lunedì 4 dicembre 2023

Adattamenti neanderthaliani

"Che naso che hai! Sembra quello di un Neanderthal"
"Di cosa dovrei lamentarmi? È un adattamento ai climi artici"
Se qualcuno è stato preso in giro per il naso, deve sicuramente ricevere delle scuse. A parte gli scherzi, questa notizia "nasale", pubblicata qualche giorno fa, è molto affascinante in quanto scopriamo che anche altri caratteri sono influenzati dai pochi (pochissimi) geni neanderthaliani che abbiamo ereditato casualmente attraverso svariati processi, come quello dell'introgressione. Abbiamo ereditato la capacità di resistere al freddo, ma abbiamo anche ereditato predisposizione a malattie come la Covid-19, Lupus e Diabete di tipo II. Almeno in questo caso, un naso 'neanderthaliano' non comporta grosse problematiche, ma ci permette di conoscere un particolare adattamento tipico di questa fantastica specie.
Esiste, quindi, un particolare gene che modula la posizione del nostro naso. Possiamo dire, in parole povere, che questo gene porta a un naso "più alto". Sono state studiate varie regioni del genoma di popolazioni latinoamericane, ed è stata scoperta una nuova regione denominata 1q32.3 che mostra, appunto, segni di introgressione tra la nostra specie e quella neanderthaliana.
Breve appunto sull'introgressione
Le specie 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨 e 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨, come indicano i dati genetici, si sono sporadicamente accoppiate, questo perché potrebbero esserci state delle barriere riproduttive (come anche la distanza genetica tra le due popolazioni) che hanno limitato gli accoppiamenti. Quei pochi e rarissimi ibridi che nascevano, se fertili, si riproducevano con uno dei due parentali. Quindi, le popolazioni non si 'mischiavano' e non diventavano omogenee, ma un ibrido riaccoppiandosi con un parentale permetteva di "rubare" i geni dell'altra popolazione.
In conclusione, questa nuova regione è omologa a quella dei topi che influenza la morfologia cranionasale.
Questo carattere è stato selezionato dal meccanismo evolutivo della Selezione Naturale, ed è un adattamento a climi freddi, tipico delle popolazioni del genere 𝙃𝙤𝙢𝙤 che vissero, comparvero e si svilupparono fuori dall'Africa.
Come può un naso permettere un adattamento a climi artici?
Un naso 'neanderthaliano' permetteva (permette) di scaldare e umidificare l'aria gelida inalata, ed è un adattamento simile a quello degli inuit (evolutosi indipendentemente da quello neanderthaliano. Ah, che belle le convergenze evolutive!).
Tutto questo è reso possibile dalla struttura interna del naso che facilita il riscaldamento e l'umidificazione dell'aria prima che questa arrivi ai polmoni. Infatti, nella specie 𝙃. 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨, il tessuto molle del naso indica che questa struttura permetteva un rapido riscaldamento e umidificazione dell'aria, grazie proprio alla lunga permanenza della stessa. Diciamo che l'aria non arrivava direttamente ai polmoni, ma faceva qualche giretto all'interno della struttura nasale.
Vi svegliate presto? Forse è colpa del Neanderthal
Cosa non abbiamo ereditato dai nostri "cugini"? Tra adattamenti al freddo e malattie come il lupus e il diabete di tipo II, ora si aggiunge un altro tassello: la propensione a svegliarsi presto. Parrebbe che il Neanderthal possedesse alcune varianti genetiche associate proprio a questo adattamento, che risultava essere vantaggioso per sfruttare la luce del sole.
Sono stati identificati 28 geni dai quali sono state rilevate molte varianti arcaiche capaci di influenzare lo splicing e la regolazione dei geni circadiani, come ad esempio i geni CLOCK, PER2, RORB, RORC e FBXL13. Queste varianti, quindi, sarebbero in grado di alterare il ritmo circadiano correlato alla regolazione del sonno. Chi possiede queste varianti, tende ad alzarsi presto. Lo studio ha coinvolto mezzo milione di abitanti del Regno Unito e, molto probabilmente, le condizioni climatiche dell'epoca hanno selezionato e favorito queste varianti e un ritmo circadiano ridotto. Insomma, vi è stata una sorta di rapido allineamento tra gli stimoli ambientali e una rapida alternanza tra veglia e sonno.
Il Sapiens, proveniente dall’Africa, visse in un contesto in cui i climi non erano rigidi, le giornate non erano brevi e le risorse non scarseggiavano. Grazie agli accoppiamenti vari e al fenomeno dell’introgressione, queste varianti hanno permesso alla nostra specie di adattarsi a queste condizioni climatico-ambientali estreme, consentendoci di vivere in un nuovo ambiente.
Un'osservazione interessante emersa da questa ricerca è che non tutti i Neanderthal possedevano queste varianti, ad esempio quelli che vissero sui monti Altai o in latitudini inferiori. Questo adattamento ha permesso ad entrambe le specie di adattarsi in contesti estremi, anche in tempi recenti per quanto riguarda il Sapiens. Tuttavia, sembra che non sia solo una questione di genetica, poiché molti fattori come quelli psicologici, fisici, le condizioni di stress e sociali, oltre all'età, possano influenzare il ritmo circadiano.
Fonte: Keila Velazquez-Arcelay, Laura L Colbran, Evonne McArthur, Colin M Brand, David C Rinker, Justin K Siemann, Douglas G McMahon, John A Capra, Archaic Introgression Shaped Human Circadian Traits, Genome Biology and Evolution, Volume 15, Issue 12, December 2023
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Siccome esiste un po' di confusione per quanto riguarda il concetto di specie biologica (e/o morfologica) e tuttò ciò che concerne questo evento, dobbiamo riprendere un paio di termini: introgressione e inbreeding.
Inbreeding o inincrocio: Con questo termine noi indichiamo l'incrocio tra individui strettamente imparentati o consaguinei e qui si verifica il primo "problema" per chi vuole a tutti i costi considerare il Neanderthal come una nostra sottospecie: il DNA mitocondriale delle due specie ci indica che non c'è stato in pratica nessun incrocio, mentre il DNA nucleare sí. Pertanto, considerando che il DNA mitocondriale viene trasmesso dalla sola madre ai figli (le figlie a loro volta lo possono trasmettere alle generazioni successive), questo potrebbe farci capire che l'accoppiamento poteva avvenire prevalentemente tra maschi Neanderthal e donne Sapiens, forse anche tra i sessi opposti ma in percentuale minore. Quindi da qui capiamo il punto centrale del discorso: l'inbreeding tra le due popolazioni era molto basso. Cioè, non c'era un continuo incrocio tra le due specie e viene stimato che in un arco temporale di 10.000 anni siano avvenuti appena 200-400 eventi di ibreeding.
Introgressione: Come detto poc'anzi, queste due specie si sono sporadicamente accoppiate, questo perché potrebbero esserci state delle barriere riproduttive (come anche la distanza genetica tra le due popolazioni) che hanno limitato gli accoppiamenti. Quei pochi e rarissimi ibridi che nascevano, se fertili, si riproducevano con uno dei due parentali (non con il genitore, sia chiaro, ma con un altro individuo 'non ibrido' appartenente al lignaggio Sapiens o Neanderthal). Quindi, le popolazioni non si 'mischiavano' e non diventavano omogenee a livello genetico, ma un ibrido riaccoppiandosi con un parentale permetteva di "rubare" i geni dell'altra popolazione. Bene, grazie a questo fenomeno è stato possibile ‘rubare’ alcuni geni neanderthaliani (quel famoso 1-3% presente nelle popolazioni Eurasiatiche, e in percentuale minore anche in popolazioni africane): alcuni di questi hanno svolto un ruolo fenomenale per la nostra sopravvivenza, infatti ci hanno permesso di sopravvivere al freddo o a certi virus; altri ci espongono maggiormente a certe malattie (alcune ereditate proprio dal Neanderthal) come Lupus, Diabete di tipo II, il morbo di Dupuytren, ecc.
Fonti:
Mathias Currat and Laurent Excoffier, Strong reproductive isolation between humans and Neanderthals inferred from observed patterns of introgression. Edited by Svante Pääbo, Max Planck Institute of Evolutionary Anthropology, Leipzig, Germany, and approved August 3, 2011 (received for review May 10, 2011), September 12, 2011, 108(37), 15129-15134.
Armando G. M. Neves and Maurizio Serva, "Extremely Rare Interbreeding Events Can Explain Neanderthal DNA in Living Humans." Published: October 24, 2012.

 Stiamo perdendo i nostri geni neanderthaliani?

"Ormai sappiamo, attraverso una miriade di ricerche, morte e miracoli sugli accoppiamenti Neanderthal-Sapiens, come per esempio che i primi accoppiamenti che produssero prole fertile risalgono a circa 250.000 anni fa. Il problema è che si trattava comunque di specie diverse, come indicato dal DNA mitocondriale, poiché i pochi accoppiamenti che generavano prole fertile furono rari e quegli ibridi non si accoppiarono con successo con entrambe le specie, permettendo a ciascuna di esse di acquisire geni dall'altra. Vediamo brevemente i due eventi biologici che hanno caratterizzato questo accoppiamento interspecifico:"
Inincrocio o inbreeding: Con questo termine si indica l'incrocio tra individui strettamente imparentati o consanguinei, e qui si verifica il primo "problema" per chi vuole considerare il Neanderthal come una nostra sottospecie: il DNA mitocondriale delle due specie indica che non c'è stato praticamente alcun incrocio, mentre il DNA nucleare sì. Pertanto, considerando che il DNA mitocondriale viene trasmesso solo dalla madre ai figli (e le figlie a loro volta possono trasmetterlo alle generazioni successive), questo potrebbe farci comprendere che gli accoppiamenti potevano avvenire prevalentemente tra maschi Neanderthal e donne Sapiens, forse anche tra i sessi opposti ma in percentuale minore. Da qui comprendiamo il punto centrale del discorso: l'inincrocio tra le due popolazioni era molto basso. Cioè, non c'era un continuo incrocio tra le due specie e si stima che in un arco temporale di 10.000 anni siano avvenuti appena 200-400 eventi di inincrocio."
Introgressione: Come menzionato precedentemente, queste due specie si sono sporadicamente accoppiate. Ciò è dovuto alla presenza di barriere riproduttive, come la distanza genetica tra le due popolazioni, che hanno limitato gli accoppiamenti. Quei rari ibridi che nascevano, se fertili, si riproducevano con uno dei due genitori, non (necessariamente) con il genitore stesso, ma con un individuo non ibrido appartenente al lignaggio Sapiens o Neanderthal. Quindi, le popolazioni non si mescolavano e non diventavano omogenee a livello genetico, ma un ibrido, riaccoppiandosi con un genitore, permetteva di "rubare" i geni dell'altra popolazione. Grazie a questo fenomeno è stato possibile acquisire ed incorporare alcuni geni neanderthaliani (quell'1-3% famoso nelle popolazioni Eurasiatiche e in misura minore anche nelle popolazioni africane). Alcuni di questi geni hanno svolto un ruolo fondamentale per la nostra sopravvivenza, consentendoci di adattarci al freddo o di resistere a certi virus, mentre altri aumentano il rischio di alcune malattie (alcune ereditate proprio dal Neanderthal), come il Lupus, il Diabete di tipo II, il morbo di Dupuytren, e così via.
I fortuiti accoppiamenti tra Neanderthal e Sapiens erano relativamente rari, e con l'estinzione del Neanderthal non ci sono stati più incroci tra le due specie. Tuttavia, ciò ha permesso agli attuali umani di origine eurasiatica di conservare circa l'1-3% di geni neanderthaliani, suggerendo precedentemente una sorta di diluizione genetica nel corso del tempo. Si è pensato che, come per altri geni selezionati negativamente, i geni acquisiti nel corso del tempo andassero in parte persi. Tuttavia, una ricerca condotta nel 2019, alla quale ha partecipato il rinomato Svante Pabo, ha indicato che il DNA neanderthaliano ereditato non sta diminuendo nel corso del tempo, ma è rimasto stabile. A conferma di ciò, uno studio del 2023 sul morbo di Dupuytren ha mostrato che la distribuzione dei geni neanderthaliani non è del tutto casuale in Nord Europa, poiché questa malattia è diffusa in quest'area. Ciò suggerisce che i geni legati al morbo di Dupuytren possano essere considerati una caratteristica regionale. Si ipotizza che l'antico ceppo di Sapiens che migrò in queste terre sia stato caratterizzato da un certo isolamento, almeno per un certo periodo, che potrebbe aver favorito l'aumento della frequenza di questa malattia e dei geni neanderthaliani ad essa associati. Questo potrebbe spiegare perché circa il 30% dei norvegesi, dopo i 60 anni, presenti questa malattia.
Tornando alla ricerca in questione, non sembra che la percentuale di geni neanderthaliani sia significativamente diversa rispetto al Sapiens vissuto circa 45.000 anni fa. Questo perché molti di questi geni ci forniscono una protezione contro patogeni o ci hanno aiutato a sopravvivere in ambienti estremi. Pertanto, se certi geni sono vantaggiosi, non è probabile che vengano eliminati, così come non sarebbero persi altri geni dannosi, che sono comunque presenti in minor quantità. I geni non vengono trasmessi singolarmente ma come una sorta di “pacchetto”. Invece di essere gradualmente eliminati attraverso una selezione negativa, i geni acquisiti tramite il processo di introgressione sembrano essere stati mantenuti nel corso del tempo. Questo perché l'introgressione è un fenomeno comune in natura e gli individui “introgressi” mostrano un alto carico di mutazioni dannose nelle prime generazioni.
Tuttavia, prima che la selezione negativa potesse agire, un altro fenomeno deve essere intervenuto. Sapete quale? La miscelanza tra le popolazioni africane e non africane che, accoppiandosi, ha contribuito a mantenere stabile nel tempo la percentuale di geni, sia positivi che negativi/deleteri. Ciò suggerisce che se la nostra specie avesse subito i processi evolutivi che comportano la perdita di geni, come la deriva genetica o l'effetto fondatore, potremmo oggi avere una percentuale inferiore di DNA neanderthaliano, o addirittura averlo perso completamente.
Mathias Currat and Laurent Excoffier. "Strong reproductive isolation between humans and Neanderthals inferred from observed patterns of introgression." Edited by Svante Pääbo. Max Planck Institute of Evolutionary Anthropology, Leipzig, Germany. Approved August 3, 2011 (received for review May 10, 2011). September 12, 2011. Proceedings of the National Academy of Sciences, 108(37), 15129-15134.
Armando G. M. Neves and Maurizio Serva. "Extremely Rare Interbreeding Events Can Explain Neanderthal DNA in Living Humans." Published: October 24, 2012.
Richard Ågren, Snehal Patil, Xiang Zhou, FinnGen, Kristoffer Sahlholm, Svante Pääbo, Hugo Zeberg. "Major Genetic Risk Factors for Dupuytren's Disease Are Inherited From Neandertals." Molecular Biology and Evolution, Volume 40, Issue 6, June 2023, msad130.
Martin Petr, Svante Pääbo, Janet Kelso, and Benjamin Vernot. "Limits of long-term selection against Neandertal introgression." January 15, 2019. Proceedings of the National Academy of Sciences, 116(5), 1639-1644.

𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 e l'Uomo di Denisova erano meno sensibili agli odori rispetto alla nostra specie?

Dal punto di vista anatomico la nostra specie e quella neanderthaliana differiscono molto e, se entriamo un pochino nei dettagli, si capisce che i 'famosi' 5 sensi (non sono proprio 5, ma questo è un altro discorso), come per esempio l'udito (vi allego nei commenti un vecchio post), differivano da specie a specie (in questo caso da gruppo a gruppo visto che tiriamo in ballo anche il Denisova di cui conosciamo perfettamente solo il genoma).
Beh, ora si aggiunge un'altra differenza legata all'olfatto e, a quanto pare, la specie neanderthaliana sarebbe stata meno sensibile agli odori e ciò sarebbe dovuto alla progressiva radiazione geografica della nostra specie.
Entriamo un pochino nei dettagli.
Gli autori hanno studiato circa 30 geni legati ai recettori olfattivi del nostro genere e ciò che ne consegue è che, l'adattamento geografico dei cosiddetti 'esseri umani anatomicamente moderni' (ci si riferisce a tutti quegli individui antichi di 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨 che presentano morfologie simili agli individui odierni), ha permesso lo sviluppo di notevoli capacità olfattive.
Insomma, i recettori olfattivi del genere 𝙃𝙤𝙢𝙤 presentano una grande variabilità. Questo in natura non è una situazione così anomala in quanto, gruppi diversi di mammiferi, presentano diversi recettori olfattivi che permettono di occupare nicchie alimentari diverse (anche perché sono adibiti alla ricezione degli odori alimentari).
𝙃. 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨, 𝙃. 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨 e Denisova (che ricordo, non è una specie), si sono adattati in modo indipendente ad un'ampia gamma di ambienti geografici e, in sostanza, agli odori alimentari associati ad essi. Come detto prima, sono state studiate antiche sequenze di DNA e sono stati analizzati, in vitro, circa una 30ina di geni legati ai recettori dell'odore del genere 𝙃𝙤𝙢𝙤.
Neanderthaliani e Denisova presentavano una sequenza del recettore olfattiva altamente conservata (non è cambiata molto nel corso del tempo), mentre nella nostra specie il discorso cambia in quanto ci sono state variazioni nella sequenza e nella struttura delle proteine del recettore dell'odore. Ciò si traduce con una sensibilità maggiore nella ricezione e nella percezione dell'odore..
Le varianti, quindi, hanno apportato cambiamenti minimi per ciò che concerne la funzionalità dei recettori dell'odore, ma questi piccoli cambiamenti ci hanno resi...un po' più sensibili a certi odori.
Vediamo assieme alcuni punti:
-In 𝙃. 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 sono state rinvenute poche 'varianti' che in qualche modo disturbavano la sensibilità a certi odori. Infatti, le varianti neanderthaliane hanno mostrato una minore efficacia (di circa 3 volte rispetto alla nostra specie) per quanto riguarda la ricezione di odori di spezie piccanti, vegetali e floreali. Con molta probabilità, i bulbi olfattivi erano più piccoli rispetto a quelli della nostra specie;
- il Denisova presenta una condizione simile a quella neanderthaliana, ma era molto sensibile agli odori sulfurei e dolci (per esempio, a quelli del miele).
Insomma, la geografia ha svolto un ruolo fondamentale in questa storia in quanto, nelle varie popolazioni umane, sono comparsi geni diversi che in certi contesti sono risultati essere vantaggiosi. E se si tratta di popolazioni numerose, come quelle legate alla nostra specie, la possibilità che possano comparire geni diversi (e varianti diverse) diventa un po' più alta. Se poi ci mettiamo di mezzo vari meccanismi evolutivi, come la Selezione Naturale, che setacciano questi geni già comparsi precedentemente, potete ben capire che una specie come la nostra ha buone probabilità di presentare adattamenti diversi legati al contesto geografico. Insomma, la variabilità dei recettori olfattivi nella nostra specie è probabilmente dovuta ad un processo perlopiù casuale di deriva genetica (di isolamento).
Per concludere, possiamo tranquillamente dire che l'olfatto, e i tratti genetico-morfologici legati ad esso, ci permettono di capire a quale tipo di ambiente fosse adattata una certa specie.

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L'1 Marzo 2021 venne pubblicata una scoperta eccezionale: i Neanderthal sentivano e probabilmente parlavano come i moderni Sapiens. Piano piano che si va avanti con le ricerche, si abbandona sempre di più l'idea che il Neanderthal fosse un tamarro(no, non il dinosauro scoperto lo scorso anno in Spagna), ignorante e stupido. Ma andiamo nel dettaglio.
La comunicazione intraspecifica degli ominini è un oggetto di studio molto importante perché sono animali sociali, quindi si studia la comunicazione che è correlata ai vocalizzi. Lo studio dei fossili, come ben sapete, possono risultare incompleti perché non tutto il corpo dell'organismo si fossilizza, quindi l'idea comune era che il Neanderthal non sentisse, o parlasse come il cugino Homo sapiens. Anche perché qualche studio più approfondito è stato fatto sui primi ominini e quelli del pleistocene, e il risultato era "weeh figa, noi Sapiens ci sentiamo meglio1!!1!.
Sono stati fatti studi più approfonditi attraverso le scansioni tomografiche e modelli di bioingegneria uditiva, ed è stato possibile studiare la trasmissione della potenza sonora attraverso l'orecchio esterno e medio, calcolando la larghezza di banda nei Neanderthal. Il risultato? La larghezza di banda risulta essere maggiore negli ominini di Sima de los Huesos, in Spagna, molto simile a quella degli odierni umani. Quindi, la capacità uditiva supportava anche un sistema vocale efficiente quanto il linguaggio umano moderno.

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"Che naso che hai! Sembra quello di un Neanderthal"
"Di cosa dovrei lamentarmi? È un adattamento ai climi artici"
Se qualcuno è stato preso in giro per il naso, deve sicuramente ricevere delle scuse. A parte gli scherzi, questa notizia "nasale", pubblicata qualche giorno fa, è molto affascinante in quanto scopriamo che anche altri caratteri sono influenzati dai pochi (pochissimi) geni neanderthaliani che abbiamo ereditato casualmente attraverso svariati processi, come quello dell'introgressione. Abbiamo ereditato la capacità di resistere al freddo, ma abbiamo anche ereditato predisposizione a malattie come la Covid-19, Lupus e Diabete di tipo II. Almeno in questo caso, un naso 'neanderthaliano' non comporta grosse problematiche, ma ci permette di conoscere un particolare adattamento tipico di questa fantastica specie.
Esiste, quindi, un particolare gene che modula la posizione del nostro naso. Possiamo dire, in parole povere, che questo gene porta a un naso "più alto". Sono state studiate varie regioni del genoma di popolazioni latinoamericane, ed è stata scoperta una nuova regione denominata 1q32.3 che mostra, appunto, segni di introgressione tra la nostra specie e quella neanderthaliana.
Breve appunto sull'introgressione
Le specie 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨 e 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨, come indicano i dati genetici, si sono sporadicamente accoppiate, questo perché potrebbero esserci state delle barriere riproduttive (come anche la distanza genetica tra le due popolazioni) che hanno limitato gli accoppiamenti. Quei pochi e rarissimi ibridi che nascevano, se fertili, si riproducevano con uno dei due parentali. Quindi, le popolazioni non si 'mischiavano' e non diventavano omogenee, ma un ibrido riaccoppiandosi con un parentale permetteva di "rubare" i geni dell'altra popolazione.
In conclusione, questa nuova regione è omologa a quella dei topi che influenza la morfologia cranionasale.
Questo carattere è stato selezionato dal meccanismo evolutivo della Selezione Naturale, ed è un adattamento a climi freddi, tipico delle popolazioni del genere 𝙃𝙤𝙢𝙤 che vissero, comparvero e si svilupparono fuori dall'Africa.
Come può un naso permettere un adattamento a climi artici?
Un naso 'neanderthaliano' permetteva (permette) di scaldare e umidificare l'aria gelida inalata, ed è un adattamento simile a quello degli inuit (evolutosi indipendentemente da quello neanderthaliano. Ah, che belle le convergenze evolutive!).
Tutto questo è reso possibile dalla struttura interna del naso che facilita il riscaldamento e l'umidificazione dell'aria prima che questa arrivi ai polmoni. Infatti, nella specie 𝙃. 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨, il tessuto molle del naso indica che questa struttura permetteva un rapido riscaldamento e umidificazione dell'aria, grazie proprio alla lunga permanenza della stessa. Diciamo che l'aria non arrivava direttamente ai polmoni, ma faceva qualche giretto all'interno della struttura nasale.

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