venerdì 29 marzo 2024

Ominini arcaici - Introduzione

Cranio di Sahelanthropus tchadensis (Brunet et al., 2002

Prima di iniziare a parlare degli ominini in senso stretto, dobbiamo capire cosa è accaduto prima, ovvero quando i lignaggi Pan e Homo si sono divisi da uno stesso antenato comune. A livello genetico, le differenze tra Homo sapiens e Pan troglodytes sono dell'ordine dell'1%, pertanto già da questa informazione si comprende che i due lignaggi sono strettamente imparentati. Incominciamo ad avere un assaggio di questa tipologia di studi attraverso Morris Goodman che, per primo, scoprì che i due lignaggi condividono un antenato comune già negli anni '50. Goodman aveva stabilito, con analisi immunologiche derivanti da H. sapiens e scimmie antropomorfe, che il genoma del gorilla e dello scimpanzé è simile ad Homo, mentre l'orango era già considerato un gruppo a sé stante, anche se veniva comunque raggruppato nei cosiddetti "ominidi" (le conoscenze paleontologiche al tempo erano più scarse). Goodman, però, non stabilì i tempi di separazione tra i 4 gruppi; soltanto successivamente Vincent Sarich ed Allan Wilson stabilirono la cronologia attraverso il cosiddetto Orologio Molecolare, che permette ancora oggi di datare la speciazione a livello molecolare.

Esistono molti marcatori genetici che possono consentire tali fenomeni evolutivi, ma il più conosciuto è il DNA mitocondriale, ovvero quel tipo di DNA contenuto nei mitocondri, strutture che svolgono un ruolo nella produzione necessaria alle reazioni chimiche cellulari. Questa molecola possiede una struttura circolare ed è estremamente importante per comprendere le relazioni di parentela, poiché si trasmette da madre ai figli di generazione in generazione. In effetti, possiamo tracciare solo la parentela per via materna, ma esistono anche altri metodi che ci consentono di tracciare parentele per via paterna, come ad esempio il cromosoma Y. Sostanzialmente, il metodo di ricerca è lo stesso, ma cambiano i soggetti di studio. Durante la fecondazione, i mitocondri dello spermatozoo vengono eliminati e soltanto quelli femminili vengono trasmessi ai figli. Si analizzano aplogruppi, maschili o femminili, che sono sostanzialmente frammenti di mtDNA (o del cromosoma Y), che vengono confrontati con una precisa sequenza presente nelle popolazioni attuali o ottenute dalle ossa fossili. Il mtDNA contiene una regione non codificante chiamata D-Loop, che contiene i promotori per la trascrizione di RNA e delle proteine, e contiene l'origine di replicazione della molecola stessa. È molto importante dal punto di vista evolutivo perché è una regione del mtDNA molto variabile. Ciò che affascina ed aiuta a costruire le parentele per via materna è che le molecole di mtDNA, all'interno di una cellula, sono perfettamente identiche, proprio per l'assenza di ricombinazione. È come se la struttura venisse trasferita in blocco dalla madre ai figli così com'è. Più o meno, perché anche il mtDNA muta, cambia, ma questo cambiamento dipende esclusivamente dal tempo. Quindi, conoscendo il tasso di mutazione di questa molecola, osservando le sequenze simili e diverse tra due gruppi, è possibile capire quando è vissuto l'antenato comune più recente. Ad esempio, con questo tipo di studio, siamo riusciti a comprendere che la divergenza tra H. sapiens ed Homo neanderthalensis, dallo stesso antenato comune, è avvenuta circa 400-500 mila anni fa. Oppure, siamo riusciti a capire che discendiamo da quella che viene definita "Eva mitocondriale", il più recente antenato mitocondriale di tutti gli esseri umani viventi vissuto tra i 99 mila ed i 200 mila anni fa. La tecnica dell'orologio molecolare ci permette di stimare il tempo trascorso dalla separazione tra due specie, a partire dallo studio delle differenze esistenti nel DNA o nelle sequenze amminoacidiche di alcune proteine. Questo perché le mutazioni casuali che originano un cambiamento genetico (evoluzione) si verificano con frequenza pressoché costante nel tempo, permettendo di stimare il tempo trascorso dalla divergenza tra due specie discendenti dallo stesso antenato comune, semplicemente valutando il numero delle differenze presenti nelle sequenze di DNA correlate o nelle rispettive proteine. Il tasso di mutazione è molto più alto nel DNA mitocondriale rispetto al DNA cellulare, poiché la ricombinazione, molto bassa, avviene solo con frammenti di sé stesso e non con altri DNA mitocondriali. Naturalmente, come per ogni campo scientifico, esistono delle eccezioni alla regola. Infatti, anche se raro, è possibile che anche il DNA mitocondriale del padre possa essere trasmesso.

Vediamo brevemente i punti salienti legati a questa tecnica:

  • Alcuni studiosi già negli anni '70 avevano notato che i tassi di sostituzione degli aminoacidi, nell'emoglobina e nel citocromo, in diversi mammiferi, erano quasi gli stessi. Minori sono le sostituzioni e più i taxa risultano essere vicini;
  • dall'antenato comune determinate proteine verranno ereditate in tutti i lignaggi divergenti. Con il passare del tempo, ogni specie accumulerà mutazioni differenti, con la divergenza che diventerà maggiore dal tempo di separazione.
  • Le mutazioni sono perlopiù neutre o neutrali, a prescindere dall'ambiente (il "vero" motore dell'evoluzione). Qui entra in gioco il tasso di mutazione, cioè la misura della velocità con la quale varie tipologie di mutazione avvengono in un certo tempo. È costante nel tempo per tutte le specie e si calcola attraverso il rapporto con il numero di mutazioni che nel corso del tempo differenziano le due specie studiate (tenendo conto anche del record fossile. Ciò permette anche di calibrare questa tecnica).
  • Il tasso di mutazione non ha la stessa velocità nell'intera molecola di DNA in quanto possono esistere vincoli funzionali, dovuti alla durata delle generazioni. Per esempio, nei gruppi di roditori è più rapido rispetto ai primati, tra quest'ultimi gli ominoidi sono i più "lenti". In sostanza, il tutto è dovuto alla durata delle generazioni: più una generazione è "breve" e maggiore sarà il numero di replicazioni del DNA, e più replicazioni causano più mutazioni in quanto gli errori di duplicazione si verificano proprio quando il DNA viene replicato.
  • Vincent Sarich ed Allan Wilson, citati poc'anzi, applicano l'Orologio Molecolare a gorilla, scimpanzé e uomo. Innanzitutto, hanno dovuto definire l'ID (indice di dissimilarità molecolare), cioè quanto una specie differisca dall'altra attraverso il numero di mutazioni, rapportato al tempo di separazione secondo questa formula: logID=kt. "k" è una costante e si stabilisce attraverso l'ID in base alla variabilità dell'albumina tra Sapiens e scimmie non antropomorfe del "vecchio mondo", mentre "t", il tempo, tiene conto esclusivamente dei dati paleontologici. Questi dati ci permettono di ottenere ID=2,3 e un tempo di separazione di circa 30 milioni di anni, ottenuto attraverso k=0,012. Tra uomo e scimmie antropomorfe africane l'ID è di 1,13, e il tempo di separazione non è superiore ai 5-6 milioni di anni. Già questo è un risultato straordinario in quanto si pensava che fosse avvenuta almeno 25 milioni di anni fa. Quindi, secondo le recenti ricerche, tra le grandi scimmie odierne il primo lignaggio a separarsi fu quello dell'orango (circa 14 milioni di anni fa), poi quello del gorilla (circa 10 milioni di anni fa), poi quelli dello scimpanzé e dell'uomo (circa 6 milioni di anni fa).

C'è da dire, però, che con i termini tassonomici si fa un po' di confusione tanto da essere utilizzati come sinonimi. Ominide è un termine molto conosciuto, che in generale indica nel linguaggio comune primati estinti vicini ad H. sapiens, mentre da un punto di vista scientifico indica (o indicava) la famiglia 'hominidae' che comprende uomo, orango, scimpanzé e gorilla. Ma, da una decina di anni a questa parte, questo termine nel campo paleoantropologico è ormai in disuso e anche fuorviante, ed è proprio dalla scoperta della specie Homo naledi che non tutti i primati che appartengono al nostro lignaggio possono essere definiti 'ominidi. La prima e chiara testimonianza arriva dal bellissimo libro "Il mistero di Homo naledi", opera del paleoantropologo Damiano Marchi che partecipò ai primi studi su questa particolarissima specie umana, infatti nelle pagine 7, 8 e 9 del suo libro spiega, in modo egregio, che è meglio utilizzare il termine 'ominine' (od 'ominino'). In parole povere, è un termine utilizzato per indicare l'uomo moderno e tutti i suoi antenati "diretti", tutti quelli comparsi dopo la divergenza Pan-Homo e appartenenti a quest'ultimo lignaggio. Abbiamo, così:

  1. Ominini arcaici, che comprendono generi come Saelanthropus, Orrorin e Ardipithecus;
  2. Ominini antichi, che comprendono tutte le specie appartenenti al genere Australopithecus e al genere Paranthropus, con annessa la specie Kenyanthropus platyops;
  3. Ominini derivati (che significa "comparsi successivamente"), che comprendono tutte le specie del genere Homo.

Il meraviglioso libro del Paleoantropologo Damiano Marchi (a destra)


Come afferma il Professor Marchi nel suo libro, il termine "ominide" comprendeva anche l'orango, ma recenti scoperte genetiche indicano che gli esseri umani sono più strettamente imparentati agli scimpanzé di quanto questi ultimi non lo siano con l'orango e il gorilla, oltre al fatto che la nostra specie è affine a tutte le scimmie antropomorfe, quindi una separazione in famiglie non ha molto senso. Non è solo una questione lessicale:

  • Ominide si riferisce alla famiglia hominidae e un tempo indicava l'uomo moderno e i suoi antenati, comprendendo anche specie come Ardipithecus sp.;
  • La famiglia si è "allargata" successivamente grazie all'inserimento del gorilla, dell'orango e dello scimpanzé in quanto, come detto prima, sono gruppi estremamente affini all'uomo (contando che queste specie vennero, in passato, raggruppate nella famiglia parafiletica Pongidae);
  • La genetica affermerà successivamente che gorilla e scimpanzé hanno molto più in comune con l'uomo che con gli oranghi, e ciò rende la classificazione precedente obsoleta.

Quindi, in parole povere, con il termine homininae (tribù) si raggruppano l'uomo e i suoi antenati, scimpanzé e gorilla. Ma utilizzare 'ominide' è sbagliato? Teoricamente no, ma dipende sempre da cosa stiamo studiando. È una questione di gerarchia, pertanto non sarebbe per esempio sbagliato parlare di amnioti (mammiferi, rettili in senso lato, dinosauri, uccelli, ittiosauri, ecc.) quando si parla di scoperte legate alla nostra specie, ma sarebbe troppo generico e fuorviante. Da un punto di vista tassonomico la tribù si trova ad un gradino più in basso rispetto la famiglia, comprendendo qualcosa di meno generico/generale rispetto a quest'ultima categoria. Quindi, quando si parla di "evoluzione umana", si considerano solo gli antenati, diretti o indiretti che siano, della nostra specie che sono raggruppati nella tribù 'hominini'. La questione si può risolvere anche con un esempio pratico e magari con i dinosauri, giusto per avere un esempio che può essere chiaro a tutti. Quando parliamo di dinosauri parliamo di quegli individui appartenenti al superordine dinosauria, e sappiamo che si dividono in gruppi 2 gruppi (chiedo scusa al Dottor Cau per la super semplificazione): ornitischi e saurischi, con quest'ultimo che a sua volta si divide in sauropodomorpha e theropoda. Quando troviamo resti di Tyrannosaurus rex, parliamo immediatamente di teropodi escludendo gli altri gruppi e i "vicini" sauropodomorfi, proprio perché quest'ultimo gruppo è composto da specie che nulla hanno a che fare con quella citata, in quanto le specie appartenenti ai sauropodomorfi si sono evolute indipendentemente e parallelamente ai teropodi, ma non sono assolutamente la stessa cosa. Lo stesso discorso dovrebbe valere quando si parla di ominidi e ominini, proprio perché quest'ultimo gruppo comprende solo individui che fanno parte del lignaggio umano e non ha senso tirare in ballo altri gruppi, come l'orango.

Schema riassuntivo (
  • Almécija et al.
  •  
, 2021)


In questo schema si fa un po' più chiarezza in quanto cerca di dare ordine a tutti i gruppi di primati che negli ultimi anni, più o meno, si sono arricchiti di nuove specie:
  1. I catarrini appartengono ad un gruppo di primati, classicamente definiti come "scimmie del vecchio mondo" per via delle collocazioni geografiche (anche se la classificazione dei primati è molto più complessa), che si separarono dalle "scimmie del nuovo mondo" (platirrini) circa 40 milioni di anni fa.
  2. All'interno degli ominoidi, troviamo primati dotati di coccige, una struttura ossea derivata dalla fusione delle vertebre caudali in sostituzione della coda. Comprende, quindi, tutti i primati fossili discendenti da Proconsul, un primate vissuto circa 23 milioni di anni fa in Africa, ed alcune specie attuali di cercopitecoidi: gibboni, orangutan, uomo, scimpanzé, bonobo e gorilla. Si distinguono dal resto dei cercopitecoidi, in linea generale con le dovute eccezioni, per la loro lunga coda.
  3. All'interno degli ominoidi, la classificazione è cambiata molto per via di studi sul DNA sempre più approfonditi, quindi sostanzialmente negli ominidi vengono inseriti oranghi, scimpanzé, bonobo, uomo e gorilla, e numerose specie fossili che appartengono al ramo del genere Homo (australopitecine, ecc.), al ramo degli scimpanzé, dei gorilla, degli oranghi. Quindi, con 'ominini', si indicano tutte quelle specie prossime allo scimpanzé e all'uomo, comprendendo australopitecine, Ardipithecus sp., Sahelanthropus sp., parantropi e tutte le specie appartenente al genere Homo (Homo erectus, Homo habilis, H. neanderthalensis, ecc.).

I primi ominini comparvero nel record fossile tra il Miocene e il Pliocene, circa 7 milioni di anni fa, e purtroppo il numero di fossili disponibili è relativamente scarso. È interessante osservare come le prospettive abbiano subito cambiamenti significativi nel corso degli ultimi 20 anni. In passato, si riteneva che gorilla e scimpanzé avessero un antenato comune, mentre l'uomo doveva avere un'origine più distante e "diversa". Di conseguenza, si credeva che la distanza genetica tra Homo e Pan fosse più ampia, così come quella tra l'uomo e le altre scimmie antropomorfe. Da un punto di vista sistematico, questo portava alla classificazione nella superfamiglia Hominoidea, che includeva le famiglie Hylobatidae (Gibboni), Pongidae (Pongo, Gorilla e Pan) ed Hominidae (uomo). Inoltre, H. sapiens era considerato come un ramo separato, il che rendeva difficile inserire l'uomo in un contesto naturale specifico.

Come detto prima, la situazione incomincia a cambiare negli anni '70 con Sarish e Wilson, sulla base di test immunologici pionieristici, che sottolineavano in sostanza della difficoltà di trovare una soluzione della relazione delle antropomorfe africane, come fece Goodman grazie ad analisi sulla sequenza della proteina globina. Successivamente, arrivarono anche studi cromosomici da parte di Prakash e Yunis, indicando che ci fosse una maggiore affinità tra uomo e scimpanzé, escludendo il gorilla. Anche gli studi anatomici suggeriscono che esista una maggiore affinità tra scimpanzé e gorilla, ad esclusione dell'uomo. Altri studi davano informazioni un po' più diverse, ed è così che incomincia a prevalere un'idea di tricotomia, cioè si ipotizzava che ci fosse un momento nel quale i lignaggi dell'uomo, del gorilla e dello scimpanzé si fossero diversificati senza stabilire, però, le varie fasi di diversificazione (Bradley, 2008). In anni recenti, la genetica indica che l'affinità genetica tra uomo e scimpanzé è al 98% circa, e ciò comporta una nuova classificazione: le antropomorfe, prima inserite in una famiglia diversa da quella di Homo, si sono ritrovate successivamente a far parte della famiglia Hominidae (Gorilla, Pan, Homo), mentre il genere Pongo resta in Pongidae. Ora l'uomo incomincia ad avere "un posto nella natura", senza una sorta di posizione privilegiata, in quanto tutte le antropomorfe africane sono state inserite nella stessa famiglia. Il risultato  dell'odierna classificazione è il risultato di studi genetico-molecolari, ed ormai è chiaro che 11 milioni di anni circa fa avvenne la divergenza tra i lignaggi dell'orango e gorilla-scimpanzé-uomo, 8 milioni di anni fa circa avvenne la divergenza tra il lignaggio del gorilla e quello uomo-scimpazé, mentre quest'ultimi si divisero circa 8-6 milioni di anni fa. Inoltre, la divergenza tra le due specie di Pan  avvenne circa 2 milioni di anni fa, mentre 2,5 quelle tra le specie di orango. 

Relazioni filogenetiche tra Gorilla, Homo e Pan basate su sequenze del DNA mitocondriale (MC Flynn et al., 2007)




I primi fossili associati al lignaggio umano furono ritrovati negli anni '50, ma negli ultimi decenni sono state fatte numerose scoperte che, per lo più, hanno retrodatato alcune specie, come recentemente accaduto con le australopitecine ed Homo erectus. Tuttavia, il problema principale della paleoantropologia risiede nel fatto che negli anni '70 le varie specie scoperte venivano rappresentate come una successione lineare. Ad esempio, Dobzhansky (1944) affermava che in ogni intervallo temporale non poteva esistere più di una specie umana, poiché attualmente ne esiste solo una, mentre Mayr (1950) indicava che Australopithecus afarensis (all'epoca conosciuto come Homo tranvaalensis) avesse generato direttamente la nostra specie. Queste affermazioni possono sembrare sorprendenti considerando la vasta quantità di dati disponibili oggi, ma sono il risultato delle conoscenze limitate e della scarsità di fossili all'epoca in cui furono formulate. Le differenze morfologiche vennero interpretate semplicemente come variabilità all'interno della popolazione di una specie.

La famigerata (ma purtroppo diffusa) scala evolutiva è un'immagine ambigua che rappresenta l'evoluzione secondo uno stereotipo datato e privo di validità scientifica. Questa rappresentazione, apparsa nel 1965, mostra un primate con locomozione quadrupede che progressivamente si rialza assumendo forme sempre più umane, con una successione di ominini antichi ed arcaici (Australopithecus sp. e le prime specie del genere Homo), culminando con H. sapiens. L'immagine è stata tratta dal libro The Early Man, il quale non aveva lo scopo di illustrare l'evoluzione umana, ma ha avuto come conseguenza una popolarità che ha diffuso un'idea distorta su vari livelli. Tuttavia, l'uomo, come ogni organismo vivente, è soggetto all'evoluzione e ai suoi meccanismi. Evoluzione è sinonimo di cambiamento, e anche l'uomo cambia. Siamo diversi dagli uomini di 100 anni fa, così come quelli di 2000 anni fa, poiché l'uomo non rappresenta un punto di arrivo evolutivo. Il pensiero comune, come detto prima, tendeva a concepire l'evoluzione come se avesse una finalità, un punto di arrivo che vedeva l'uomo come massimo esponente tra gli animali, il più intelligente e perfetto. Tuttavia, questo concetto è errato poiché l'evoluzione non è lineare, ma può essere rappresentata come un cespuglio, o "come un ramo di corallo" secondo Darwin, in cui soltanto la parte superiore (parte viva) contiene i discendenti viventi, i quali hanno antenati comuni rappresentati nella parte basale (parte morta). Infatti, ogni antenato comune di qualsiasi organismo non è più in vita, come nel caso dell'antenato comune tra l'uomo e gli scimpanzé, il quale, attraverso continue mutazioni ed altri meccanismi evolutivi, ha portato alla divergenza di questi due grandi gruppi. Si può affermare che fino a circa 7 milioni di anni fa abbiamo percorso la stessa strada, per poi seguire strade divergenti.

Un altro concetto totalmente sbagliato e fuorviante è quello dell'"anello mancante", ormai in disuso da molti decenni, ma rimane ancora un argomento amato dai negazionisti dell'evoluzione. Tuttavia, la situazione è più complessa di quanto possa sembrare. Questo concetto ha origine nel XIX secolo ed è stato utilizzato per spiegare il passaggio da una forma all'altra, ad esempio, per interpretare la transizione dalla "scimmia" all'essere umano. Il pitecantropo di Eugène Dubois, successivamente classificato come H. erectus, era considerato un potenziale anello di congiunzione tra questi due mondi, tanto che il suo nome originale era "Scimmia-uomo". Tuttavia, la storia evolutiva di qualsiasi organismo può essere rappresentata come un cespuglio con molteplici ramificazioni, una sorta di groviglio in cui i gruppi si diversificano senza necessariamente essere discendenti diretti. Inoltre, anche se si considera un unico ceppo evolutivo, mancheranno sempre delle "tappe" di evoluzione, poiché l'evoluzione biologica è un processo continuo di cambiamento e trasformazione. La fossilizzazione è un fenomeno estremamente raro, e quindi è naturale che non tutte le forme intermedie si siano conservate nel registro fossile. Coloro che negano l'evoluzione spesso cercano di sfruttare questa apparente mancanza di "forme di transizione" tra le varie specie per mettere in dubbio la veridicità della teoria evolutiva. Tuttavia, numerosi esempi di forme transizionali sono stati scoperti dai paleontologi, come ad esempio l'Archaeopteryx, un uccello che possiede caratteristiche rettiliane e che rappresenta una transizione tra i dinosauri e gli uccelli. L'Archaeopteryx era stato descritto già all'epoca di Darwin, e successivamente sono state fatte numerose scoperte di forme intermedie. I numerosi fossili che testimoniano l'evoluzione umana, inclusi quelli associati al pitecantropo, rappresentano un insieme di individui che mostrano un mosaico di caratteri derivati e arcaici. Questi fossili sono difficili da collocare in una singola catena evolutiva, e la loro abbondanza è più un problema che la mancanza di anelli mancanti.

Questa "scala" ha iniziato a mostrare crepe già molti decenni fa, a seguito delle nuove scoperte, rendendo sempre più difficile l'attribuzione di una nuova variabilità morfologica a una successione continua e graduale. Si è quindi sviluppato un modello a cespuglio, che presenta una parte basale da cui si diramano numerose braccia e biforcazioni, alcune delle quali parallele (come nel caso di Homo e Paranthropus). A partire dalla divergenza con Pan ed Homo, alcune specie si sono succedute nel tempo, altre hanno lasciato discendenza, altre ancora si sono estinte, mentre alcune hanno coesistito (come H. erectus, Australopithecus sediba e Paranthropus robustus). Questo modello si avvicina maggiormente alla realtà e viene costantemente aggiornato grazie alle nuove scoperte, basandosi sulla varietà delle specie. Tuttavia, nell'ambito dell'evoluzione umana, ci troviamo di fronte a una miriade di specie di cui non si conoscono le parentele e la collocazione filogenetica. La grande variabilità morfologica, soprattutto dal punto di vista craniale, genera notevole confusione.




La descrizione di nuove specie "umane" può essere compiuta solo se si dispone sia di resti postcraniali che craniali, poiché quest'ultimo elemento da solo presenta una vastissima variabilità morfologica. Nei grafici (pseudo)filogenetici, di solito H. sapiens viene rappresentato a sinistra o a destra del grafico, ma questa linearità è sbagliata, poiché implica che H. sapiens sia il "prodotto finale" di continui cambiamenti evolutivi. L'unica eccezione è rappresentata da questo tipo di grafico, spesso utilizzato anche in molti libri di paleontologia. In tale contesto, vengono utilizzati campioni di riferimento per comprendere quali caratteri siano presenti o assenti in un determinato gruppo, permettendo così di delineare una sorta di "affinità morfologica" che definisce la distanza tra le varie specie o gruppi. H. sapiens, essendo l'unica specie del genere Homo ancora esistente, funge da campione di riferimento, consentendo di valutare quanto morfologicamente sia distante una specie affine alla nostra.

Il risultato è un grafico che indica la comparsa/scomparsa delle varie specie basata sui ritrovamenti fossili, e le possibili relazioni e legami tra i vari gruppi. Inoltre, risolve una questione annosa per molti gruppi, come nel caso di H. naledi, di cui non si sa ancora a chi sia più affine, ma viene collocato in una posizione specifica in base ai caratteri analizzati. Questo grafico tiene conto di due fattori fondamentali: il tempo (quando una specie appare/scompare nel registro fossile) e la distanza morfologica tra la nostra specie (che sarà collocata in alto a una delle estremità) e quella considerata. Più ci si avvicina a specie più derivate, come la nostra, più la distanza diminuisce.

Questo è un grafico scritto in inglese nel quale sono state aggiunte altre possibili specie, non ancora riconosciute come tali. Differisce da quello che si trova in genere sui libri del Paleoantropologo Giorgio Manzi, ma comunque mostra le varie affinità morfologiche delle varie specie e il susseguirsi di esse nel corso del tempo. Essendo la nostra specie l'unica del genere Homo in vita, viene utilizzata come metro di comparazione e, quando una specie presenta delle affinità, si troverà più a sinistra; se mostra caratteristiche differenti e divergenti, la specie tenderà ad essere posizionata verso destra (Wood et al., 2020)

Se vogliamo essere sinceri, tra i vari nomi andrebbero inseriti dei punti interrogativi ("?") in quanto potrebbero esistere altre specie che ancora non conosciamo e che magari non conosceremo mai perché non si sono fossilizzate, riempiendo così alcuni archi temporali che risultano un po' "vuoti". Contando che esiste la possibilità che una specie ascrivibile alla linea evolutiva umana potrebbe essere scoperta sia nella parte inferiore che superiore del grafico. Il numero di fossili, statisticamente parlando, dovrebbe essere superiore (questo vale per qualsiasi studio in ambito paleontologico). Le specie che si sono succedute negli ultimi 8 milioni di anni mostrano, almeno per i primi rappresentati, specie perlopiù endemiche esclusivamente dell'Africa centrale, meridionale ed orientale. I primi ominini eurasiatici sono comunque africani, in quanto si tratta di specie che successivamente migreranno fuori dal continente (come H. erectus e molte specie di mammiferi). La storia degli ominini si sviluppa in Africa fino a 2 milioni di anni fa, e questo è normale perché Pan e Gorilla sono africane, i due generi viventi più vicini al nostro. I primi ominini e le australopitecine sono stati ritrovati in Etiopia, Kenya, Sud Africa, Malawi (Africa orientale) e Chad. Questa distribuzione non è casuale, poiché sono località legate al sistema della Rift Valley, un sistema di faglie che attraversa sostanzialmente tutta l'Africa orientale e che rappresenta una sorta di limite tra due placche tettoniche. Si estende dal Mar Rosso verso sud, dividendo questa grande area in Rift Valley orientale e occidentale. La presenza dei grandi laghi è fondamentale per lo sviluppo degli ominini, come il famosissimo lago Turkana, così come la presenza di sistemi vulcanici quiescenti ed attivi. I laghi si sviluppano sul fondo della Rift Valley con un andamento Nord-Sud e sono relativamente stretti, mentre altri laghi (come il lago Vittoria), che si trovano tra la Rift Valley occidentale ed orientale, sono il risultato della raccolta dell'acqua che per gravità si raccoglie in queste zone dai margini del Rift. È proprio in queste zone che si concentrano la maggior parte dei resti fossili di ominini, ma, come detto prima, non è casuale poiché il Rift mette in evidenza sui lati una successione di rocce vulcaniche e di depositi sedimentari (sempre di origine vulcanica) che caratterizzano l'Africa orientale.


In quest'immagine vengono rappresentati in linea generale i vari ritrovamenti delle prime specie di ominini, pertanto non rappresentano il preciso luogo di ritrovamento:
1) Koro Toro e Toros-Menalla (Sahelanthropus tchadensis & Australopithecus bahrelghazali);
2) Hadar (Au.afarensis); Middle Awash/Gona (Au afarensis, Ardipithecus kadabba/Ar. ramidus, Au. garhi); Konso (P. boisei), Omo (Au. afarensis, P. aethiopicus, P. boisei); Koobi Fora (P. aethiopicus, Au. afarensis); Turkana occidentale (P. aethiopicus, P. boisei, K. platyops), Allia Bay (Au. anamensis), Lukeino (orrorin tugenensis), Kanapoi (Au. anamensis); Peninj (P. boisei); Gola di Olduvai (P. boisei), Laetoli (Au. afarensis), Melema (P. boisei);
3)Makapansgat (Au. africanus); Gondolin (P. robustus); Kromdraai (P. robustus); Drimolen (P. robustus); Sterkfontein (Au. africanus); Swartkrans (P. robustus); Gladysvale (Au. africanus); Grotta di Cooper (P. robustus); Taung (P. robustus).


La successione dei depositi è una manna per i geologi in quanto, come per esempio in Etiopia, sono ben visibili due livelli ben distinguibili perché sono di origine vulcanica, e questo permette di datare radiometricamente i depositi, dando così un limite temporale inferiore e superiore. Anche con i grandi laghi si può pensare che lungo i margini ci siano stati ecosistemi complessi che hanno fornito alle faune africane, dal Miocene in poi, numerose possibilità di sostentamento. I vulcani sono importantissimi anche in Astrobiologia perché potrebbero essere sintomo di vivibilità. Infatti, il degassamento vulcanico aiuta a mantenere i climi miti in superficie, permettendo il riciclo e il ricircolo dei materiali dall'atmosfera al sottosuolo mentre, il degassamento vulcanico, aiuta a mantenere le temperature miti in superficie (Misra et al., 2015). 8 milioni di anni fa, l'Africa era coperta da una fitta foresta, era attraversata da laghi e fiumi ed era abitata da primati perlopiù arboricoli. Tra gli 8 e i 5 milioni di anni fa circa, la terra venne interessata da un periodo di raffreddamento ed inadirimento del clima, una conseguenza dovuta alla diminuzione delle piogge. Questo accade quando una grande quantità (sempre maggiore) di umidità viene intrappolata nei ghiacciai, con quest'ultimi che diventano più estesi, soprattutto ai due poli. Anche in Africa le temperature scesero e venne caratterizzato da giorni relativamente freschi e notti fredde soprattutto ad elevate altitudini. La divergenza Pan-Homo si sviluppa in concomitanza con questo grande cambiamento climatico-ambientale, in quanto quelle zone sono state caratterizzate da un crescente inadirimento che ha "sfoltito" le foreste, che incominciarono ad essere gradualmente sostituite da boscaglia e ambienti aperti. Insomma, l'ambiente era caratterizzato da chiazze boschive intervallate da tratti di prateria.

L'antenato comune Pan-Homo visse in fitte foreste, ma con i cambiamenti climatico-ambientali, la popolazione occupò anche spazi caratterizzati da ambienti parzialmente aperti. Questa divisione, con l'accumulo di mutazioni indipendenti, portò le due popolazioni pian piano a divergere, dando origine ai lignaggi Pan e Homo. Quest'ultimo lignaggio andò incontro a fenomeni di selezione naturale, poiché gli individui capaci di vivere sia in ambienti aperti che forestali vennero favoriti da un ambiente in continuo cambiamento, e in tempi relativamente brevi a livello geologico. La documentazione fossile dei primi ominini proviene da siti caratterizzati da habitat a mosaici, con la presenza di laghi, savane, boscaglie e foreste che fungevano da "gallerie" lungo i fiumi. È importante notare che al momento nessun ominino associato al nostro lignaggio è stato ritrovato in sedimenti associati a un ambiente di foresta fitta, anche se la fossilizzazione in contesti forestali è generalmente piuttosto rara. Quindi, in questi ambienti variabili, erano favoriti individui adattati sia alla vita terrestre che a quella arborea. Gli alberi fornivano giacigli per i piccoli, frutta e altre risorse alimentari, nonché riparo dai predatori, il che vale ancora per le australopitecine e per i primi individui associati al genere Homo. Nelle zone di prateria, gli ominini potevano trovare "nuove" fonti di cibo come pesci e molluschi dai laghi e dai fiumi, tuberi ed altre risorse vegetali che non si trovavano sugli alberi. Per quanto riguarda il popolamento delle grotte, ci vorrà tempo, poiché sarà necessario attendere la scoperta e l'addomesticazione del fuoco.

L'adattamento della dieta rappresenta la differenza più sostanziosa tra Pan ed Homo, e già nel 2008 si evidenzia ulteriormente il fatto che il cambiamento dalla dieta quasi vegetariana, tipica degli scimpanzé (senza considerare occasionali integrazioni di carne, anche grazie a vere e proprie battute di caccia), a una dieta onnivora tipica della nostra specie, potrebbe aver giocato un ruolo nell'evoluzione e nella divergenza tra i due lignaggi. È interessante notare che in uno studio del 2008 (Somel et al.) sono stati condotti esperimenti su topi per due settimane, in cui alcuni sono stati alimentati come scimpanzé, con vegetali crudi e frutta, mentre altri, rappresentanti dell'uomo, sono stati nutriti sia con un menù tipico dei fast food che con pasti "normali". In generale, i risultati indicano che queste differenze nelle diete forniscono importanti informazioni sulla regolazione dell'espressione genica. Infatti, sono state osservate differenze considerevoli nei livelli di attivazione di migliaia di geni nel fegato, mentre non sono stati riscontrati effetti significativi sul cervello, tranne che per i topolini che si sono nutriti di cibo da fast food, mostrando un aumento di peso notevole. Ciò che emerge è che numerosi geni, la cui espressione è risultata differente in base alla dieta, potrebbero essere stati uno dei motori nella divergenza Pan-Homo. La dieta potrebbe quindi essere stata una sorta di "pressione evolutiva" che ha portato all'evoluzione di alcune proteine come adattamento alle "nuove" risorse. I geni collegati alla dieta si sono evoluti più rapidamente rispetto a quelli che controllano altri caratteri, e il 10% dei geni che differiscono nella loro espressione tra i fegati degli scimpanzé e dell'uomo sono caratterizzati sia da sequenze aminoacidiche che promotrici che presentano differenze rispetto ai geni casuali.

Sovrapposizione tra le differenze di espressione genica del fegato nei topi e nei primati (Somel M. et al., 2008)


Si può dire che i primi individui Pan-Homo che hanno iniziato a divergere hanno sperimentato molte differenze ambientali e, di conseguenza, hanno avuto accesso a diversi tipi di alimenti. In secondo luogo, i cambiamenti morfologici tra i due lignaggi sono alquanto notevoli e si basano soprattutto sulle differenze della scatola cranica, sulla faccia e sulla base del cranio, senza dimenticare mani, denti, piedi, ginocchia ed osso pelvico. Vediamone alcuni, i più significativi:

  1. Nell'uomo, la fronte è alta, mentre nello scimpanzé è piatta.
  2. La volta cranica è elevata nell'uomo, ma bassa nello scimpanzé.
  3. La faccia è piatta nell'uomo, mentre è sporgente nello scimpanzé.
  4. I canini umani sono piccoli e non svolgono più alcuna funzione dal punto di vista sessuale, mentre negli scimpanzé sono grandi e permettono di intimorire sia un conspecifico che un eventuale predatore.
  5. La dimensione del cervello umano è grande e si aggira tra 1200-1300 cc, mentre gli scimpanzé possiedono una capacità cranica di circa 400 cc.
  6. Il foro occipitale nell'uomo è posizionato alla base del cranio, al centro sostanzialmente, mentre è sporgente nello scimpanzé.
  7. Il torace dell'uomo è relativamente dritto, mentre quello dello scimpanzé è svasato.
  8. Le vertebre lombari negli scimpanzé possono essere 3 o 4, mentre nell'uomo sono 5.
  9. Cambiano le proporzioni degli arti umani, caratterizzati da ossa relativamente dritte e arti inferiori lunghi, mentre negli scimpanzé gli arti sono caratterizzati da ossa curve e arti inferiori corti.
  10. Il polso umano è meno mobile rispetto a quello dello scimpanzé.
  11. Il piede dell'uomo è arcuato e caratterizzato da un alluce dritto, mentre quello dello scimpanzé è piatto e l'alluce è arcuato.
  12. La mano umana è a coppa, caratterizzata da un pollice lungo, mentre quella dello scimpanzé è piatta e caratterizzata da dita lunghe e un pollice corto.
  13. Lo sviluppo, sia delle ossa che dei denti, è rapido negli scimpanzé, ma lento nell'uomo.
  14. Le ossa pelviche umane sono caratterizzate da un canale del parto stretto per la testa dei bambini, a differenza di quello dello scimpanzé che risulta essere largo.

Ma quali erano le differenze tra i due lignaggi 8-5 milioni di anni fa? Forse le differenze erano minime o poco distinguibili perché appena separati e, man mano che si sono allontanati, hanno presentato differenze maggiori. Si pensa, però, che l'antenato comune dovesse assomigliare di più allo scimpanzé che all'uomo. Le prove genetiche e morfologiche suggeriscono che i gorilla siano, tra le varie scimmie antropomorfe, quelli più vicini agli scimpanzé a livello morfologico, soprattutto per quanto riguarda i denti che risulterebbero inconfondibili. Quindi, non è così impensabile pensare che quest'antenato comune fosse arboricolo, caratterizzato forse da dita curve che permettevano una presa più sicura sui rami, con arti adatti sia alla locomozione con 4 arti che con i soli 2 arti posteriori, un po' come vedremo nel prossimo articolo con Sahelanthropus tchadensis. La faccia era più simile ad un muso, non piatta come quella umana, e le mascelle e le mandibole potevano essere allungate e provviste di premolari e molari non troppo grandi (il "rimpicciolimento" dei denti sarà un trend tipico del lignaggio umano). Per quanto riguarda il lignaggio umano, questo differisce dall'antenato comune per via della postura eretta e l'andatura bipede, le dimensioni relative al cervello che è proporzionalmente più grande rispetto al corpo, la struttura degli arti è anch'essa sproporzionata rispetto al corpo con un arto inferiore più lungo di quello superiore, un ridotto dimorfismo sessuale, elevata capacità manipolativa e un linguaggio articolato. Ci sarebbero altre caratteristiche, ma è meglio non diventare troppo ripetitivi. Possiamo dire con certezza che queste strutture non si sono sviluppate contemporaneamente ma in tempi diversi durante l'evoluzione degli ominini, alcune sono state precoci e altre comparse "recentemente", mentre altre sono apparse contemporaneamente. Ciò che salta agli occhi è proprio il dimorfismo sessuale, cioè maschi e femmine non mostrano molte differenze a livello morfologico se non attraverso l'altezza, e in alcuni una cresta sagittale sul cranio, ma saranno comunque ancora abbastanza evidenti nelle australopitecine. Vediamo brevemente alcune differenze tra i primi ominini e l'antenato comune:

  • Negli ominini antichi, la mascella risulta essere meno spessa e caratterizzata dalla presenza di denti più piccoli.
  • Negli ominini antichi, probabilmente, possedevano caratteristiche craniche diverse e distintive dovute a un adattamento legato al bipedismo e al tempo trascorso anche sui substrati terrestri, utilizzando in modo più intenso gli arti inferiori.
  • Vi è uno spostamento del foro occipitale (o Foramen magno) più in avanti. È il punto da cui il cervello si colloca con il midollo spinale, con la testa che risulta essere "poggiata" sulla colonna vertebrale. Questo perché il tronco è più verticale, i fianchi sono più larghi e il piede è più saldo a terra.

È interessante anche un recente studio che si concentra sulla formula vertebrale dell'antenato comune tra uomo e scimpanzé. La colonna vertebrale, come ben sappiamo, è legata al piano corporeo e alla locomozione nei vertebrati, ma nei primati è di vitale importanza per rispondere a quelle domande che ci poniamo quando parliamo di bipedismo, ad esempio, o trattiamo adattamenti. La formula vertebrale ci indica quale tipologia di vertebra è presente in un dato organismo e quante ce ne sono, e ciò, come nel caso dei primati, ci permette di ricostruire le varie parentele (filogenesi) tra i primati estinti ed odierni. Quindi, in questo studio, è stato utilizzato un particolare approccio metodologico per "conteggiare" le vertebre di primati ancestrali e capire un po' cosa sia successo ai primati successivi. Per cominciare, l'antenato comune tra il lignaggio dell'uomo e dello scimpanzé, vissuto 8-6 milioni di anni fa circa, possedeva questa formula vertebrale: 7 vertebre cervicali; 13 vertebre toraciche; 4 vertebre lombari; 6 vertebre sacrali. In sostanza, nel corso del tempo i due lignaggi (uomo e scimpanzé) sono stati caratterizzati da una modificazione del 'conteggio' delle vertebre, una sinapomorfia (una caratteristica nuova comune a più specie) caratterizzata dalla riduzione delle vertebre lombari e da un aumento di quelle sacrali. Un ulteriore riduzione del 'conteggio' si verifica anche negli oranghi, ma qui possiamo parlare di convergenza evolutiva in quanto l'antenato uomo-scimpanzé e il lignaggio degli oranghi si 'divisero' ben prima. È accaduto analogamente anche nelle scimmie africane, evidenziando quanto sia complicata questa metodologia, soprattutto per provare a conteggiare le vertebre di ominini più recenti, in quanto in poco tempo possono essere avvenuti cambiamenti di cui si sa ancora poco.


Ricostruzione filogenetica in base alla formula vertebrale (Thompson et al., 2017)



Sarebbe davvero interessante scoprire se l'antenato comune fosse stato in grado di produrre utensili. È risaputo che anche altri primati producono strumenti e li utilizzano per mangiare cibi relativamente duri, ma i segni di taglio sulle ossa di animali antichi, datati a più di 3,39 milioni di anni fa, indicano che l'uso di utensili nel lignaggio umano è molto antico. È probabile che anche l'antenato comune abbia realizzato ed utilizzato strumenti, poiché gli scimpanzé sono in grado di utilizzare strumenti in pietra, anche contro i conspecifici. Inoltre, i bonobo (Pan paniscus) sono in grado di fabbricare delle sorta di lance sottili, a bastoncino, e usarle come armi. Questi comportamenti suggeriscono che i primi ominini possedevano una corteccia cerebrale sviluppata e capacità cognitive ben sviluppate. La ricerca futura potrebbe portare a nuove scoperte su questo interessante argomento. Se vogliamo parlare di capacità cognitive e manuali, bisogna parlare un attimo delle mani. Quelle degli scimpanzé e delle scimmie antropomorfe sono più derivate rispetto a quelle dell'uomo, anche se ognuna si è evoluta e specializzata in modo indipendente nei vari lignaggi. Lo so, avrei potuto far scalpore dicendo "le mani dell'uomo sono più primitive", ma preferisco focalizzarmi sulla "primitività" dell'arto per una questione temporale (e dopo capirete perché). La ricerca è datata, ma è interessante perché tendiamo sempre a considerare ogni caratteristica umana come "moderna" o "derivata" (dannato antropocentrismo). Le dimensioni e le proporzioni delle dita sono cambiate poco nel corso del tempo nel nostro lignaggio, mentre negli altri "cugini" sono cambiate in modo diverso ed indipendente. Il pollice lungo è la caratteristica più evidente del genere Homo, tanto da superare l'attaccatura della base delle falangi. E allora, perché la mano umana sarebbe primitiva se possiede un carattere (apparentemente) derivato come questo? La storia incomincia 7-8 milioni di anni fa, quando l'antenato comune tra uomo e scimpanzé popolava la terra. I ricercatori, attraverso la comparazione di vari arti di varie specie vissute nel corso del tempo, notano che l'arto umano non è cambiato molto per quanto riguarda le dimensioni e le proporzioni. Insomma, è una mano molto simile a quella dell'antenato comune tra il lignaggio dell'uomo e dello scimpanzé. Essenzialmente, la mano "umana" non è stata sottoposta a pressioni evolutive (evoluzione stabilizzante), quindi è cambiata poco nel corso del tempo senza subire grandi trasformazioni. Non è specializzata come quella delle antropomorfe nella brachiazione, ma ciò ha permesso alle specie appartenenti al nostro lignaggio di maneggiare con più facilità gli utensili. Questa condizione "primitiva" si è rivelata vantaggiosa nel contesto ambientale in continua evoluzione durante il Paleolitico. Negli altri primati, invece, si è verificata una diversificazione indipendente delle mani. La convergenza evolutiva è comune tra scimpanzé e oranghi, con un pollice allungato, mentre uomo e gorilla sono caratterizzati da un pollice che è poco cambiato nel tempo. Negli ilobatidi, si osserva un estremo allungamento del pollice. Le somiglianze indicano che l'arrampicata sugli alberi non era una prerogativa dei primati dotati di dita lunghe. Questo ce lo hanno già insegnato le australopitecine.

Variabilità della mano nei primati (Almécija et al., 2015)

A proposito di capacità cognitive, è interessante vedere che gli scimpanzé utilizzano tattiche militari simili a quelle umane per evitare o incitare potenziali conflitti. Nella situazione attuale, con regioni del Medio Oriente e dell'Europa colpite dalla guerra, una ricerca del genere può in parte, secondo me, "giustificare" fatti del genere, ahimé, o insegnarci qualcosa sulla nostra storia evolutiva. Spero nella seconda opzione. Non è una novità che certi gruppi di primati, come gli scimpanzé, siano caratterizzati da episodi "rabbiosi" e violenti, legati alla conquista del territorio e delle risorse disponibili, come accade nel mondo animale. La particolarità è che, secondo questa ricerca, esistono due comunità di scimpanzé veri e propri (scimpanzé occidentali) che si sorvegliano a vicenda, con lo scopo di studiare la fazione nemica per evitare o incitare potenziali conflitti. Questi scimpanzé svolgono delle vere e proprie ricognizioni utilizzate, tempo or sono, da antiche popolazioni umane per raccogliere informazioni e decidere se e quando entrare in azione. Ciò mette in evidenza la grande intelligenza di questi animali, in grado di acquisire conoscenze e prendere provvedimenti in base alla necessità o a un'attenta valutazione. Sono capaci di riflettere sulla propria conoscenza e agire per ottenere maggiori informazioni. La prima particolare caratteristica che ha permesso di elaborare l'ipotesi "militare" è l'uso di terreni elevati, come le colline. Gli scimpanzé vivono in comunità, competono per le risorse e il territorio, e si registrano molti casi di aggressioni coordinate e uccisioni occasionali. Questo continuo "osservarsi a vicenda" suggerisce che queste popolazioni vivano in un periodo di guerra continuo e costante, che culmina solo in certi punti quando le popolazioni si incontrano. Gli scimpanzé sono stati seguiti per quasi 12 ore al giorno tra il 2013 e il 2016, e i dati hanno mostrato la propensione di questi primati a scalare alture o colline verso i confini del loro territorio anziché andare al centro. Su queste alture non svolgono attività rumorose ma tranquille, dedicandosi all'ascolto di tutto ciò che accade nei dintorni. I fattori che entrano in gioco includono il fatto che gli scimpanzé coinvolti hanno, in genere, più probabilità di avanzare da un'altura all'altra o da un territorio a un altro solo quando i rivali non sono presenti. Le colline sembrano essere usate per evitare i conflitti o per trovare un'opportunità di attacco, a seconda del terreno. Quando i membri si incontrano, entra in gioco l'equilibrio del potere, con gli scimpanzé capaci di valutare i costi e i benefici di uno scontro, e le colline sembrano aiutare in questa valutazione. È ancora presto per capire se questo comportamento è diffuso anche in altri scimpanzé o in altri primati, e se questa pratica è così antica da essere stata ereditata dai lignaggi dello scimpanzé e umano dall'antenato comune che visse 8-7 milioni di anni fa. Quello che affermano i ricercatori, però, è che questa pratica potrebbe aver facilitato nel corso del tempo i primati, anche nella preistoria, soprattutto nelle popolazioni di cacciatori-raccoglitori, nell'espansione del proprio areale.

Rappresentazione schematica della "tattica militare" (Lemoine et al., 2023)


Conclusioni ed anticipazione sui prossimi articoli

Come abbiamo potuto constatare, molte differenze tra gli ominini vengono rilevate tramite fossili, mentre altre sono dedotte in modo indiretto attraverso studi e ipotesi. Questo è in parte dovuto alla scarsità di fossili miocenici e pliocenici, il che rende difficile identificare l'ominino più antico. Ad esempio, per quanto riguarda Sahelanthropus, disponiamo di un cranio deformato e parti della mandibola con alcuni denti. Per Orrorin, abbiamo principalmente denti e alcune ossa delle mani e dei piedi. Nel caso di Ardipithecus, abbiamo un maggior numero di reperti, inclusi denti, parti del femore, mandibole e varie ossa, il che ha permesso di suddividere questo genere in due specie distinte.

Altre fonti:

  1. Almécija, S., Smaers, J. & Jungers, W. The evolution of human and ape hand proportions. Nat Commun 6, 7717 (2015).

  2. Almécija, S., Fossil apes and human evolution. Science 372, eabb4363 (2021).
  3. Daver, G., Guy, F., Mackaye, H.T. et al. Postcranial evidence of late Miocene hominin bipedalism in Chad. Nature 609, 94–100 (2022).
  4. Fidelis T Masao, Elgidius B Ichumbaki, Marco Cherin, Angelo Barili, Giovanni Boschian, Dawid A Iurino, Sofia Menconero, Jacopo Moggi-Cecchi, Giorgio Manzi (2016). New footprints from Laetoli (Tanzania) provide evidence for marked body size variation in early hominins. eLife 5:e19568.
  5. Kato S. et al. (2016). New geological and paleontological age constraint for the gorilla–human lineage split. Nature, doi:10.1038/nature16510
  6. Lemoine SRT, Samuni L, Crockford C, Wittig RM (2023) Chimpanzees make tactical use of high elevation in territorial contexts. PLoS Biol 21(11): e3002350
  7. Marchi Damiano, Il mistero di Homo naledi. MONDADORI isbn: 9788804663256
  8. Misra, A., Krissansen-Totton, J., Koehler, M. C., & Sholes, S. Transient Sulfate Aerosols as a Signature of Exoplanet Volcanism. Astrobiology. Jun 2015. 462-477.
  9. Somel M, Creely H, Franz H, Mueller U, Lachmann M, Khaitovich P, et al. (2008) Human and Chimpanzee Gene Expression Differences Replicated in Mice Fed Different Diets. PLoS ONE 3(1): e1504.
  10. Thompson, N. E., & Almécija, S. The evolution of vertebral formulae in Hominoidea. Journal of Human Evolution, Volume 110, 2017, Pages 18-36, ISSN 0047-2484.

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