palaeolithic human ichnological record from Italy (Bàsura Cave). eLife 8:e45204.



 

Le più antiche (probabili) tracce di calzari ‘umani’ sono state rinvenute in una spiaggia sudafricana. L’Africa ci offre davvero tante testimonianze, soprattutto per quanto riguarda le tracce fossili. In genere, questa materia chiamata Icnologia studia le tracce lasciate dagli organismi nel corso del tempo e, il più delle volte, non ci permette di capire quale specie abbia lasciato queste impronte in quanto, in situ, difficilmente, si ritrovano i fossili appartenenti all’individuo che ha lasciato queste impronte. Nel caso dell’uomo, capire come e quando sono comparse le calzature, è sempre stata una sfida ardua in quanto non sono mai state rinvenute calzature in questi siti, anche perché sono strumenti deperibili e difficilmente si preservano oggetti archeologici del genere, ma queste impronte sono state lasciate da individui che le indossavano e questo al momento ci basta. Insomma, ora sappiamo che nel record geologico abbiamo un punto di riferimento per capire da quando, almeno in parte, gli esseri umani si coprivano i piedi con calzari.

Entriamo nel vivo della ricerca

Negli ultimi 15 anni, sono state rinvenute tantissime tracce di impronte “umane”, e se volete nei commenti trovate un articolo apposito. Sono tracce di corsa sostenuta o di camminate in senso stretto, ma non sono mai state trovate tracce dirette di “orme con calzatura” se non in siti antichi più di 30.000 anni fa, in Europa Occidentale. E’ compreso anche un sito neanderthaliano. Insomma, l’uomo già a quel tempo ha dimostrato di poter costruire oggetti e strumenti in osso e di cucire indumenti, quindi i ricercatori sono ben consci del fatto che, in qualche modo, con le conoscenze del tempo, le calzature debbano essere comparse per far fronte a certe necessità.

La seconda zona, al centro di questo studio, mostra l’esistenza di tracce di calzature lungo la costa del Capo. Qui non ci sono segni diretti, infatti i ricercatori hanno svolto una serie di esperimenti “fisici” per provare che le tracce rinvenute siano state lasciate da calzature, ed il risultato è che esistono (almeno fino ad ora) 3 siti con impronte lasciate da umani con i piedi coperti.

In questi siti, sono già stati rinvenute impronte associate ad Homo sapiens (scalzi) lungo la costa del Capo, in particolar modo in siti dunali o in contesti geologici caratterizzati da eolianiti. Per svolgere questi esperimenti, sono state utilizzate calzature tipiche degli indigeni San, del deserto del Kalahari, questo perché in qualche modo si avvicinano alle possibili calzature antiche. Sono state create, poi, delle piste simili a quelle della costa meridionale del Capo ed il risultato è che una suola aperta e relativamente rigida, su un manto relativamente soffice ma compatto, restituisce impronte molto simili ai 3 siti, che mostrano impronte con margini netti.

Questo, comunque, non è uno studio conclusivo o esaustivo in quanto mostra, in parte, che l’uomo utilizzasse calzature già da molto tempo ma non abbiamo ancora tracce dirette di questa usanza, e ancora non ci è dato sapere come e quando è comparsa, infatti i siti studiati non sono stati datati ed una datazione probabile si aggira tra i 130.000 e i 70.000 anni circa

Ciò che bisogna considerare è che il Sudafrica in generale presenta molte piste che rientrano in questo range temporale, e la presenza di tracce di calzatura permettono di capire che ad un certo punto l’uomo abbia dovuto coprirsi i piedi, magari per raccogliere e cercare il cibo sulle rocce taglienti che caratterizzano la costa del Capo, infatti una lacerazione infetta tra i 130 mila e i 70 mila anni fa significava morte cerca. C’è da considerare anche che potessero essere usate per la protezione dal freddo o dal caldo, utilizzandoli prima in modo occasionale per diventare, poi, parte integrante degli indumenti che utilizziamo tutt’ora. 



Per la fonte, clicca qui

Nessun commento:

Posta un commento