lunedì 4 dicembre 2023

Ominini (Prob. Homo)

I capelli lunghi? Un adattamento ad ambienti assolati e caldi (ancora meglio se sono ricci)
Se portate i capelli lunghi, come me, e la gente continua a dirvi "perché non ti tagli i capelli", voi potete citare con tutta serenità questo studio.
I capelli sono una caratteristica unica del nostro genere, assente in tantissimi altri primati e svolgono molteplici funzioni: proteggono dal sole, trattengono il calore e come una "coda del pavone" possono fungere da 'richiamo sessuale' (qui entriamo nel mondo della Selezione Sessuale, che è meglio mettere da parte).
Una ricerca recente, che potete trovare nei commenti, afferma che una crespa/riccia e folta chioma parrebbe essere un adattamento degli ominini, in quanto svolgono una funzione termoregolativa in ambienti caldi e assolati.
In mezzo a svariati ed indipendenti cambiamenti che hanno caratterizzato la storia del nostro genere, e degli ominini in generale, l'evoluzione del cuoio capelluto parrebbe essere legata alla postura bipede e ad un corpo relativamente glabro (comunque pieno di peli, ma non più così folti).
Infatti, sono stati selezionati individui che possedevano dei veri e propri capelli in quanto questa "particolare peluria", assieme al cuoio capelluto, ridurrebbero (e riducono) al minimo l'aumento del calore dovuto alla radiazione solare. Insomma, la postura bipede ha messo in evidenza e "sotto al sole" i grandi crani tipici del nostro genere, e gli individui che presentavano una capigliatura folta e riccia (è un carattere tipico delle popolazioni africane di 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨) avevano buonissime possibilità di sopravvivenza in certi contesti, come quelli africani (da cui si è originato, appunto, il nostro genere).
𝘼𝙥𝙥𝙧𝙤𝙛𝙤𝙣𝙙𝙞𝙢𝙚𝙣𝙩𝙤
Per lo studio, sono stati utilizzati manichini termici e parrucche di capelli che sono stati sottoposti a diverse velocità del vento, e a diverse temperature (e umidità) per capire se l'ipotesi della termoregolazione fosse plausibile o meno.
In effetti, i risultati sono stati positivi in quanto i capelli folti forniscono una protezione al cuoio capelluto stesso, riducono l'aumento del calore dovuto alle radiazioni solari e quelli con una morfologia 'arricciata' forniscono una protezione più efficace per il cuoio capelluto contro le radiazioni solari.
I capelli sono estremamente variabili all'interno della popolazione dell'𝙃. 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨, e fino ad ora la varietà morfologica non è mai stata studiata dal punto di vista evoluzionistico.
Il massimo potenziale di perdita di calore per evaporazione dal cuoio capelluto è ridotto dalla presenza di capelli, ma la quantità di sudore richiesta sul cuoio capelluto per bilanciare il calore solare in entrata (cioè guadagno di calore pari a zero) è ridotta in presenza di capelli.
In particolare, i capelli più arricciati offrono una maggiore protezione contro l'aumento di calore dovuto alla radiazione solare, ma al momento non si sa bene perché (e forse lo sapremo in futuro).
Come detto prima, le pressioni selettive evolutive hanno modellato la nostra specie. Il bipedismo, l'encefalizzazione e la perdita di peli folti sul corpo sono i tratti di primo interesse nello studio dell'evoluzione degli ominini e e del nostro genere.
Con la comparsa (circa 2 milioni di anni fa) di una locomozione bipede obbligata, assieme (e in modo indipendente) allo sviluppo di un grosso cranio (legato ad una riduzione di certe componenti craniche e muscolari), ha significato per il nostro lignaggio un un maggiore costo per quanto riguarda il 'surriscaldamento' del nostro corpo, dovuto alla produzione metabolica di calore associata alla locomozione.
In pratica, i nostri antenati erano una sorta di stufetta ambulante con un corpo pronto a surriscaldarsi subito dopo camminata, e a quel tempo come ben sapete hanno incominciato a colonizzare un po' tutte le terre possibili. Quindi, la sudorazione si è rivelata sempre una buonissima soluzione per abbassare la temperatura corporea, in quanto i peli non più folti (organo vestigiale) non svolgono più un ruolo termoregolativo. È un sistema altamente efficace che non è privo di costi, in quanto aumenta la necessità di reintegrazione di liquidi, e quindi se si perde molta acqua si rischia la disidratazione.
Quindi, per un ominino con un grosso cranio (encefalizzato), che comporta comunque un costo in termini di calorie, avere una capigliatura folta (e riccia) significa avere un'arma in più per proteggersi dall'aumento del calore, senza rischiare un'immediata disidratazione.
Gli uomini calvi sudano "in testa" tre volte in più rispetto ad una persona con i capelli lunghi, ma c'è anche da dire che il tasso di sudorazione cambia in base alla lunghezza e alla morfologia del capello. Le persone con i capelli più corti (5 mm) perdono calore più velocemente rispetto a chi possiede una capigliatura lunga 100-130 mm.
E i capelli arricciati, che sono comuni in molte popolazioni africane, parrebbero essere un fenotipo vantaggioso nel ridurre'aumento di calore dovuto alla luce solare, ma al momento non si sa perché.
Il modello osservato per quanto riguarda il guadagno di calore (decrescente) è questo:
Testa "nuda" - capelli lisci -capelli moderatamente ricci- capelli ricci.
Quante volte l’uomo ha rischiato di estinguersi?
Questo è un argomento affascinante in quanto il genere 𝙃𝙤𝙢𝙤, oltre ad essersi diffuso in tutto il mondo, ha rischiato più volte l’estinzione, con la popolazione che si è ridotta ripetutamente nel corso della storia. Già di per sé, per i sostenitori (ahimé) delle razze, che ricordo essere un concetto zootecnico indicante organismi selezionati artificialmente e erroneamente usato come sinonimo di sottospecie, l'idea della non esistenza di più sottospecie non è una notizia positiva.
Infatti, questi fenomeni che hanno quasi portato all’estinzione il genere umano hanno ridotto il numero di individui umani e, di conseguenza, hanno causato una diminuzione della variabilità genetica. Questo, attraverso i meccanismi evolutivi noti come "effetto fondatore" e "collo di bottiglia", ha comportato la perdita di geni e di alleli, e l’aumento di frequenza di quelli rimasti. Il più delle volte, ciò ha portato anche all'aumento di geni e/o alleli deleteri che possono mettere a rischio l'estinzione della popolazione in questione. Tuttavia, tutto sommato, possiamo dire che al nostro genere è andata più che bene.
Per esempio, circa 70.000 anni fa, la riduzione di 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨 avvenne “grazie” all’eruzione della caldera del Lago Toba, che comportò una riduzione di un numero massimo di 10.000 individui (minimo 2000) in tutto il mondo. Oppure, è stato stimato che i sapiens che si spinsero fuori dall’Africa tra i 100.000 e i 45.000 anni fa fossero circa 30.000.
Tra i 930.000 e i 813.000 anni fa, in tutto il mondo erano presenti circa 1300 individui di 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙚𝙧𝙚𝙘𝙩𝙪𝙨, e solo 1280 di questi erano riproduttivi. Questo numero esiguo indica che la popolazione umana è stata sull’orlo dell’estinzione. Tali informazioni sono state rese possibili grazie a uno strumento di calcolo che ha permesso di quantificare l’andamento delle popolazioni umane nel corso del tempo. Questa ”quasi estinzione” è avvenuta in concomitanza di grandi cambiamenti climatici, inclusa una grave siccità che ha portato all’estinzione una moltitudine di mammiferi. Questo impatto è stato sia diretto, come nel caso degli esseri umani, sia indiretto, poiché tali mammiferi erano utilizzati come fonte di cibo proprio dagli esseri umani.
Il modello matematico ha permesso di comprendere quando certi geni sono apparsi nel genoma umano, grazie all'analisi delle sequenze del genoma completo di 3154 persone viventi provenienti da 50 popolazioni umane, di cui 10 africane. Utilizzando la tecnica dell’orologio Molecolare, è stato possibile determinare quando un certo gene è emerso e quanto tempo è trascorso da allora. È importante notare che più tempo è trascorso dalla comparsa di un gene, maggiori sono le varianti presenti nelle popolazioni discendenti da un antenato comune.
Come accennato in precedenza, la drastica riduzione della popolazione ha portato al fenomeno noto come “collo di bottiglia”. Questo evento, che ha causato la perdita di circa il 98,7% degli esseri umani (circa 100.000 individui), ha comportato una significativa diminuzione della variabilità genetica. Per circa 650.000 anni, la popolazione umana è rimasta pressoché stabile. Solo dopo questo periodo, la popolazione ha iniziato a crescere, con i fossili attribuiti ad 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙝𝙚𝙞𝙙𝙚𝙡𝙗𝙚𝙧𝙜𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨, l'antenato comune di Sapiens, Neanderthal e Denisova, che indicano questa fase di espansione demografica. Tuttavia, ciò ha portato a un problema significativo. La presenza di un numero così limitato di individui umani ha comportato un basso numero di fossili rinvenuti. Questa scarsità di fossili riflette la realtà statistica della ridotta popolazione umana dell'epoca.
È importante comprendere che evoluzione non è sinonimo di miglioramento o di adattamento, ma piuttosto un cambiamento nel tempo, che sia esso positivo o negativo. Quando si verificano eventi evolutivi come il “collo di bottiglia” o la Deriva Genetica, è impossibile prevedere quali geni saranno persi e quali aumenteranno di frequenza. In tal contesto, i geni o le loro varianti che sopravvivono possono avere avuto un impatto positivo, contribuendo probabilmente alla comparsa di 𝙃. 𝙝𝙚𝙞𝙙𝙚𝙡𝙗𝙚𝙧𝙜𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨.
Wangjie Hu et al. ,Genomic inference of a severe human bottleneck during the Early to Middle Pleistocene transition.Science381,979-984(2023).

 La gola di Olduva ci ha restituito in questi anni un gran numero di fossili "umani" e di materiale paletnologico, ed è proprio qui che si aggiunge un altro tassello che potrebbe avere in futuro un risvolto interessante: i primi umani potrebbero aver vissuto nei pressi di sorgenti idrotermali, ed utilizzato le stesse per "cuocere" il cibo.

Non dovrebbe essere sconvolgente di per sé una notizia del genere perché ci sono molti primati che vivono nei pressi di sorgenti termali, come accade in Giappone con i macachi locali (Macaca fuscata) che, letteralmente, si tuffano in queste sorgenti con lo scopo di riscaldarsi e ripararsi dalle temperature invernali locali.  

Qui la situazione è leggermente diversa perché ci troviamo in Africa e le sorgenti termali avrebbero potuto giocare un ruolo leggermente diverso: in primis avrebbero potuto offrire una sorta di riparo nei pressi di una fonte d'acqua, ed in secondo luogo avrebbero potuto offrire la possibilità di cuocere i cibi, ben prima che il fuoco incominciasse ad essere "addomesticato".

Il primo indizio lo fornisce uno studio microbico su sedimenti antichi circa 1,7-1,8 milioni di anni fa ed alcuni di questi erano un po' più scuri di altri indicando, come accade anche in sedimenti recenti, un cambiamento ambientale avvenuto in quell'arco temporale. Tracce fossili di lipidi di piante e microbi indicano la presenza di un ambiente "a mosaico" ricco di biodiversità, di sorgenti idriche e di risorse vegetali, il tutto dovuto probabilmente ad una graduale aridificazione che ha comportato un passaggio da un clima più umido e popolato di alberi ad un terreno più secco ed erboso (savana). 

Sono stati rinvenute tracce di lipidi prodotti da un batterio moderno conosciuto come Thermocrinis ruber, ed è quello che più ha incuriosito i ricercatori perché si tratta di un batterio ipertermofilo che prospera solo in acque molto calde, come quelle che si trovano nei canali di deflusso delle sorgenti termali bollenti. Ma, a livello geologico, sarebbe stata possibile la presenza di una simile sorgente? E' una regione tettonica molto attiva da cui si sono generati tanti vulcani nel corso del tempo, quindi attività legate al cosiddetto "vulcanesimo secondario" quali le sorgenti termali, non sarebbe stato assolutamente così anomalo.

La presenza anche di reperti paletnologici nei pressi di queste possibili sorgenti portano i ricercatori a pensare che questi antichi umani abbiano potuto utilizzare queste sorgenti anche per cuocere (o bollire, in questo caso) la carne o altri alimenti. Di certo non possiamo dire se fosse una pratica comune, o se abbiano mai fatto una cosa del genere, anche perché avrebbero potuto tranquillamente raccogliere i resti caduti in queste sorgenti senza bisogno di fare nulla, ma per ricerche future basterà tenere in considerazione i dati raccolti (come la presenza di certi lipidi) per capire se gli umani sfruttassero maggiormente condizioni ambientali simili, o se si tratta di "una tantum" relativa solo alla Gola di Olduvai. 


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Umani e iene (giganti), probabilmente, erano in competizione per le carcasse. In questo interessante studio, emerge che circa 1 milione di anni fa esisteva, potenzialmente, una competizione per il dominio delle carcasse tra gli esseri umani e altri grandi predatori, come le iene giganti. La caccia 'attiva', con strumenti complessi, ancora non caratterizzava le vite di questi antichi umani e, come suggeriscono i ricercatori di questo studio, un cacciatore di successo nel regno animale è anche uno spazzino.

Questa pratica non era sconosciuta agli antichi umani in quanto sarebbero sopravvissuti, in parte, nutrendosi anche di carcasse abbandonate da grandi felidi, o comunque da grandi predatori. "L'unione fa la forza", e in questo contesto ci azzecca benissimo proprio perché, per avere qualche chance questi antichi umani, dovevano unirsi in gruppo per proteggere e difendere il loro "bottino", anche e soprattutto dalle iene giganti (𝙋𝙖𝙘𝙝𝙮𝙘𝙧𝙤𝙘𝙪𝙩𝙖 𝙗𝙧𝙚𝙫𝙞𝙧𝙤𝙨𝙩𝙧𝙞𝙨). Le iene, come ben sappiamo, sono ottime cacciatrici ma non disdegnano ogni tanto un pasto "facile".
Sono state svolte una miriade di simulazioni al computer, con lo scopo di capire se lo scavenging (di routine) fosse una strategia di successo tra questi antichi esseri umani. In primo luogo, i ricercatori cercano di far capire che anche questa pratica è a tutti gli effetti una pratica tipica dei predatori, molto diffusa nel regno animale. Esiste questa sorta di diatriba anche per quanto riguarda le abitudini del predatore per eccellenza, almeno nella cultura popolare, ossia di 𝙏𝙮𝙧𝙖𝙣𝙣𝙤𝙨𝙖𝙪𝙧𝙪𝙨 𝙧𝙚𝙭. Infatti, per alcuni è impensabile che un bestione con uno dei morsi più potenti nel regno animale, possa nutrirsi di carcasse.
Quindi, prima di continuare con il testo, vi pongo questa domanda: è meglio nutrirsi "facilmente" senza sprecare troppe energie, oppure spenderne molte per cacciare (con la consapevolezza che non tutti i colpi andranno a segno)?
Comunque, nutrirsi di carogne è una sorta di "flessibilità comportamentale" che ha caratterizzato anche la storia degli ominini. Sono stati considerati per questo studio predatori al top della catena alimentare, come "le tigri dai denti a sciabola" (𝙈𝙚𝙜𝙖𝙣𝙩𝙚𝙧𝙚𝙤𝙣 in questo caso) che solevano nutrirsi di antilopi, rinoceronti lanosti, o comunque pasti nutrienti.
La domanda è: gli ominini sono stati in grado di trarre vantaggio da azioni del genere?
Avrebbero potuto superare altri animali spazzini come la iena gigante?
Ritorniamo alla simulazione. Sono stati costruiti dei modelli che hanno simulato le condizioni ecologiche e le varie competizioni tra varie specie durante il Pleistocene Superiore nella Penisola Iberica Settentrionale (tra Portogallo e Spagna, per intenderci). E' stata stimata in primis la quantità di carne e grasso lasciata sulle carcasse dai grandi felidi, come 𝙈𝙚𝙜𝙖𝙣𝙩𝙚𝙧𝙚𝙤𝙣. I ricercatori hanno provato ad ipotizzare che, se questo genere di animali avesse cacciato una preda a settimana, avrebbe consumato solo 1/3 dell'energia disponibile per via dei suoi denti conici, lasciando il resto a spazzini opportunisti.
Bene, abbiamo un po' di carne disponibile, e da qui in poi sono stati inseriti ominini e iene giganti nella simulazione, stimando sia i costi energetici che il possibile dispendio di energia dovuto alla caccia attiva, tenendo conto del numero delle popolazioni di prede e predatori che hanno determinato il numero di carcasse disponibili.
In generale, quando erano presenti pochi felidi dai denti a sciabola, gli ominini non riuscivano spesso a procurarsi abbastanza carcasse per sopravvivere (magari integrando con la caccia "attiva") mentre, per quanto riguarda le iene giganti, sopravvivevano solo pochi individui.
Siamo abituati ad associare la caccia ad utensili complessi, ma con la simulazione si vuole dimostrare che questa pratica sia comparsa prima, accompagnata da altre pratiche integrative (come lo scavenging). I ricercatori sostengono che hanno solo cercato di dimostrare che gli umani avrebbero potuto svolgere questa pratica in determinate condizioni, non che fosse la normalità. Il fattore più importante, in aiuto di questa pratica (e viceversa) è la socialità, infatti gli esseri umani avrebbero potuto prendere il sopravvento sulle iene solo quando organizzati in grandi gruppi, così da respingere i concorrenti.
Vediamo brevemente i risultati:
-è stato stabilito che un grupo composto da almeno 5 individui, avrebbero potuto scacciare le iene giganti (in genere solitarie);
-un gruppo minore di 5 individui, le popolazioni di iene prendevano il sopravvento;
-se il numero di predatori era elevato, la disponibilità di carcasse era maggiore e quindi gruppi umani composti da meno di 5 individui erano comunque in grado di nutrirsi di carcasse;
-quando gli ominini si unirono in gruppi composti da più di 5 individui (fino a 13), le popolazioni di iene diminuirono (con la sopravvivenza, comunque, delle stesse). Con un numero maggiore di 13, le simulazioni suggeriscono che la disponibilità di carne diminuiva, ed un gruppo così corposo era capace di prevalere, in modo assoluto, sulle popolazioni delle iene (quindi, essere un gruppo così numeroso, comportava certi vantaggi non di poco conto).
Insomma, la cooperazione in questi casi avrebbe potuto svolgere un ruolo fondamentale per la "caccia alle carogne", ma qui i ricercatori mettono in evidenza come questa pratica sia complessa quanto la caccia attiva. La cooperazione era necessaria per scacciare la iena gigante e, allo stesso tempo, lo scavengign, avrebbe promosso (in parte) l'organizzazione sociale. Infatti, se 𝙃𝙤𝙢𝙤𝙩𝙝𝙚𝙧𝙞𝙪𝙢 (utilizzato nelle simulazioni) se non fosse stato un animale solitario, come suggeriscono alcuni scienziati, i gruppi di questi grandi predatori avrebbero potuto lasciare poca carne sulle ossa per gli spazzini. Del resto, è ciò che accade anche alle iene moderne: lo scavenging è un fenomeno parallelo alla caccia, e questi animali utilizzano la tecnica più efficace in base alla situazione.
Così anche 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙚𝙧𝙚𝙘𝙩𝙪𝙨 erano opportunisti, cacciatori e onnivori. Quindi, erano in grado di cacciare ma anche di organizzarsi in gruppo per "conquistare" una carcassa, e questo fino a quando gli umani in generale non sono stati in grado di "potenziare" sia l'arsenale in loro possesso, di affinare tecniche di caccia, di raccogliere verdure o di "sfornare" qualche prodotto a base di vegetali. Insomma, bisogna abbandonare l'idea che l'attività di spazzino sia una pratica poco complessa in quanto avrebbe potuto richiedere comportamenti, comunicazioni piuttosto complesse e sofisticate capacità cognitive non di poco conto. Insomma, è meglio che qualcuno "uccida per te" che correre rischi durante la caccia.

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 La più antica struttura 'umana' in legno mai scoperta è datata 476.000 anni circa

Beh, che dire, questa è una scoperta straordinaria in quanto l'utilizzo del legno, e la modellazione di questa materiale, è sempre stata associata a specie derivate (più "giovani") come la nostra o come quella de nostro beneamato 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨, ma a quanto pare questa pratica è ben più antica di quanto ipotizzato e studiato finora.
Si tratta di una struttura in legno antica 476.000 anni circa e rinvenuta in Zambia, ed è stata costruita da ominini antichi non meglio definiti anche se l'indiziato numero 1 è 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙝𝙚𝙞𝙙𝙚𝙡𝙗𝙚𝙧𝙜𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨, l'antenato comune tra le due specie citate prima.
Una scoperta del genere indica come certe pratiche, come la cottura intenzionale o la pesca, sono comparse ben prima nel record geologico e che l'evoluzione culturale non è stata caratterizzata solo dal modo di scheggiare la pietra per un certo periodo, ma abbraccia molte "culture parallele" che si sono sviluppate con l'acquisizione di nuove tecniche e conoscenze durante il Paleolitico inferiore (2,6 milioni di anni fa- 300 Mila anni fa circa).
In primis, la fossilizzazione di materiale che si degrada facilmente rende questa coperta eccezionale, infatti il materiale è stato rinvenuto in sedimenti nei pressi del fiume Kalambo impregnati in acqua. In generale, l'acqua potrebbe trasportare od ospitare agenti degradatori quali batteri o altri microrganismi, ma l'ambiente (per fortuna!) risulta essere acido ed anaerobico, una buonissima combinazione che non permette agli agenti demolitori di far piazza pulita del materiale degradabile.
in sostanza, si tratta di una serie di tronchi disposti in modo "non naturale", una struttura semplice ma allo stesso tempo molto elaborata che avrebbe potuto permettere il passaggio da una sponda ad un'altra del fiume, e ciò sarebbe molto interessante per capire anche se costruzioni del genere abbiano in qualche modo facilitato la migrazioni di specie umane da un contesto ambientale ad un'altro in questo periodo.
Altri ricercatori pensano, invece, che questa struttura possa essere stata utilizzata come una sorta di capanna su cui appoggiare una struttura simile ad una capanna (ed anche qui potremmo aprire un capitolo immenso per quanto riguarda l'Ecologia Umana), oppure fungeva da luogo dove accendere il fuoco o dove costruire utensili.
Alcuni tronchi sono raschiati e tagliati, altri due sono infilati e tenuti assieme trasversalmente con una tacca tagliata intenzionalmente a forma di "U" nella parte inferiore. In qualche modo sembra essere la prima struttura che va un po' oltre la semplice "semplice" lavorazione della pietra, e ciò permette di capire che il pensiero astratto caratterizzava gli ominini già da molto tempo e che fossero già in grado di trasformare e modellare il paesaggio.
Sono stati trovati anche altri strumenti come un ramo diviso con una tacca (una possibile trappola), un tronco tagliato e una sorta di cuneo. Comunque, questo potrebbe essere il primo esempio di "Fenotipo Esteso" nel lignaggio umano (trovate un articolo approfondito nei commenti) in quanto, questa struttura, potrebbe essere stata una sorta di estensione di un nido. Scimpanzé e gorilla costruiscono nidi con frasche e foglie, sia sugli alberi che a terra, l'equivalente di questa struttura che, però, utilizza materiale un po' più elaborato e "poco naturale"
Insomma, quello che si evince è che l'uomo non era in grado solo di modificare strutture in pietra (e l'ambiente) in modo "non casuale" (come la tecnica Levallois) già nel Paleolitico Inferiore, ma anche altri elementi come il legno.

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 In quali ambienti si sono adattati gli ominini negli ultimi 3 milioni di anni?

Questa recentissima ricerca, che potete trovare nei commenti, è molto interessante perché è un aspetto che si considera poco quando si parla di evoluzione umana: l’ambiente e il suo continuo mutamento.
La ricerca è abbastanza lunga, ma ho cercato di prendere i punti più importanti e, sostanzialmente, possiamo riassumere il tutto con questa frase:
“gli ominini, in particolar modo le specie del genere 𝙃𝙤𝙢𝙤, erano attrezzate per adattarsi a “paesaggi a mosaico”
I paesaggi a mosaico hanno caratterizzato e, in qualche modo, modellato l’evoluzione dell’uomo in quanto il Pleistocene è stato caratterizzato da continui mutamenti climatici che si riflettono sulla flora e fauna locale. In parole povere, non troviamo una sorta di ‘linearità’ ambientale (es. diminuiscono piano piano certe specie di alberi fino a non essere più presenti), ma troviamo diverse aree caratterizzate da più ambienti frammentati e che possono anche ripetersi.
Analizziamo un po’ punto per punto i risultati della ricerca.
Nel corso di 3 milioni di anni, l’habitat umano si è modificato nel corso del tempo (e con loro anche la flora e la fauna). Si sono avvicendati un po’ di avvenimenti chimico-fisici tali da modificare le condizioni climatiche e meteorologiche del pianeta (cicli di Milanković, gas serra ed effetti della calotta glaciale).
I primi ominini africani vissero prevalentemente in ambienti aperti (che si contraevano e si espandevano in tempi relativamente brevi), come le praterie caratterizzate da arbusti secchi, mentre in Africa Settentrionale troviamo aree relativamente desertiche. L’ampiezza del ciclo stagionale nell’emisfero settentrionale aumenta, portando ad un aumento delle precipitazioni estive espandendo, verso nord, le praterie, mentre il deserto del Sahara è caratterizzato una contrazione (a livello spaziale e geografico. In pratica si riduce). Questo è un fenomeno chiave in quanto ha permesso la creazione di ‘corridoi’ verdi supportando, così, le migrazioni di essere umani arcaici come 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙚𝙧𝙚𝙘𝙩𝙪𝙨, 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙝𝙚𝙞𝙙𝙚𝙡𝙗𝙚𝙧𝙜𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 e, successivamente, quelle dei primi individui dell’𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨 (i famosi ‘Out of Africa).
Insomma, questo per le specie umane si è trattata di una nuova sfida in quanto non avrebbero mai potuto conoscere i nuovi ambienti che avrebbero visitato negli anni successivi.
Riassumiamo gli eventi ambientali nel continente africano:
-la Savana e i boschi aridi si riducono gradualmente in Africa Settentrionale;
-in Africa Settentrionale si riducono le praterie e gli ambienti caratterizzati da arbusti secchi.
Migrando in Eurasia, gli ominini si sono adattati a una gamma più ampia di biomi nel tempo, ed in un modo o nell’altro i nostri antenati hanno selezionato attivamente ambienti spazialmente diversi, grazie e soprattutto alla tecnologia litica e alle conoscenze in loro possesso, ma non è il succo del discorso.
In Asia, per via dell’espansione delle calotte glaciali, le aree della tundra e delle praterie si sono espanse, mentre si sono contratte foreste boreali e tropicali. In Europa assistiamo ad un’espansione massiccia della tundra, delle foreste boreali e delle praterie, mentre le foreste ‘temperate’ si sono ridotte. In parole povere, la frequenza dei climi freddi ha portato a un’espansione dei biomi aperti, e ciò avrebbe permesso e facilitato la migrazione di esseri umani arcaici.
I biomi ‘preferiti’ dagli ominini
In un primo periodo, sono state percorse praterie aperte sfruttando, così, rotte migratorie più accessibili. La diversità dei biomi, e la “sperimentazione” da parte delle specie precedenti, potrebbe aver dato un vantaggio in termini di espansione.
Spieghiamoci meglio:
-gli habitat di 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙝𝙖𝙗𝙞𝙡𝙞𝙨 ed 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙚𝙧𝙜𝙖𝙨𝙩𝙚𝙧 erano prevalentemente localizzati in aree di savana e di prateria;
-le specie ‘successive’, invece, “provano" altre tipologie di habitat. Per esempio, 𝙃. 𝙚𝙧𝙚𝙘𝙩𝙪𝙨, che lasciò l’Africa circa 1,8 milioni di anni fa circa, ‘scelse’ habitat molto diversi come le foreste temperate o tropicali, mentre solo una piccola parte preferì la savana. Specie più recenti, come 𝙃. 𝙝𝙚𝙞𝙙𝙚𝙡𝙗𝙚𝙧𝙜𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 e 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨, si sono adattate a climi più freddi. 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨, la più generalista, si è stabilita in ambienti estremi come la tundra o il deserto (grazie anche, e soprattutto, alla capacità di produrre più strumenti in grado di far fronte alle esigente ambientali.
Tutto sommato, i primi ominini africani e 𝙃. 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 preferirono habitat aperti o chiusi, mentre le altre specie prediligevano condizioni miste. Questo è interessante anche per quanto riguarda 𝙃. 𝙣𝙚𝙖𝙣𝙙𝙚𝙧𝙩𝙝𝙖𝙡𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 in quanto dimostrarono una scarsa capacità di adattamento in biomi aperti di clima freddo (come la tundra), e di conseguenza subirono una grossa contrazione (dal punto di vista popolazionistico e geografico) durante l’Ultimo Massimo Glaciale stabilendosi nella regione mediterranea (più calda e boscosa).

Fonte immagine: Mauricio Antón, Nat Geo Image collection. Per la fonte, clicca qui
https://pikaia.eu/ominini-cacciatori-di-castori/


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